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Nuove tecnologie, Intelligenza Artificiale, lavoro

Prima dell’avvento dell’IA l’automazione interessava per lo più il mondo operaio, ora ciò che ci aspetta potrebbe rivelarsi uno tsunami. In più si allargano gli spazi per le élite tecnologiche, per le disuguaglianze, la disinformazione e il controllo. Questi esiti però non sono affatto determinati, possono essere governati.

Premessa

Il grande tema del rapporto tra le nuove tecnologie, compresi ora i sistemi di intelligenza artificiale, da una parte e i temi del lavoro dall’altra è stato da sempre molto dibattuto e continua ad esserlo, si tratta in effetti di un grande campo molto arato; ma i grandi sforzi degli analisi che continuano da molto tempo a occuparsene non hanno portato a risultati del tutto pari all’impegno profuso e le incertezze sul tema restano molto importanti. Nel testo che segue cerchiamo di fare il punto su alcuni aspetti soltanto del dibattito attingendo in particolare a diverse fonti recenti.

Ricordiamo preliminarmente che la questione presenta almeno tre dimensioni, quella dell’influenza delle tecnologie sulla quantità di lavoro, la più controversa, inoltre quella sulla sua qualità e infine sull’influenza che essa può esercitare nella collocazione geografica degli insediamenti produttivi. Bisogna poi ricordare, in particolare per quanto riguarda la questione della quantità di lavoro, che esistono da sempre almeno due scuole di pensiero, quella ottimistica (che pensa in generale che a fronte dei posti di lavoro persi con l’innovazione tecnologica, se ne creeranno ogni volta anche di più) e quella pessimistica, che presenta un quadro più nero della questione. 

-I luddisti

A questo proposito si può ricordare che già nell’Ottocento si registra il notissimo episodio dei luddisti che, secondo quanto si tramanda, cercavano di distruggere le macchine che venivano installate in fabbrica perché temevano che esse portassero alla perdita dei posti di lavoro. Gli ottimisti prendono questo caso come esempio per ricordare che in realtà il progresso tecnologico non distrugge posti di lavoro, ma semmai ne crea ancora di più; ora però qualcuno ha sottolineato che è certamente vero che alla fine si crearono in quel caso dei nuovi posti di lavoro, che bilanciarono anche ampiamente le perdite, ma che essi arrivarono molti decenni dopo rispetto all’introduzione delle macchine, mentre per molto tempo, nell’intermezzo, i lavoratori soffrirono molto e che ci fu in ogni caso una riduzione della vita media degli stessi per il degrado delle loro condizioni. Ma bisogna anche ricordare che i luddisti protestavano anche perché non volevano lasciare le decisioni sull’organizzazione del lavoro alla sola volontà degli imprenditori (la questione si ripropone oggi; si veda più avanti).

Già il caso dei luddisti mostra come sia difficile arrivare a conclusioni certe sul tema. 

-La quantità di lavoro

La questione si ripropone dopo la seconda guerra mondiale, questa volta a seguito dei processi di automazione e di introduzione in particolare dei robot, questione quest’ultima che per decenni rappresentò un vero spauracchio sul tema; seguiranno poi la rivoluzione dell’informatica e di internet, nonché quella nelle parallele tecnologie di telecomunicazione. 

In questo caso, al di là di episodi limitati, la paura si rivelò poi esagerata, in particolare per quanto riguarda i robot, soprattutto perché nei primi tempi le loro prestazioni erano limitate, erano costosi e difficili da maneggiare, per cui la loro introduzione nel mondo della fabbrica è andata avanti molto lentamente. Ora le cose stanno cambiando; i robot di oggi sono molto più flessibili, più leggeri, meno cari e ottengono delle prestazioni migliori, mentre la diffusione degli stessi tende ad accelerare, anche grazie alla fusione del mondo della robotica con quello dell’IA. 

In effetti sta arrivando l’IA, ma si fanno avanti anche diverse altre tecnologie, tra l’altro alcune molto dirompenti, quali la stampa a 3 dimensioni, le biotecnologie avanzate, le nanotecnologie, l’internet delle cose, i chip sempre più potenti, le tecnologie quantistiche, quelle delle telecomunicazioni (dopo il G5, il G6), l’auto a guida autonoma (gli autisti costituiscono circa il 10% di tutta la forza lavoro del mondo), i robot umanoidi.

Prima dell’avvento dell’IA i processi di automazione erano sostanzialmente limitati al mondo operaio, mentre i lavori di ufficio erano pochissimo toccati dal fenomeno. Ora l’I. A. cambia fortemente lo scenario e presenta una minaccia anche ai lavori ad alta specializzazione e capacità. Anzi, paradossalmente, secondo un rapporto della Goldman Sachs del 2023, i sistemi basati sull’IA potrebbero automatizzare il 46% delle mansioni amministrative e il 37% di quelle ingegneristiche, ma soltanto il 6% delle mansioni nel campo delle costruzioni e il 4% in quelle delle riparazioni.

Sempre il rapporto della Goldman Sachs del 2023 stimava che l’IA poteva sostituire in un certo numero di anni l’equivalente di 300 milioni di lavori a tempo pieno, mentre nel gennaio del 2024 il Fondo Monetario Internazionale (Romei, 2024) sottolineava come l’IA poteva toccare circa il 40% dei lavori intorno al mondo e sino al 60% nei paesi avanzati. Nel rapporto ci si preoccupava in particolare dei lavoratori più anziani perché essi non hanno le specializzazioni che sono richieste nell’epoca dell’IA e si potrebbe richiedere più tempo che in passato per acquisire queste nuove. Più in generale lo stesso rapporto sottolineava anche la crescita delle diseguaglianze, come prevedono la gran parte degli scenari.

Uno studio dell’Università della Carolina del Nord indica che ad esempio negli Stati Uniti i progressi dell’IA minacciano l’80% delle donne e il 58% degli uomini (Courrier International, 2024). Questo anche perché le donne dominano largamente le categorie di impiego più precarie, quelle che sono toccate di più dall’IA.

Kristalina Georgieva, direttrice del FMI, ha affermato dal canto suo che l’IA colpirà il mercato del lavoro come uno tsunami

Tra i settori in cui la minaccia di perdita drastica di posti di lavoro appare più concreta e relativamente più vicina si possono segnalare ad esempio molte mansioni nei media e nell’editoria, quello degli autisti, che sembra rappresentino oggi, come già citato, circa il 10% della forza lavoro a livello mondiale (ci sono già delle proteste in proposito in alcune città cinesi in occasione dell’introduzione di servizi di tassì a guida autonoma; segnaliamo, per altro verso, che l’unico canale di informazione televisiva delle Hawaii ha affidato la conduzione del tg a due avatar dotati di IA, tra le proteste dei giornalisti e dei sindacati), interpreti, analisti e promotori finanziari.

Comunque che c’è chi è portato a stimare la perdita di posti di lavoro, almeno entro i prossimi dieci anni, a livelli molto inferiori di quelli sino ad ora indicati da vari studi, come fa un importante economista statunitense (Acemoglu, 2024).

A fronte di tali minacce stanno almeno due forze positive che comunque possono agire in controtendenza. Da una parte bisogna considerare il numero dei posti di lavoro creati dalle nuove tecnologie, che peraltro da soli non sarebbero plausibilmente in grado di colmare il deficit; si sono molto sviluppate, ad esempio, le attività relative all’introduzione dei dati nel sistema con la creazione di milioni di posti di lavoro (localizzati per una parte consistente nei paesi del Sud del mondo; ma sulla bassa qualità di tali impieghi si veda più avanti), mentre bisogna considerare le rilevanti necessità di esperti nelle tecnologie (anche su quest’ultimo tema si veda meglio più avanti). D’altra parte, si registra la tendenza ad un importante calo demografico nei paesi occidentali, e non solo in quelli, tendenza che riduce la pressione sul mercato del lavoro delle persone eventualmente dislocate dalle tecnologie. 

Bisogna ancora considerare la possibile messa in opera di politiche attive del lavoro; va ricordata in proposito la tendenza dalla riduzione degli orari, processo che sta andando avanti qua e là, ancora in ordine sparso.

In ogni caso, per il momento non ci sono segnali massicci di un aumento dei licenziamenti e la disoccupazione nei paesi ricchi è oggi al disotto del 5%, vicina al livello più basso mai registrato (The Economist, 2024, a).

Bisogna considerare poi che se una base tecnica fondamentale è costituita dalla produzione di chip sempre più avanzati, si assiste ad una rilevante carenza di ingegneri e tecnici specializzati nel settore (Joon, 2024). Sono richiesti in particolare specialisti nella scienza dei dati, nell’ingegneria dell’IA, nel machine learning, nella robotica. Così negli Stati Uniti qualcuno stima che al 2029 la carenza toccherà 146.000 persone, mentre per quanto riguarda la Corea del Sud essa viene quantificata in 56.000 unità nel 2031. La McKinsey & Co ha valutato nel 2023 che la necessità di personale specializzato nel settore dell’IA, e non solo nella produzione di chip ma più in generale nell’intero settore dell’IA in Cina, raggiunga i 6 milioni di unità entro il 2030, contro una carenza che potrebbe raggiungere i due terzi del totale. In tale paese un dottorato in tale attività si vede offrire come primo stipendio sino a 135.000 dollari all’anno (ma di cifre simili si parla anche in un paese come la Francia). Sembra peraltro che le autorità cinesi cerchino ora di intervenire in maniera più incisiva sul problema della carenza di tecnici specializzati.

Si tratta comunque di previsioni quantitativamente molto aleatorie, anche se il problema esiste certamente.

-La qualità del lavoro

Mentre sul rapporto tra nuove tecnologie e quantità di lavoro la questione, come abbiamo visto, appare molto controversa, ci sono invece dubbi abbastanza ridotti sul fatto che esse tendano in complesso a ridurre la qualità dello stesso lavoro, anche se non si tratta necessariamente di un risultato inevitabile. 

Intanto una ricerca recente di studiosi tedeschi e statunitensi (Bartleby, 2024) dedicata al mondo delle fabbriche indica che i robot riducono la percezione di senso del lavoro, indipendentemente dall’età dei lavoratori, dal sesso, o dal tipo delle loro competenze e dal tipo di lavoro stesso. Con l’introduzione dei robot il numero dei compiti che rimangono agli umani si riduce, colpendo sia la varietà che la comprensione da parte dei lavoratori del processo produttivo. Il lavoro diventa più rutinario.

Una ricerca da parte di uno studioso dell’Università della Georgia (Bartleby, 2024) indica che i lavoratori che interagiscono di più con i programmi di IA si sentono più soli e bramano invece il contatto sociale. E’ quindi opportuno, suggerisce la ricerca, che le nuove tecnologie siano introdotte in collaborazione con gli addetti e non imposte dall’alto.

Più in generale il settore privato negli Stati Uniti sta perseguendo una politica che spinge sull’automazione e sulla riduzione del lavoro, insieme all’aumento di una sorveglianza intrusiva sui dipendenti; questo potrebbe portare a una riduzione nel livello dei salari insieme a poveri risultati sul fronte della produttività (Edsall, 2024).

In ogni caso i nuovi lavori creati dall’IA tendono ed essere per la maggior parte di qualità poco elevata. A questo proposito bisogna considerare che per quanto riguarda i milioni di posti di lavoro creati nel mondo per l’immissione e il controllo dei dati nel sistema, cui si è fatto già cenno, si tratta di una forza lavoro precaria, che lavora spesso in condizioni molto difficili nei paesi del Sud del mondo, con orari di lavoro molto lunghi, paghe misere e nessuna sicurezza sul futuro e questo al fine di rendere l’IA possibile (Muldoon, Graham, Cant, 2024).

Per altro il deterioramento delle condizioni di lavoro non sembra un destino inevitabile. Alcuni progetti sviluppati in Germania ed in Svezia negli anni scorsi mostrano che politiche attive di intervento possono arrivare a migliorare la qualità del lavoro nel campo delle nuove tecnologie.

Nell’ultimo periodo parallelamente, al di là del settore dell’IA e dell’automazione, sta andando avanti una forte spinta nel mondo alla informalizzazione, frammentazione, casualizzazione, deregolamentazione del lavoro, con l’affermarsi tra l’altro di forme quali i contratti a zero ore, il lavoro a chiamata, il cosiddetto mechanical turk (un compito viene spezzettato in tante piccole fasi, ciascuna delle quali viene poi offerta per l’esecuzione, su internet, al migliore offerente), il decentramento produttivo spinto, nonché le altre singolari attività presenti nella gig economy. 

-La dislocazione geografica

E’ noto come a partire da ormai parecchi decenni fa gli Stati Uniti, ma anche molti paesi europei, hanno avviato un processo di delocalizzazione dei loro investimenti verso i paesi a basso costo del lavoro, in particolare verso l’Asia. Questa spinta ha portato a grandi rivolgimenti nel tessuto economico mondiale; essa ha contribuito ad un gigantesco processo di industrializzazione di tali paesi, mentre ha portato specularmente a risultati contrapposti nei paesi avanzati, cosa che ha avuto come conseguenza la distruzione di molti milioni di posti di lavoro (cinque milioni soltanto negli Stati Uniti, secondo alcune stime).

L’avanzata delle tecnologie, in particolare di quelle legate all’automazione industriale, comportano come conseguenza, almeno sulla carta, che risulterebbe conveniente tornare a produrre in patria, i costi dell’impiego dei robot essendo ormai inferiori a quelli dell’utilizzo dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo. 

Tale tendenza si scontra però con altri fattori di segno opposto, in particolare con il fatto che i mercati degli stessi paesi del Sud del mondo sono molto cresciuti nel frattempo e continuano a farlo e che quindi si consolida una ragione importante nel mantenere degli insediamenti in tali paesi. In effetti gli investimenti diretti nei paesi emergenti stanno ancora proporzionalmente aumentando, non diminuendo.

Lo sviluppo in particolare dell’IA, secondo le prime informazioni disponibili, sembra offrire spinte contradditorie al riguardo. 

Da una parte molti centri dati vengono dislocati, come già accennato, almeno in alcuni di tali paesi (quelli in particolare forniti di abbondanti risorse in termini di spazi, elettricità, acqua), dall’altra i programmi di IA hanno bisogno dell’immissione di enormi quantità di dati manualmente, attività che può essere delocalizzata godendo dei vantaggi di un più basso costo; ma va anche considerato che molte di tali attività tenderanno con il tempo ad essere automatizzate.

-In conclusione

Le tecnologie dell’IA si stanno muovendo velocemente e dovrebbero ancora accelerare il loro ritmo di sviluppo in futuro. In estrema sintesi si può ricordare a tale proposito come l’IA possa portare molti benefici al mondo delle imprese e a quello delle persone. Ma, d’altra parte, è necessario anche sottolineare i rilevanti problemi che essa pone e che abbiamo cercato di elencare nel testo. 

C’è una questione più generale che riguarda il settore e su cui vogliamo alla fine concentrare l’attenzione. Siamo poi sicuri che le nuove tecnologie ci porteranno veramente dei benefici importanti?

Le tecnologie non si sviluppano autonomamente. Qualsiasi tecnologia può essere usata per il bene o per il male; ciò che conta in ultima analisi è chi la controlla, quali sono i suoi obiettivi e a quale tipo di regolamentazione è soggetta (Acemoglu, 2024).

La direzione della tecnologia non è in effetti, come quella dei venti, una forza della natura al di là del controllo degli uomini. Niente è preordinato e la sua direzione futura non è stata ancora scritta. I progressi tecnologici come quello dell’IA non portano automaticamente ad una prosperità diffusa, possono portare a beneficiarne soltanto un ristretto numero di grandi gruppi con le loro élite al comando, come ci ricordano con forza due tra i più noti economisti statunitensi (Acemoglu, Johson, 2023).  

I moderni sistemi di IA allargano in effetti e di molto gli strumenti nelle mani delle élite tecnologiche, permettendo loro di creare nuove strade per automatizzare il lavoro, far crescere le diseguaglianze e la disinformazione e controllare le persone, incrementando la produttività e risolvendo i problemi cui deve far fronte l’umanità. In realtà essi possono minacciare la democrazia.

Ma l’IA potrebbe essere ridiretta in una direzione diversa più attenta alle persone; ci vorrebbe in effetti un cambiamento nella direzione dell’innovazione tecnologica, sostenuta anche al livello dei governi (Edsall, 2024). Abbiamo bisogno di istituzioni pubbliche molto più forti per tenere a bada e governare le aziende tecnologiche. L’IA, invece di degradare il lavoro, potrebbe aiutare i differenti tipi di lavoratori a svolgere meglio i loro compiti, creando un’occupazione che abbia maggior senso con potenziale di crescita dei salari e riduzione delle diseguaglianze. 

E’ necessario che noi facciamo delle scelte per dividere i benefici delle tecnologie e per ridurne le conseguenze avverse. Ci sono vie diverse da quelle attuali per ridistribuire il potere nelle nostre società e per dirigere in una direzione diversa il mutamento tecnologico attraverso un processo democratico (Acemoglu, Johnson, 2023). 

La tecnologia può contribuire alla prosperità comune soltanto quando è governata dai diritti, principi, valori, democratici e dalle leggi che sostengono tali valori nelle nostre vite quotidiane. Conteranno molto la pressione sociale e gli incentivi finanziari per ridirigere la futura direzione delle tecnologie digitali. La società e il governo dovranno lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo indicato (Acemoglu, Johnson, 2023).

Testi citati nell’articolo

Acemoglu D., Don’t believe the AI hype, Project Syndicate, 21 maggio 2024

-Acemoglu D., Johnson S., Power and progress, Basic Books UK, Londra, 2023

-Bartleby, Machines and the meaning of work, The Economist, 27 luglio 2024

Courier International, Un pas de plus vers la précarité, numero speciale « Vivre avec l’IA, marzo-aprile 2024

-Edsall T. B., Will A. I. be a creator or a destroyer of Worlds?, www.nytimes.com, 5 giugno 2024

-Joon J., Chimakers face a labour crisis, www.ft.com, 13 agosto 2024

-Muldoon J., Graham M., Cant C., Feeding the machine : the hidden human labour powering AI, Canongate books, Edimburgo, 2024

-Pollard J., Study suggests ways to overcome high failure rate in AI projects, www.asiafinancial.com, 30 agosto 2024

-Romei V., IMF warns of  “profound concern » over rising inequality from AI, www.ft.com, 17 giugno 2024

The Economist, A sequence of zeroes, 6 luglio 2024, a

The Economist, It doesn’t compete, 24 agosto 2024, b