L’Ips stima che le corporation americane, nell’ultimo anno, abbiano pagato per i manager più che per le tasse federali. Mentre la crisi aumenta sempre più le disparità sociali
La crisi sta incrementando le disparità all’interno dei sistemi economici occidentali, incrementando le sacche di povertà e dando vita a scenari inaccettabili. Gli Stati Uniti rappresentano meglio di altri paesi questo trend: il 15.1% della popolazione (47mln) vive sotto la soglia della povertà mentre i manager delle grandi corporation percepiscono stipendi milionari e beneficiano di politiche fiscali privilegiate. I manager non risentono certo degli effetti negativi causati dall’attuale congiuntura economica ma sono invece l’emblema di chi, nonostante la crisi, continua ad approfittare delle scappatoie presenti nel sistema finanziario.
Questo è uno dei motivi che ha favorito la nascita del movimento di protesta Occupy Wall Street, contro la crescente ingiustizia sociale, provocata da un sistema finanziario privo di regole e da un sistema economico poco attento alla dimensione sociale.
A questo proposito il think tank americano Ips (Institute of Policy Studies) ha redatto l’annuale rapporto relativo agli eccessi dei top manager. Pubblicato nel mese scorso, tale studio evidenzia i comportamenti adottati dalle corporation americane al fine di evadere le imposizioni fiscali nazionali. Tale condotta viene portata avanti tramite l’“offshoring” (ovvero il registrare il centro principale dell’attività di un’azienda in paesi dove non vigono regimi di imposizione fiscale) o attraverso sgravi fiscali ottenuti in modo fraudolento, portando avanti attività fittizie di tipo benefico o di pubblica utilità.
Lo studio dimostra, riportando nomi e dati, come ogni singola società attui la propria strategia di evasione fiscale, riuscendo a pagare i propri manager più di quanto la stessa società destina in tasse federali.
Come riescono però questi giganti economici a evadere totalmente le imposte o a pagare cifre irrisorie?
Le attività di queste multinazionali sono caratterizzate da un forte investimento creativo e monetario indirizzato a strutturare un sistema di evasione fiscale solido e duraturo, basato sulla ricerca di scappatoie legali e su una continua azione lobbistica nel Congresso.
Senza una pressante azione di lobbying sarebbe impossibile riuscire a trovare scappatoie atte a favorire la crescente evasione che ha caratterizzato, negli ultimi sessant’anni, la diminuzione delle entrate fiscali nelle casse dello Stato. Nel 1952, come cita lo studio dell’Ips, le imposte versate dalle aziende a beneficio dello Stato equivalevano al 52,8% del totale; nel 2010 questa percentuale era scesa al 10,5%, il tutto a dispetto di un aumento del numero delle multinazionali rispetto a quelle presenti nel 1952. A oggi le prime 25 corporation in tema di evasione investono, complessivamente, più di 150mln di dollari l’anno in lobbying per fare pressione sui membri del Congresso affinché disegnino leggi capaci di essere aggirate. Possiamo quindi considerare centrale il ruolo di questa attività, ed evidenziare la forte collusione che lega gli interessi di queste aziende a quelli dei membri del Congresso. Non sarebbe infatti troppo definire il sistema statunitense fatto su misura per le corporation, come afferma lo stesso rapporto.
L’Ips analizza 25 corporation (tra le quali Verizon, General Electric, Ebay e altre), descrivendo i sistemi di evasione fiscale che queste mettono in atto, e mostrando come ogni società possa godere di generosissime deduzioni fiscali e dispensare generosissimi compensi per i loro top manager.
Lo studio mostra, ad esempio, come la Prudential, grande multinazionale che gestisce varie attività finanziarie e immobiliari, abbia approfittato di un programma statale volto a fornire alloggi per i cittadini meno abbienti. Rinnovando un albergo di sua proprietà situato in un’area abitata da studenti, secondo lo stato classificabili come cittadini “low income” (nonostante pochi lo fossero davvero), la società è riuscita a ottenere una notevole esenzione fiscale, facendo rientrare quella attività all’interno del suddetto programma statale di aiuti, gonfiando le spese e compiendo in realtà un’attività rientrante nelle spese aziendali.
Un altro sistema di evasione fiscale perpetrato da varie società consiste nel già citato “offshoring”: un caso emblematico è quello della Marsh & McLellan, un gigante americano delle assicurazioni. Questa società ha ridotto la sua quota di imposizione fiscale registrando 105 sussidiarie in 20 diversi paradisi fiscali. Almeno 25 di queste sono registrate nelle isole Bermuda, territorio molto noto tra le compagnie assicurative a causa di un regime di assenza di imposizioni fiscali per le transazioni finanziarie.
Tutto ciò rappresenta, come sottolinea il rapporto, un ulteriore segnale di come il gap tra chi ha troppo e chi ha troppo poco sia ben lungi dall’assottigliarsi e anzi continui ad aumentare, proprio in tempi in cui mancate entrate come quelle citate potrebbero tradursi in una maggiore spesa pubblica. A sostegno di ciò l’Ips calcola che “nel 2009, i manager più importanti hanno ricevuto un compenso 263 volte superiore a quello di un lavoratore medio. Lo scorso anno, il gap è salito a 325 a 1”.
La seconda parte del rapporto propone un quadro delle iniziative governative presentate nell’arco degli ultimi anni per porre fine a questo trend. A questo proposito l’Ips propone una propria “scheda di valutazione” basata su 5 principali linee guida: 1. Incoraggiare il restringimento del gap tra i compensi dei manager e dei lavoratori; 2. Eliminare le sovvenzioni dei contribuenti per i compensi eccessivi dei manager, in quanto varie imposte e scappatoie contabili hanno creato numerose possibilità per le corporation di dedurre le imposizioni fiscali e concedere eccessivi compensi per i loro manager 3. Incoraggiare limiti ragionevoli ai compensi totali dei top manager 4. Dare maggiore voce in capitolo agli azionisti, in modo da prendere decisioni congiunte anche sui compensi dei top manager 5. Prendere in considerazione le istanze di un maggior numero di stakeholder, quali consumatori, impiegati e membri appartenenti a contesti sociali influenzati dell’operato delle corporation.
Il provvedimento governativo che finora ha maggiormente soddisfatto queste 5 linee guida è stata la riforma finanziaria Dodd-Frank, diventata legge nel Luglio del 2010. La riforma viene considerata come il più radicale e incisivo provvedimento preso nei confronti del sistema finanziario dai tempi della Grande Depressione. Esso prevede, tra l’altro, l’istituzione di una “Securities and Exchange Commission” (Sec), responsabile dell’implementazione di una serie di iniziative regolatrici previste dal suddetto provvedimento. L’eccessivo compenso dei Ceo è un problema che la riforma ha affrontato regolamentando e istituendo forme di controllo da parte degli stessi azionisti dell’azienda. L’obiettivo è controllare l’entità dei compensi dei top manager attraverso delle riunioni con cadenza triennale, nelle quali gli azionisti si esprimono, tramite una votazione, riguardo ai salari degli amministratori delegati. I Ceo dovranno dunque pagare per gli eccessivi compensi ricevuti durante il triennio precedente al rendiconto contabile. Il Sec (Securities and Exchange Commission, organo creato per l’attuazione dalla riforma, ndr) prevede di adottare misure destinate al recupero degli eccessivi compensi dei manager entro la fine del 2011.
Nonostante la potenziale bontà della riforma, questa è stata nella pratica svuotata della sua efficacia. L’attività delle lobby bancarie ha garantito in primo luogo che le agenzie di rating fossero tutelate da ogni tentativo di regolamentazione stringente; un risultato non da poco, alla luce dell’enorme conflitto d’interessi esploso in occasione della crisi dei mutui subprime; in secondo luogo, il ruolo dell’agenzia per la protezione del depositante e dei consumatori di servizi finanziari, uno dei capisaldi della Dodd-Frank, è stato fortemente ridimensionato. Le lobby bancarie, insieme alle corporation, sono state abili nel convogliare i propri interessi all’interno della battaglia politica cosi da riuscire a mantenere invariati i loro privilegi, nonostante la volontà concreta da parte di Obama e dei suoi di mettere un freno agli eccessi del sistema finanziario.
A seguito della stesura di questo rapporto l’Ips ha dato il via a una campagna finanziata da privati, che si propone di portare avanti un’opera di sensibilizzazione e di pressione politica per porre fine all’eccessivo compenso ricevuto dai Ceo e all’evasione delle tasse da parte delle corporation.
La campagna ha poche settimane di vita ma sembra già riscuotere un discreto successo, sintomo del sentimento di frustrazione che accomuna i cittadini, non più disposti a sopportare il crescente stato di disuguaglianza e finalmente decisi a scendere in piazza in difesa dei loro diritti.