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Stellantis e le grandi dismissioni dall’Italia

La lenta agonia degli stabilimenti ex-Fiat, oggi Stellantis, in Italia appare ormai inarrestabile. Un lungo processo di dismissione industriale che affonda le sue radici nell’era Marchionne, ma a cui la gestione targata Tavares ha dato una sferzata determinante. La mappa degli stabilimenti e delle crisi.

Il processo di dismissione dall’Italia da parte del quarto gruppo automobilistico più grande al mondo, Stellantis, è ormai consolidato. La multinazionale erede della ex-Fiat prima e di FCA poi non sembra infatti intenzionata concretamente (ovvero, al netto di annunci talvolta roboanti che troppo spesso si sono ridotti ad un nulla di fatto) ad investire nei suoi stabilimenti italiani, accelerando in questo modo un processo che affonda le sue radici nella fase antecedente alla fusione con PSA. Considerando l’assetto del settore automotive in Italia, è evidente tuttavia che la dismissione di Stellantis desta preoccupazione non soltanto per le sorti produttive ed occupazionali degli stabilimenti del gruppo: al contrario, ciò che succede in Stellantis ha, a cascata, un impatto su tutta la filiera produttiva. 

Da questo punto di vista, la presenza di un unico produttore su tutto il territorio nazionale rappresenta un’eccezione rispetto ad altri Paesi, come Germania e Francia, dove coesistono più gruppi. Tale anomalia è da ricondurre naturalmente al ruolo non solo industriale, ma anche e soprattutto politico che la Fiat ha avuto in questo Paese. L’indotto che si è sviluppato intorno ai siti ex-Fiat è di conseguenza fortemente integrato con la produzione di questi stabilimenti, arrivando in molti casi a lavorare in monocommittenza il gruppo italo-francese. Diventa quindi evidente che la dismissione innescata da Stellantis non si ferma ai muri degli impianti della multinazionale, ma il suo impatto ha dei risvolti negativi per le aziende che producono componentistica. In questo scenario si salva solo la motor valley emiliana, con aziende della componentistica fortemente integrate nella produzione tedesca. 

Tuttavia, va detto che l’attuale processo di dismissione dei siti industriali italiani portata avanti dall’AD Carlos Tavares si inserisce in un solco già tracciato dalla Fiat (poi FCA) di Marchionne: si pensi ad esempio alla chiusura dello stabilimento di Termini Imerese nel 2011, che peraltro ha innescato una lunga vertenza che si trascina ancora oggi. Ma anche al netto dei casi estremi di chiusura, il sottoutilizzo degli impianti ex-Fiat dettato dal calo dei volumi è una costante ormai da oltre un decennio. Il combinato disposto di riduzione della produzione e dell’utilizzo strutturale della cassa integrazione quale strumento di gestione della manodopera rispetto ai flussi produttivi rappresenta l’elemento centrale del processo di ristrutturazione negli stabilimenti ex Fiat. Non a caso lo stabilimento di Mirafiori è al suo diciassettesimo anno consecutivo di cassa integrazione, mentre a Pomigliano d’Arco la cassa integrazione durata quindici anni si è conclusa solo a inizio 2024, ma senza certezza alcuna per i prossimi modelli allocati. 

L’attuale gestione ha quindi impresso un’ulteriore, decisiva, accelerazione del processo di ristrutturazione e dismissione dei siti produttivi in Italia. I dati che emergono dall’ultimo report trimestrale della FIM-CISL sono esemplificativi e permettono di tracciare un quadro della situazione produttiva ed occupazionale degli stabilimenti. Il primo dato, complessivo, da sottolineare riguarda il crollo nella produzione di autovetture rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, -23,8%. A questo calo contribuiscono tutti gli stabilimenti di assemblaggio di auto, fatta eccezione per Pomigliano d’Arco, mentre Mirafiori e Melfi hanno dimezzato la produzione e Cassino registra un -40%.  

La situazione più critica attualmente riguarda Mirafiori, lo stabilimento di cui più si è parlato negli ultimi mesi anche grazie allo sciopero unitario indetto da tutte le sigle sindacali il 12 aprile. Il tracollo produttivo della storica fabbrica di auto è dovuto principalmente al calo nei volumi della 500 elettrica, che contribuiscono per il 90% alla diminuzione della produzione. A questo si aggiunge un taglio anche sui modelli Maserati, che da poco più di due anni sono stati portati in produzione a Mirafiori coerentemente con la strategia di massimo efficientamento e taglio dei costi perseguita da Stellantis, comportando così la chiusura dello stabilimento di Grugliasco dove Marchionne aveva progettato di creare il “polo del lusso”.  

Gli scenari certo non sono rosei, dato che si prospetta una produzione complessiva per il 2024 intorno ai 50.000 veicoli, ovvero ben 35.000 in meno rispetto al 2023. Rispetto alla fine del 2015 gli addetti alla produzione nel polo torinese si sono praticamente dimezzati, passando da 6415 a 3220, e con l’accordo di fine marzo sono stati firmati oltre 1000 altri esuberi, la maggior parte degli Enti Centrali, ma con una riduzione di 300 addetti anche in carrozzeria. L’ulteriore ridimensionamento degli Enti Centrali indica nuovamente che il management di Stellantis non ha alcuna intenzione di puntare sulle strutture torinesi in quanto a ricerca e sviluppo. 

L’altro stabilimento che nella scala di preoccupazione della Fiom si colloca al secondo posto dopo Mirafiori è quello di Cassino, dove il primo trimestre ha fatto registrare una diminuzione del 40,7% rispetto al 2023, con solo 8.540 unità prodotte su un solo turno. Attualmente sono tre i modelli in produzione: l’Alfa Romeo Stelvio rappresenta poco più della metà della produzione, la Maserati Grecale quasi il 30%, ed il restante è composto dall’Alfa Romeo Giulia. Anche a Cassino l’impatto occupazione è stato devastante, con una perdita di oltre 1300 addetti tra la fine del 2015 e oggi, a cui si andranno a sommare gli ulteriori 820 esuberi tramite uscite incentivate firmati a fine marzo. La riorganizzazione in corso in vista dell’arrivo delle nuove piattaforme STLA Medium e STLA Large rischia in ogni caso di aver prodotto un impatto sull’occupazione che non verrà riassorbito quando entreranno in produzione i nuovi modelli. 

Il terzo stabilimento in ordine di criticità è quello di Melfi, dove i volumi hanno subito un dimezzamento rispetto allo stesso periodo del 2023. Attualmente vengono prodotti tre modelli: la 500x, che rappresenta metà della produzione, la Jeep Renegade e la Jeep Compass. Il tracollo dei volumi produttivi si fa ancora più marcato se lo si confronta con il primo trimestre del 2019, rispetto al quale la diminuzione si attesta sul 62%. Anche lo stabilimento lucano è stato interessato da un massiccio ricorso alle fuoriuscite volontarie incentivate, che dal 2021 all’esodo di 1600 dipendenti, portando l’occupazione a quota 5.570 lavoratori e lavoratrici e mandandone oltre 700 in trasferta a Pomigliano. 

Melfi ha visto le assegnazioni di cinque nuovi modelli full-electric, i quali dovrebbero portare lo stabilimento alla saturazione produttiva nel 2026. Benché la creazione di indotti fortemente caratterizzati dalla monocommittenza per Stellantis rappresenti un elemento comune per tutti i siti di assemblaggio del gruppo, tale condizione è particolarmente marcata nel caso di Melfi – le ragioni di ciò si ritrovano nell’apertura di questo sito nel 1994 come ‘prato verde’. La politica di Stellantis di internalizzare produzioni dell’indotto ai fini di massimizzare l’efficientamento e la razionalizzazione del proprio processo produttivo, unito al calo dei volumi, sta quindi mettendo a durissima prova l’indotto, in cui lavorano all’incirca 3000 persone, in un territorio peraltro socialmente ed economicamente fragile come quello lucano.  

Pomigliano d’Arco ed Atessa infine sono i due stabilimenti che in questa congiuntura destano meno preoccupazioni, pur ponendo delle questioni di medio termine. In controtendenza rispetto ai primi tre siti analizzati, a Pomigliano la produzione è cresciuta del 26% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, trainata principalmente dall’incremento dei volumi della Panda, che ha compensato la diminuzione registrata nei volumi dell’Alfa Romeo Tonale e della Dodge Hornet, gli altri due modelli attualmente in produzione. Il calo occupazionale registrato a Pomigliano negli ultimi otto anni è di 600 addetti, e nonostante il 2024 abbia segnato la fine di quindici lunghi anni di cassa integrazione, l’accordo per le fuoriuscite incentivate di fine marzo porterà altre 425 persone a lasciare lo stabilimento campano. 

Il sito di Atessa, dove si fabbricano veicoli commerciali leggeri, è ormai da anni l’unico sito non interessato da ammortizzatori sociali, grazie a una continua richiesta di mercato per via del boom di logistica ed e-commerce in questi ultimi anni. Tuttavia, il recente avvio del cosiddetto “stabilimento gemello” di Gliwice, in Polonia, pone il concreto rischio che quei volumi siano sottrattivi rispetto lo stabilimento abruzzese. Inoltre, nonostante l’assenza di crisi o importanti cali produttivi, dal punto di vista occupazionale anche questo sito ha visto un ridimensionamento di oltre 1400 addetti negli ultimi otto anni. Tale ridimensionamento è da ricondurre, sotto l’aspetto produttivo, a un aumento dell’automazione nei reparti di lastratura e verniciatura, ma soprattutto da un aumento vertiginoso dei ritmi produttivi – elemento, quest’ultimo, che sta avendo un impatto drammatico sulla salute di chi lavora sulla linea di montaggio, specialmente in termini di stress da lavoro correlato e malattie professionali. Sotto l’aspetto dell’impiego, invece, la riduzione si è operata principalmente tramite l’interruzione dei rapporti di lavoro in somministrazione e staff leasing, per quanto con l’accordo di marzo si siano siglate anche le prime uscite incentivate, seppur in un numero limitato, ossia per 25 addetti.  

Seguendo il mantra della riduzione dei costi, non solo la direzione di Stellantis ha perseguito una strategia spietata di razionalizzazione nei propri stabilimenti italiani, riducendo all’osso i servizi più base come la pulizia delle fabbriche, ma sta anche decidendo di investire proprio dove i costi sono più contenuti. Che esista un trend di delocalizzazione verso l’est Europa non è una novità: gli stabilimenti in Polonia e in Serbia sono in diretta competizione con i siti italiani per l’allocazione dei modelli produttivi ormai da tempo. Oltre al già citato caso di Gliwice, dove vengono fabbricati veicoli commerciali leggeri in volumi che si teme siano sottrattivi rispetto alla ex-Sevel della Val di Sangro, si è parlato molto del nuovo modello della Alfa Romeo, che inizialmente doveva chiamarsi ‘Milano’ e che in seguito alla polemica del Ministro Urso è stata ribattezzata ‘Junior’, prodotta nello stabilimento di Tychy insieme a Fiat 500, Jeep Avenger e Lancia Ypsilon. 

Sia lo stabilimento di Tychy che quello di Gliwice si trovano nella Zona Economica Speciale (ZES) di Katowice. A fine 2020, a ridosso dell’ufficializzazione della fusione con PSA, FCA aveva già stretto un accordo di investimenti su Tychy in vista dei nuovi modelli ibridi ed elettrici. Gli sgravi fiscali, uniti ad un costo del lavoro molto più esiguo – in Polonia un operaio Stellantis guadagna intorno gli €800 al mese – rendono particolarmente attrattivi questi due siti industriali. Si è molto parlato anche del caso di Kragujevac, lo stabilimento serbo dove è attualmente in produzione la 500L e dove è stata assegnata la nuova ‘Pandina’ elettrica, grazie a €190 milioni di investimenti di cui €48 messi dal governo serbo. Anche qui, oltre al contributo pubblico negli investimenti, va notato che un operaio serbo guadagna circa €600 al mese.  

La vera novità sembrerebbe rappresentata dal nuovo impulso di investimenti verso il Nord-Africa, nell’ottica di un’espansione nel mercato della regione. Nonostante i volumi dei siti in Algeria e in Marocco non siano ancora sostitutivi rispetto alle produzioni in Italia, gli investimenti sono stati ingenti, coerentemente con una politica di sfrenata compressione dei costi: lo stipendio medio di un operaio Stellantis in Marocco si aggira sui €320 al mese, mentre in Algeria €250 al mese. In Marocco, nella fabbrica di Kenitra, dove attualmente si produce la nuova Fiat Topolino e che in futuro vedrà la produzione della Fiat Multipla, Stellantis ha avviato €300 milioni di investimenti per allargare lo stabilimento con l’obiettivo di raddoppiare la capacità produttiva. Nello stabilimento algerino di Orano, aperto a fine 2023, si produce invece la Fiat 500 Hybrid, e sono stati di recente annunciati €200 milioni di investimenti.    

Insomma, il quadro degli stabilimenti italiani di Stellantis e dell’intero settore non è certo roseo, né lo sono le prospettive occupazionali e produttive. Il tavolo sull’automotive che si è recentemente insediato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy non ha ancora portato a soluzioni concrete alla dismissione in corso. In questa sede Stellantis si è limitata a chiedere incentivi per l’acquisto di macchine elettriche, sussidi per efficientare gli stabilimenti e sgravi fiscali sui costi dell’energia, mentre il governo ha dimostrato di non avere nemmeno un abbozzo di idea di politica industriale per la transizione ecologica, per un altro modello di mobilità e per il sostegno al reddito di lavoratori e lavoratrici del settore. Certo è però che non basterà qualche incentivo o qualche sgravio fiscale a garantire la tenuta dell’industria automotive in Italia. 

Fonti: 

Fim Cisl (2024), Stellantis. Report Fim Cisl su dati produzione e occupazione 1° trimestre 2024, 5 aprile 2024. https://www.cisl.it/wp-content/uploads/2024/04/Stellantis-FIM-CISL-Report-produzione-I%C2%B0-Trimestre-2024.pdf