La tragedia norvegese segna la fase che stiamo vivendo. E ci costringe a interrogarci sulla questione dell’intolleranza in un’Europa dove il populismo di destra dilaga
Le terribili notizie dalla Norvegia ci colpiscono in molti sensi. Ci si continua a chiedere, in questi giorni, come succeda che fatti assolutamente impensabili si verifichino nelle nostre società “avanzate”; quali i rischi, quali le prospettive per un futuro che vorremmo di benessere, di convivenza pacifica.
Ancora più semplice: come funzioniamo noi, esseri umani.
Uno dei molti aspetti sui quali ci interroghiamo è la dimensione dell’“intolleranza”.
Nelle informazioni che sono disponibili sulla persona che ha organizzato e messo in atto questi tragici eventi, leggiamo di dichiarazioni che si rifanno a principi di contrapposizione, di intolleranza appunto. In una società che ha portato la popolazione a elevati livelli di istruzione, che ha una tradizione di apertura culturale, che riconosce i diritti fondamentali, ci troviamo di fronte a una manifestazione di assoluta chiusura alle diversità e di prospettive inconciliabili con un disegno di convivenza “multiculturale”.
Dunque, confrontandoci con un avvenimento inedito – per la brutalità e la complessità delle motivazioni che hanno segnato le decisioni dell’assassino – ancora una volta torniamo a elaborarle, a dibatterle, queste questioni: l’intolleranza, le contrapposizioni, il razzismo.
Dati e vicende che sono ricorrenti nella storia dell’umanità.
Letture della storia, analisi della fase che stiamo vivendo: confronti, distinzioni e approfondimenti. Che si possa arrivare a posizioni ed equilibri mai raggiunti nel passato: che si stia in qualche modo cambiando, noi “umani”.
Ma poi ci sono questi momenti: ci si interroga sulle pericolose illusioni di progresso, sui convincimenti che le condizioni del presente portino al rifiuto della violenza. Siamo davvero in tanti a sentirci incapaci di trovare un senso a tutto questo: ciò che è avvenuto, cosa potrebbe succedere in futuro.
E come ci si colloca di fronte a questo.
I drammatici eventi della Norvegia, un caso estremo. Ma anche: i dati che mostrano, in molti paesi europei, il diffondersi di atteggiamenti di chiusura, di populismo, di destra. Le implicazioni della crisi economica, le difficili prospettive per i prossimi anni. Non si sente più parlare, in Francia e in Italia, di cosa succeda ai profughi dal Nord Africa: silenzio nella politica e nei media (anche se ci sono state dichiarazioni di condanna, a livello della Comunità europea, delle misure adottate). E molto altro.
Ci si sente bloccati.
Ma bisogna continuare in qualche modo a fare domande, a cercare strade, a porci di fronte ai problemi. A lavorarci: è un’occasione per ripeterlo.