Anche per il presidente della Commissione europea Barroso ora l’austerità ha “oltrepassato i limiti”. Molti paesi cancellano tagli e mantengono i deficit. Solo l’Italia fa la prima della classe?
PARIGI. Hannes Swoboda, capogruppo S&D all’europarlamento, si è congratulato con José Manuel Barroso, presidente della Commissione, “finalmente uscito da cinque anni di coma”, per aver riconosciuto che, “pur continuando a pensare che la politica di austerità sia fondamentalmente giusta, abbia oltrepassato i limiti” nella zona euro. “Per riuscire – ha aggiunto Barroso – non basta che una politica sia ben concepita: deve godere anche di un minimo di sostegno politico e sociale”.
L’Europa sta voltando le spalle all’austerità? Glielo ha chiesto persino l’Fmi. Ufficialmente, nulla cambia. Il Commissario Olli Rehn, reagendo la settimana scorsa alla tempesta causata dalla rivelazione della serie di errori contenuta nella Bibbia del rigore – lo studio di due economisti di Harvard che stabiliva che un paese che oltrepassa il 90% di debito rispetto al pil è destinato al declino – aveva affermato che non si cambia politica in base a delle critiche. Ma ammette: “il ritmo di aggiustamento di bilancio in Europa si è già rallentato dal 2012”.
Difatti, qualcosa si muove. La Spagna, secondo El Pais, avrebbe ottenuto due anni di tempo di più per rientrare nel 3% del debito, cioè fino al 2016. La Francia e il Portogallo hanno ottenuto un anno di più. Parigi aveva già fatto sapere di non poter rispettare quest’anno l’impegno di riportare al 3% il deficit pubblico, che dovrebbe essere al 3,7% (se non sfiorare il 4% a fine anno). In Portogallo la Corte costituzionale ha bocciato l’austerità ad oltranza. L’Olanda, finora uno dei pilastri del fronte del rigore guidato dalla Germania, sotto la pressione dei sindacati ha rinunciato al piano di austerità. Il governo di coalizione liberali-laburisti ha rinunciato a una riduzione immediata della spesa pubblica di 5 miliardi e ha ammesso che il paese non rispetterà l’impegno di ridurre il deficit pubblico al 3% nel 2014. I salari della funzione pubblica non saranno congelati, il progetto di rendere più facili i licenziamenti è stato rimesso nel cassetto, non verranno ridotti gli assegni di disoccupazione.
“Dopo cinque anni di crisi, José Manuel Barroso ha finalmente riconosciuto la realtà: l’austerità non è efficace né socialmente sopportabile”, ha commentato Swoboda. Bruxelles ha ben capito che anche la Bce ha ormai armi spuntate e che al massimo potrà ancora ridurre di poco i tassi di interesse, già molto bassi (0,75%). Gli ultimi dati europei sono estremamente preoccupanti: dopo un calo del pil dello 0,6% nel 2012, quest’anno ci sarà una recessione a meno 3% del pil complessivo. La disoccupazione salirà all’11%, la domanda langue dappertutto. L’effetto scontato delle politiche di austerità non c’è stato nella zona euro: il debito aumenta invece di diminuire. La maggior parte dei paesi affonda nei deficit e solo la Germania nel 2012 ha chiuso i conti pubblici con un attivo dello 0,3%. I paesi della periferia continuano ad avere un deficit elevato: 10,6% in Spagna, 10% in Grecia, 7,6% in Irlanda, 6,4% in Portogallo, 6,3% a Cipro. Ma anche il cuore della zona euro è in difficoltà: nel 2012 la Francia ha avuto un deficit del 4,8%. L’Italia in crisi fa invece la figura della prima della classe,: 3% di deficit, superata solo da Austria (2,5), Finlandia (1,9%), Lussemburgo e Estonia.
Il conto è stato presentato agli italiani in termini di disoccupazione, perdita di potere d’acquisto e recessione (meno 1% previsto nel 2013), e la risposta è stata il voto di sfida di febbraio. Troppa austerità porta la minaccia di deflazione, hanno messo in guardia vari istituti di ricerca (tra cui il francese Ofce). La zona euro ha migliorato i deficit a un ritmo forsennato, simile a quello imposto all’America latina, all’Asia e all’Africa alla fine del secolo scorso. Le riforme strutturali sono avviate dappertutto. E se questo era lo scopo – limitare i diritti del lavoro – è stato raggiunto alla grande. Adesso si possono allentare le briglie del rigore, per non soffocare il malato con le troppe medicine. Resta da convincere la Germania, che a pochi mesi dalle legislative non sembra per il momento disposta a permettere ai partner di cambiare rotta. Merkel è la nuova Tina (There is no alternative – il motto di Margaret Thatcher). Ma “nella vita ci sono sempre alternative” ha commentato il think tank Bruegel.