Entro novembre si fissa il budget dell’Unione europea per i prossimi sette anni: è l’unico strumento di politica per investimenti strutturali, e lo scontro tra governi stavolta è molto forte. E influenzerà l’Ue per il prossimo futuro
Mentre in Italia si discute di politica interna, delle prossime elezioni, delle primarie, della legge elettorale, di nuovi e vecchi partiti, l’Unione europea si appresta a vivere uno dei momenti più decisivi che ne determineranno il futuro per parecchi anni a venire. Una volta ogni sette anni si decide il budget dell’Ue, cioè il “quanto”, il “come”, ed il “perchè” dell’Europa. Vogliamo più o meno Europa? Come va costruita? E per quali obiettivi?
Le dichiarazioni di intenzioni dei politici, e le analisi degli studiosi e dei commentatori, popolano costantemente il dibattito sull’Europa, ma questo momento decisivo arriva una volta ogni sette anni. Nell’intervallo fra questi momenti è sempre troppo tardi o troppo presto per dare risposte concrete a queste domande.
Il budget dell’Ue è probabilmente l’unico strumento di una politica per investimenti strutturali a lungo termine in Europa. Esso ha una durata formale di sette anni, che però si può estendere fino a nove anni, in virtù di varie regole di gestione. Non esiste nessun altro governo nazionale, regionale o locale in Europa che possa varare un budget di investimenti strutturali per un periodo così lungo, avendo tutti essi un orizzonte limitato, di 4 o 5 anni, fino alle successive elezioni.Esso viene finanziato in gran parte dal contributo degli stati membri, in percentuale sul peso economico relativo di ciascuno, ed in minor parte dalle cosiddette risorse proprie dell’Unione. Tale sistema di finanziamento è la ragione per la quale i governi nazionali mantengono sostanzialmente il maggior potere decisionale su tutte le questioni europee, rispetto ai governi locali o alle istituzioni europee.Mai come quest’anno i negoziati sulle prospettive finanziarie 2014-2020 sono aspri, duri e conflittuali. Da una parte le ristrettezze imposte sui bilanci pubblici spingono gli stati a chiedere di ridurre il budget, dall’altra la delega di maggiori competenze al livello europeo e la decisione di rafforzare le politiche comunitarie richiedono risorse maggiori. Le divergenze fra stati e fra istituzioni aumentano, mentre il tempo a disposizione per prendere una decisione sta per scadere.L’istituzione che rappresenta i governi nazionali, cioè il Consiglio europeo, spinge per un taglio drastico del bilancio dell’Ue. Il Parlamento europeo, l’istituzione che rappresenta i cittadini, richiede invece un aumento significativo delle risorse a disposizione per le politiche europee. La Commissione europea, salomonicamente, ha presentato una proposta che mantiene il budget attuale, per il periodo 2007-2013, seppur con una lieve riduzione in termini reali.Ma anche gli stati, fra di loro, sono divisi. Una crescente visione utilitaristica e di corto termine spinge i cosiddetti contribuenti netti, cioè quei paesi che danno più di quel che ricevono, a chiedere una riduzione del budget comunitario, e i beneficiari netti ad insistere per un rafforzamento. I due gruppi sono piuttosto differenti, per ovvie ragioni. I primi sono i paesi più ricchi, membri più “antichi” dell’Unione, che finora hanno ritenuto conveniente contribuire finanziariamente alla costruzione europea in cambio di una maggiore influenza politica sugli altri. I secondi sono gli stati con un minore reddito pro-capite, spesso nuovi membri del club, e che hanno accettato di adottare le regole comunitarie, in cambio di aiuti sostanziali.Come si colloca l’Italia in questo scenario? L’Italia è già da anni un contribuente netto al budget europeo, oltre ad essere un membro fondatore dell’Unione. Negli ultimi anni era però diventato un membro peculiare: contribuente netto, ma senza grande influenza politica sui nuovi entrati; stato fondatore, ma sempre più lontano dai nodi decisionali. Il merito del governo attuale è quello di avere invertito questa tendenza.Ed è significativo notare la posizione italiana sui negoziati: insistere sulla qualità della spesa, più che sulla sua riduzione; richiedere maggiore trasparenza sull’utilizzo dei fondi; legare la spesa ai risultati ottenuti, nella convinzione che più che il “quanto”, conti il “come”. Purtroppo la visione utilitaristica e di corto termine sembra prevalere fra gli altri paesi.Più o meno Europa, quindi? La risposta alla fine del vertice dei capi di stato e di governo del 22 e 23 novembre a Bruxelles.