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Autonomia, la Corte smonta lo «spacca Italia» di Calderoli

Censurati i due pilastri della legge: la cessione alle Regioni di tutte le materie previste nel Titolo V, l’esclusione del Parlamento sui Lep. La devoluzione deve riguardare «specifiche funzioni» e essere giustificata. La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, su ricorso da altre Regioni.

La legge Calderoli sull’autonomia differenziata è incostituzionale nei suoi due cardini: la devolvibilità alle Regioni di tutte le materie previste dal Titolo V della Carta, nonché le modalità di determinazione dei Lep che escludono il Parlamento dalle decisioni in materia. In più altre norme vanno «interpretate» e attuate in una direzione diversa da quella su cui si stava muovendo il governo. Lo ha detto la Corte costituzionale in un lungo e articolato comunicato in cui ha annunciato le proprie decisioni, che saranno motivate sul piano giuridico nella sentenza che verrà pubblicata ai primi di dicembre.

Una sentenza che «smonta» la contestata legge targata Lega e apre scenari politici ancora da decriptare. Questioni inedite si aprono anche per la Cassazione, chiamata a decidere se vi siano ancora gli estremi per celebrare il referendum abrogativo della legge e, se sì, come riformulare il quesito.

Il comunicato, diffuso ieri – 14 novembre – nel tardo pomeriggio, spiega che la Consulta «ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata», cosa che permette al governo di salvare la faccia. Tuttavia la Corte, dopo un preambolo sui principi solidaristici e unitari della Costituzione repubblicana, spiega che «ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge», con un elenco impietoso, visto che riguarda i cardini del provvedimento.

In primis il fatto che possano essere devolute intere materie o anche tutte e 23 le materie previste dall’articolo 117 della Carta, «laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata». In effetti l’articolo 116 comma 3 parla di «forme e condizioni particolari» di autonomia di competenze.

In secondo luogo il fatto che in tutti i suoi passaggi la legge Calderoli abbia messo nelle mani del solo governo la determinazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) che, insiste il comunicato, «concernono i diritti civili e sociali». In particolare la legge Calderoli affida a uno o più decreti legislativi la determinazione dei Lep, sui quali il Parlamento può solo esprimere un parere; a ciò si aggiunge che la legge delega sia «priva di idonei criteri direttivi». In più, le successive modifiche ai Lep sono affidate a dei semplici Dpcm, decreti della presidenza del Consiglio – di pandemica memoria – su cui le Camere non possono nemmeno dare un parere.

Già l’abbattimento dei due pilastri della legge Calderoli è una Caporetto per il governo Meloni; come se non bastasse i giudici hanno indicato che vanno interpretate in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge: l’escamotage per evitare la bocciatura dell’intera legge, ma che dovrebbe consentire alla Consulta di aprire la strada al referendum abrogativo. «L’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al governo», afferma il comunicato.

Infatti la legge Calderoli prevede che una volta approvata l’Intesa tra il governo e la Regione, le Camere possano solo approvare o respingere la legge che la recepisce, come avviene oggi per le Intese con le regioni. «La legge di differenziazione – spiegano invece i giudici – non è di mera approvazione dell’Intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’Intesa potrà essere eventualmente rinegoziata».

Furbescamente la legge Calderoli, per poter devolvere subito alcune materie a Veneto o Lombardia, prevede che alcune di esse non necessitino di avere dei Lep; ebbene, spiega la Consulta, «se il legislatore qualifica una materia come “no-Lep”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», interpretazione che impedisce la devoluzione disinvolta di molti ambiti di materia.

Dopo aver indicato altri due punti della legge riguardanti la finanza pubblica che vanno interpretati in senso solidaristico e dell’unità nazionale, i giudici concludono con una doccia fredda per i leghisti: «La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre Regioni o in via incidentale». L’opposto di quanto i governatori Luca Zaia e Attilio Fontana e il ministro Calderoli avevano sempre sostenuto, ritenendo le Intese svincolate dal vaglio di legittimità costituzionale.

Articolo pubblicato da il manifesto del 15 novembre 2024