Il punto sulle imminenti elezioni legislative in Francia, le più importanti della Quinta Repubblica. Dopo aver sciolto l’Assemblea Nazionale in seguito al tracollo delle europee, il Presidente Macron scherza col fuoco, con il serio rischio di un governo di estrema destra. La speranza è il Front Populaire.
“Io o il caos”. Fu questa la strategia elettorale adottata da Charles de Gaulle, leader della Resistenza e Presidente della Repubblica francese tra il 1959 e il 1969. Nessun programma politico, nessuna campagna per il voto: un uomo solo di fronte al popolo che prometteva di scongiurare il disordine rappresentato dall’eventuale vittoria dei suoi avversari socialisti. Oggi, a quasi settanta anni di distanza, Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica dal 2017 e rieletto nel 2022, sta proponendo una prova di forza molto simile, con il rischio che l’estrema destra lo soppianti al potere.
Ma a che gioco sta giocando il capo dell’Eliseo? Pur disponendo di una maggioranza relativa all’Assemblea Nazionale che gli ha permesso di far passare la maggior parte delle sue leggi fino ad oggi – tra cui una riforma delle pensioni molto controversa –, Macron come è noto ha sciolto l’Assemblea subito dopo le recenti elezioni europee che hanno visto la larga affermazione del Rassemblement National (Rn, con il 31,37% delle preferenze) e la pesante sconfitta del suo partito Renaissance, presentatosi come capofila della coalizione Besoin d’Europe, ferma al 14,6%.
Macron, l’apprendista stregone
A sinistra si ripete spesso che Macron non costituisca uno “sbarramento all’estrema destra” (barrage à l’extrême droite), per usare un’espressione francese molto popolare, ma un vero e proprio trampolino di lancio. Lo si è visto appunto domenica scorsa, quando il Presidente della Repubblica ha annunciato lo scioglimento della Camera bassa con grande sorpresa di tutti, compresi i leader della sua stessa formazione politica, per niente contenti di dover rimettere in gioco la loro posizione di deputati e ricominciare la campagna elettorale.
I francesi sono dunque chiamati nuovamente a votare per l’elezione dei loro rappresentanti il prossimo 30 giugno e il 7 luglio, al secondo turno, con la concreta possibilità che la Camera bassa del Parlamento francese si venga presto a trovare in una situazione senza precedenti dal 1958, ovvero senza una chiara maggioranza. «Con questo gesto un po’ azzardato, Emmanuel Macron potrebbe aver messo fine alla sua esperienza politica», ha dichiarato a Le Monde Denis Baranger, professore di diritto pubblico all’Università Paris-Panthéon-Assas.
Un gesto un po’ azzardato che, in realtà, Macron non era obbligato a fare, nonostante sia vero il fatto che il suo gruppo parlamentare non godesse di buona salute fin dall’inizio della legislatura, nel giugno 2022. Con una maggioranza relativa di 250 deputati su un totale di 577, il governo e i suoi alleati hanno dovuto usare tutti gli stratagemmi possibili consentiti dalla Costituzione del 1958 per portare avanti la legislatura, compreso il ripetuto ricorso all’articolo 49, paragrafo 3: Elisabeth Borne, Prima Ministra fino al gennaio 2024, ha battuto ogni record utilizzandolo ben 23 volte.
Questa norma, molto criticata in Francia, consente al governo di assumersi la responsabilità dell’approvazione di un disegno di legge senza dover far ricorso al passaggio del voto parlamentare e quindi senza bisogno di una maggioranza assoluta a sostegno del provvedimento in questione. Ed è così che – per riprendere l’esempio più recente ed eclatante sopra richiamato – la riforma delle pensioni, con cui è stato introdotto il pensionamento a 64 anni (rispetto ai precedenti 62), grazie all’articolo 49, paragrafo 3, non è stata votata nemmeno una volta dall’Assemblea Nazionale. Si è trattato insomma di una forzatura, che del resto illustra bene la concezione macronista del parlamentarismo. Una concezione, evidentemente, non molto democratica.
Detto ciò, l’esito impietoso del voto delle elezioni europee ha messo il partito di Macron con le spalle al muro. Ma perché annunciare lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale già la sera stessa dei risultati che hanno certificato la vittoria dell’estrema destra? Emmanuel Macron ha forse ceduto improvvisamente al desiderio di restituire al popolo le chiavi del suo destino? Su questo, i dubbi sono leciti.
A tal proposito, come ha riportato di recente il quotidiano tedesco Bild, Ursula von der Leyen avrebbe dichiarato durante una cena con i dirigenti della CDU che il piano di Macron sia in realtà piuttosto semplice: consegnare le chiavi del potere al Rassemblement National per dimostrare al popolo francese l’“incompetenza” dei suoi esponenti. L’idea, pertanto, sarebbe quella di catapultare il Rn al potere adesso per evitare che lo conquisti in occasione delle elezioni presidenziali del 2027.
Se i sondaggi elettorali sono credibili, il prossimo governo in Francia potrebbe dunque essere di estrema destra. In tal caso quest’ultima salirebbe al potere per la prima volta attraverso le urne, dal momento che Philippe Pétain, il leader collaborazionista dello “Stato francese” dal 1940 al 1944, non fu eletto.
Un brutto clima
Macron non ha torto nel ritenere che il Rassemblement National sia formato da una classe dirigente incompetente. Né Jordan Bardella, che assumerebbe il ruolo di Primo Ministro in caso di vittoria, né la leader del partito Marine Le Pen sono all’altezza delle sfide che la Francia deve affrontare, dall’incontenibile crescita delle disuguaglianze al deterioramento del welfare e dei servizi pubblici, dall’alto debito pubblico alla necessità di confrontarsi con la sfida della transizione ecologica.
Peggio ancora, il Rassemblement National esprime posizioni nazionaliste e xenofobe, se non apertamente razziste. Che il suo eventuale governo duri un mese o un anno, si muoverà su una linea politica antisindacale e contraria all’immigrazione, all’inclusione e alla transizione ecologica. In un simile clima, è poi prevedibile che prospereranno ancora di più di quanto già stiano facendo i movimenti dell’estrema destra, fomentati peraltro da 15 anni di retorica sempre più diffusa tanto a livello istituzionale quanto a livello mediatico, in particolare grazie alle reti di Vincent Bolloré, imprenditore miliardario e proprietario di giornali, canali televisivi e stazioni radiofoniche che ha molto contribuito alla diffusione del vocabolario e delle idee di estrema destra nel dibattito pubblico e politico francese.
Già oggi i segnali non sono affatto buoni. Il 16 giugno scorso un uomo ha tentato di creare scompiglio durante un raduno di Eid-el-Kebi nella periferia di Parigi. Con un’arma da fuoco in mano, è stato neutralizzato dai presenti all’evento. Ad Angers, bande di nazionalisti hanno attaccato il concerto di un rapper lo scorso 15 giugno. A Lione, dove l’estrema destra è molto presente, militanti neonazisti marciano invocando “ratonnades” (violenza organizzata contro cittadini di origine araba o nordafricana) e aggredendo i passanti.
Va detto a questo proposito che le autorità francesi hanno spianato la strada all’estrema destra: leggi liberticide, repressione violenta delle manifestazioni, utilizzo sproporzionato di armi “non letali” (flashball, gas lacrimogeni, granate disinnescanti, cannoni ad acqua) per mantenere l’ordine, con 23 persone che hanno perso un occhio per mano della polizia e 5 che hanno subito l’amputazione di una mano durante le manifestazioni dei “Gilets jaunes”. Occorre anche ricordare che gli effettivi delle forze dell’ordine francesi (police e gendarmerie) hanno in larga maggioranza sostenuto alle urne il Rassemblement National.
Tutto questo è accaduto prima della possibile affermazione elettorale del Rassemblement: che cosa succederà dopo?
La fin de l’histoire ou la fin de l’espoir?
Nonostante i più che giustificati timori per il possibile insediamento di un governo di estrema destra tra meno di un mese, un raggio di speranza c’è. È la creazione di un’ampia coalizione progressista, che comprende quasi tutti i partiti di sinistra e centro-sinistra, tra cui La France Insoumise (LFI), Parti communiste français (PCF), Europe – Écologie Les Verts (EELV), Parti socialiste (PS). Questa coalizione è stata chiamata Nouveau Front Populaire, in riferimento alla famosa alleanza nata nel 1936 per sconfiggere la destra e porre fine alla minaccia del fascismo francese che aveva quasi rovesciato la Repubblica il 6 febbraio 1934.
Il Front Populaire del 1936, che fu guidato da Léon Blum, rimane ancora oggi un punto di riferimento per la sinistra francese grazie all’eredità politica e culturale delle profonde riforme sociali adottate, tra cui la riduzione della settimana lavorativa a 40 ore e l’introduzione di due settimane di ferie pagate. Ottantotto anni dopo, il nuovo fronte popolare del 2024 potrebbe avere la meglio? Innanzitutto, la formazione di questo fronte progressista ha messo i bastoni fra le ruote a quanti nel campo dell’attuale maggioranza di governo si aspettavano di rigiocare la partita delle elezioni presidenziali del 2017 e del 2022, ovvero Macron contro Le Pen.
Inoltre, nonostante questa unione progressista appaia per molti versi sorprendente – riunisce infatti i membri più centristi del Partito socialista, tra cui l’ex presidente della Repubblica François Hollande, e piccoli partiti trotzkisti come il Nuovo partito anticapitalista (NPA) –, essa appare comunque un candidato credibile per la vittoria alle prossime elezioni. Alcuni sondaggi danno ad esempio il Rassemblement National in testa con circa il 33% e il Front Populaire appena dietro con il 27%. Il partito macronista, invece, crollerebbe sotto la soglia del 20%.
In ogni caso, per quanto eterogeneo, il Nouveau Front Populaire si presenta con un programma radicale di rottura con il macronismo: tra le misure proposte vi sono infatti un nuovo impianto di giustizia fiscale di segno progressivo e redistributivo, l’aumento del salario minimo netto a 1.600 euro al mese, l’indicizzazione dei salari all’inflazione, finanziamenti massicci per i servizi pubblici, gli ospedali e la transizione ecologica, la riforma degli aiuti alle grandi imprese, una politica di accoglienza e inclusione sui rifugiati, il ritorno all’età pensionabile a 62 anni, l’abrogazione dell’iniqua riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione.
Per finanziare questo ambizioso programma elettorale, il Nouveau Front Populaire intende ripristinare la tassa sul patrimonio abolita da Emmanuel Macron nel 2018, tassare i super-profitti (in particolare nei settori dell’energia e dell’agroalimentare) e riformare la progressività dell’imposta sul reddito. Verrebbero inoltre abolite diverse misure di esenzione fiscale così come la flat tax sui redditi da capitale imposta da Macron: secondo le stime degli economisti che hanno lavorato alla definizione del programma del Nouveau Front Populaire, soltanto queste due ultime misure potrebbero portare nelle casse dello Stato francese fino a 28 miliardi di euro.
In conclusione, le prossime legislative del 30 giugno e 7 luglio sono senza dubbio le elezioni più importanti dell’intera Quinta Repubblica. La speranza è che i francesi non cedano al ricatto di Emmanuel Macron: “io o il caos”. Né lui né il caos, possibilmente.