Investimenti sbagliati, reati ambientali, azioni legali: le voci dei critici e delle popolazioni colpite, da Brindisi al Cile, all’assemblea della multinazionale controllata al 31% dal governo italiano
Non è la prima volta che succede. Alcune persone comprano qualche azione di una grande azienda e poi si presentano all’assemblea annuale degli azionisti per dar voce a critiche e opposizioni. L’azienda in questione è Enel, la più grande società elettrica italiana e la seconda in Europa per potenza installata, con attività in una quarantina di paesi dall’Europa orientale all’America latina. Mentre i “piccoli azionisti” che martedì 30 aprile sono intervenuti all’assemblea annuale dell’Enel erano i rappresentanti di una cinquantina tra comitati di cittadini e movimenti che contestano le attività dell’azienda italiana in Patagonia (Cile), Guatemala, Colombia, Romania, Albania, a Brindisi e in altre località italiane. Quattro persone, titolari di 5 o 6 azioni ciascuno, hanno tenuto toni insoliti per l’assemblea degli azionisti di una multinazionale.
Il loro intervento è passato per lo più inosservato sui media. Eppure vale la pena di riprenderlo, perché non illustrava solo linguaggi inconciliabili – i profitti dell’impresa contro la salvaguardia dell’ambiente, la giustizia, l’etica, i diritti delle popolazioni locali – ma parlavano di investimenti sbagliati, di reati ambientali, di azioni legali: cose che alla fine incidono anche sui bilanci aziendali. Tra parentesi, benché privatizzata del 1999 e quotata in borsa, Enel resta una società in parte pubblica, perché il 31% è di proprietà del Ministero dell’economia e delle finanze – in definitiva, dei cittadini italiani.
Un caso emblematico è quello della centrale termoelettrica Federico II di Brindisi. La centrale si trova a 15 chilometri dal porto, dove arrivano i milioni di tonnellate di carbone bruciate ogni anno nell’impianto. Dal porto il carbone viene trasferito con un nastro trasportatore che taglia la fascia costiera, poi è stoccato presso l’impianto in un enorme carbonile scoperto – come ha ricordato Daniele Pomes, “piccolo azionista” che rappresenta il movimento “No al carbone” della città pugliese. La movimentazione del carbone è un punto critico: nel 2007 le polveri di carbone che escono dal nastro trasportatore hanno causato la contaminazione di oltre 400 ettari di terreni agricoli, al punto che i prodotti sono stati definiti pericolosi per il consumo, il sindaco ha vietato la coltivazione, 60 aziende agricole hanno dovuto chiudere e centinaia di posti di lavoro sono andati persi. In caso di grandi piogge il canale adiacente al nastro trasportatore spesso esonda e il nastro si allaga e si blocca: lo scorso gennaio, non sapendo che fare, Enel ha fatto aspirare l’acqua che aveva invaso il nastro riversandola nei campi vicini (la cosa è ora al vaglio dell’Arpa e della magistratura per valutare il danno provocato). L’altro punto critico è lo smaltimento delle ceneri di carbone prodotte dalla centrale: due anni fa il Corpo forestale ha scoperto una cava in Calabria dove erano stoccate ceneri e fanghi provenienti dalla centrale brindisina (i dirigenti Enel sono ora indagati per disastro ambientale e associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti pericolosi). Lo scorso ottobre un altro caso di smaltimento illegale è stato scoperto nel territorio leccese, caso ora affidato alla Direzione distrettuale antimafia. Gli azionisti Enel si sono sentiti ricordare inoltre che il progetto di coprire il carbonile resta in cantiere (da 20 anni). Poi c’è la questione dei gas di serra, dato che il carbone è uno dei combustibili fossili più nocivi anche da questo punto di vista: l’Enel ha speso diversi milioni di euro per un impianto che dovrebbe “catturare” l’anidride carbonica (CO2), ma sequestra in effetti tra l’1 e il 2% – e non fa nulla per catturare anche le emissioni di nichel, piombo, cadmio, mercurio e così via. Una stima dell’Agenzia europea per l’ambiente parla di costi sanitari addebitabili alla centrale tra i 500 e i 700 milioni l’anno per garantire assistenza ai cittadini malati di tumore, leucemie, allergie: ovviamente non sono contabilizzati nei bilanci Enel, ma ricadono tutti sulla collettività. Le analogie con il caso Ilva sono inquietanti…
Di carbone ha parlato anche il “piccolo azionista” Mihai Valeanu, venuto dalla città di Galati, in Romania, dove l’Enel progetta di investire oltre 1 miliardo di euro per costruire una centrale elettrica da 800 MegaWatt – ma, secondo uno studio indipendente, il costo che ricadrà sui cittadini della zona in termini di salute e danno ambientale è stimato in 9 miliardi di euro. Valeanu ha fatto notare che la Romania ha già 4.000 MW di capacità installata per il carbone, ma ne usa in media meno di 1.500 MW. Dunque ha rivolto due domande ai vertici Enel: che faranno dell’energia prodotta? E poi: hanno messo in bilancio i costi della possibile ostruzione del progetto, dato che sono in corso diversi ricorsi legali avviati da comitati di cittadini che chiedono di revocare il nulla osta ambientale? La Romania, dice Valeanu, avrebbe bisogno di investimenti in energie rinnovabili, non di un altro impianto a carbone.
Non solo per la Romania. In effetti, Simona Ricotti (rappresentante del movimento “No coke Alto Lazio”, che si oppone all’uso del carbone nel polo energetico di Civitavecchia) ha ricordato che il piano energetico italiano (sarà rivisto dal governo Letta?) prevede di portare la quota di elettricità prodotta con il carbone al 50% del totale, benché sia quella che “esternalizza” più danni. Nel suo intervento all’Assemblea degli azionisti, Ricotti ha poi ricordato che Enel è indebitata per 43 miliardi di euro, in buona parte a causa di scelte e investimenti sbagliati. Già: il “piccolo azionista” Humberto Millaquir, cileno, ha sottolineato che un pessimo investimento si è rivelato l’acquisto di Endesa, azienda energetica spagnola, che Enel ha assorbito nel 2007 ereditando numerosi impianti e progetti in America Latina. In quel continente i casi di contenzioso sono numerosi, e riguardano per lo più impianti idroelettrici: a cominciare dal progetto di grandi dighe nel bacino del fiume Aysen, nella Patagonia cilena, e di un elettrodotto di oltre 2.000 chilometri per trasferire l’energia nel nord del paese. Il progetto HidroAysèn è oggetto di grandi proteste in Patagonia e in tutto il Cile, con manifestazioni di massa, enti locali in rivolta e azioni legali, tanto che ormai seri dubbi sull’impresa sono stati espressi anche a livello politico: perché oltre al grave danno ambientale e all’ingiustizia sulle popolazioni locali, resta il fatto che la fattibilità economica del progetto è dubbia. E dal 2010 il fronte di società civile e forze sociali riunite nel “consiglio per la difesa della Patagonia” manda un “azionista” alle Assemblee dell’Enel per farlo presente.
Millaquir ha citato poi le dighe in Guatemala (www.recommon.org/il-caso-palo-viejo-in-guatemala) o in Colombia, e ha avvertito gli azionisti: “Enel cerca il consenso delle popolazioni locali in America Latina offrendo programmi sotto la voce ‘responsabilità sociale’, anche per dividere le comunità. Nonostante questo, i progetti sono rifiutati ovunque da grandi opposizioni sociali”.
C’è da sperare che i vertici e almeno i grandi azionisti Enel abbiano ascoltato: perché i cominati e movimenti che stanno dietro a quei “piccoli azionisti” sono ormai uniti in una rete internazionale (www.stopenel.org) e minacciano grandi battaglie: “Porteremo ogni singola violazione dei diritti umani nelle sedi di giudizio europee e internazionali, ogni singola violazione delle normative vigenti ambientali e sanitarie e le rispettive autorizzazioni in tribunale, chiameremo a rispondere di immensi danni e chiederemo risarcimenti”, ha concluso Simona Ricotti, “È bene che gli azionisti lo sappiano: questo avrà un costo enorme per l’azienda, in termini di risarcimenti e di danno d’immagine”.