Bruxelles si è prodotta in un nuovo esercizio di miopia. I 27 capi dell’Unione hanno raggiunto un accordo che dà qualche contentino alla retorica di David Cameron sui tagli da fare, e per la prima volta il bilancio europeo si riduce
Dà a François Hollande la possibilità di far pesare la resistenza della Francia, a cui restano i fondi della politica agricola. Dà al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz (Spd), la possibilità di dire che l’accordo “ha riconosciuto il ruolo del Parlamento”. E dà 3,8 miliardi in più a un Mario Monti in veste di candidato alle elezioni. Soprattutto, dà ad Angela Merkel la possibilità di chiudere un compromesso difficile e tenere sotto controllo – a sei mesi dalle elezioni tedesche – un’Unione europea sempre più frammentata.
Se avessero guardato fuori dal loro palazzo, i 27 di Bruxelles avrebbero visto che l’Europa nel 2012 ha avuto una caduta di prodotto e reddito; molti paesi – a cominciare dall’Italia – saranno in recessione anche quest’anno. Avrebbero visto che all’Europa serve una ripresa della domanda: con le esportazioni che non tirano più e gli investimenti sottozero, solo la spesa pubblica può far uscire l’Europa dalla depressione. Con i bilanci dei governi nazionali bloccati dalle regole di Bruxelles, è indispensabile una politica della domanda a scala europea: tasse sulla finanza, tasse ambientali ed eurobond potrebbero finanziare uno sviluppo diverso, la riconversione ecologica del continente, la ripresa produttiva della “periferia” europea, un reddito minimo per tutti. Davanti alla necessità di un new deal per l’Europa, l’ideologia dell’austerità ha infierito con un taglio del 3% su un bilancio che conta meno del 2% della spesa pubblica europea.
Ma chi deve decidere di queste cose? Nei giorni scorsi il Parlamento europeo aveva fatto la voce grossa, minaccando il veto a un bilancio tagliato. I capigruppo, anche dei popolari e dei liberali, ora si dicono decisi a difendere la spesa dell’Europa, ma la pressione dei governi per un via libera sarà fortissima. Il vuoto di rappresentanza e il deficit di democrazia a Bruxelles sono davvero oltre il livello di guardia.
L’Europa è ridotta al braccio di ferro di 27 contabili e la democrazia è ridotta alla lamentela di qualche parlamentare. Intanto, nell’Unione europea ci sono 26 milioni di disoccupati, un lavoratore su sei è a tempo determinato, e una persona su sei è a rischio di povertà. Tra un anno ci saranno le elezioni del Parlamento europeo e sarebbe interessante se tutti questi europei volessero dire la loro sulla direzione che dovrebbe prendere il continente. Ieri a Bruxelles i 27 hanno pensato di ignorare il principio di realtà: la gravità della crisi, gli interessi comuni e le condizioni di vita degli europei. E’ un’operazione che sta funzionando fin troppo bene nella campagna elettorale italiana; fare lo stesso a scala europea potrebbe essere irrimediabile.