Autointervista di un ingegnere un po’ scettico sul post-centrali e sui gloriosi e immancabili destini delle rinnovabili di grande taglia. Per andare nel futuro servirà un cambio di paradigma e una decisa propensione al risparmio energetico
E dunque la Germania esce dal nucleare…
Si, ma non è una novità. Dopo la tragedia di Fukushima l’annuncio della Merkel di chiudere definitivamente 3 delle 17 centrali oggi attive e temporaneamente altre 4 per verifiche e modifiche ha avuto un notevole rilievo sui media. Ma in realtà in Germania la decisione di abbandonare il nucleare era già stata presa da tempo. Nel 2000 il governo rosso-verde di Schroeder aveva annunciato ufficialmente l’intenzione di uscire dal nucleare: una successiva legge del 2002 stabiliva in 32 anni il tempo massimo di funzionamento delle centrali e quindi una graduale uscita al compiersi di questa scadenza. I sostenitori del nucleare (e in primo luogo le compagnie elettriche interessate, naturalmente) contestavano questa decisione e contavano sul cambio di governo per modificarla. E in effetti il 25 gennaio del 2010 il secondo governo Merkel (quello senza i socialdemocratici e i verdi, per intenderci) rivedeva la decisione del 2002 e stabiliva di prolungare di 25 anni l’esercizio delle 17 centrali in funzione. Poi, appena un anno dopo, Fukushima ha costretto a una ulteriore brusca svolta.
Quindi però ciò che era in discussione era solo la vita residua delle centrali esistenti. In altri termini i tempi dell’uscita, ma non l’uscita stessa.
D’accordo. D’altronde in Germania negli ultimi trent’anni non è stata ordinata nessuna nuova centrale nucleare: è quindi evidente che non c’era nessuna ipotesi concreta di “rilancio”. Non solo: se le centrali sono, come sono, vecchie, e si avvicina per esse – per quanto lo si voglia ritardare – il momento della fine della vita produttiva è anche chiaro che di fatto non si pensava neanche alla sostituzione del nucleare esistente. In altri termini la decisione dell’uscita era implicita, ma c’era già.
Potremmo dire che la Germania ha solo fatto il suo “outing”.
Si può dire anche così. E possiamo anche aggiungere che sono prevedibili parecchi altri “outing” a breve da parte di altri paesi europei (con l’eccezione naturalmente della Francia): la Svizzera lo ha già fatto e altri seguiranno. La situazione in realtà è generale: tutti sanno di dover uscire e vogliono uscire, ma sono spaventati dall’idea di dover rivelare condizioni, costi e tempi della chiusura (“decommissioning”) delle centrali esistenti. In questa situazione il tentativo estremo del governo italiano di un “rilancio”, nei mesi precedenti allo tsunami giapponese e al referendum appariva decisamente maldestro, quasi grottesco direi. Tutti vogliono uscire, ma non hanno il coraggio di dirlo: noi, che eravamo fuori da 24 anni proclamavamo di voler rientrare…
Forse esageri un po’… ma torniamo alla Germania: l’apporto del nucleare (circa il 22% della produzione) sarà quindi sostituito dalle energie rinnovabili, eolico e fotovoltaico soprattutto?
No, occorre fare chiarezza su questo punto. Nella produzione elettrica eolico e fotovoltaico non potranno sostituire delle centrali termoelettriche, nucleari o convenzionali che siano. La ragione è assai semplice e, mi sembra, facilmente comprensibile.
In ogni istante dell’anno vi è una domanda di energia elettrica, un “carico”, come dicono gli addetti ai lavori. Ad esempio in Italia si va dai 20 GW (20.000 MW) delle ore più “scariche” (in genere le ore notturne dei giorni festivi) ai 56 GW della “punta” annuale (per molti anni la punta annua si è verificata con grande regolarità intorno alle 11 del mattino del terzo mercoledì di dicembre: da qualche anno giorni estivi particolarmente caldi sono entrati in competizione con la storica punta invernale).
In un anno, ricordiamolo, ci sono 8.760 ore. Gli impianti a fonti rinnovabili producono in modo ovviamente discontinuo e non regolabile (quando c’è sole o c’è vento). Ad esempio in Germania le condizioni medie di ventosità sono tali per cui gli impianti eolici producono per circa 2.000 ore l’anno (in Italia un po’ meno): gli impianti fotovoltaici producono per poco più di 1.000 ore l’anno. E per le altre 6-7.000 ore dell’anno? È evidente che serve la capacità di produrre energia elettrica anche in queste ore: servono cioè delle centrali regolate e comandate dall’uomo per coprire in ogni istante il “carico”. È evidente anche che questa capacità produttiva (e la relativa potenza) deve essere una quota molto grande della produzione totale perché le ore “scoperte” sono tante e perché sole e vento non sono mai del tutto prevedibili. Al limite potrebbe esserci un giorno senza sole e senza vento: e se questo giorno fosse il terzo mercoledì di dicembre per essere del tutto sicuri la “copertura” da centrali convenzionali dovrebbe essere totale: cioè gli impianti eolici e fotovoltaici sarebbero “un di più”.
Ma allora tutte le notizie apparse in questi giorni come “…In Germania l’elettricità da fonti rinnovabili al 50 o addirittura all’80% del fabbisogno al 2030 o al 2050?…”
Ho fatto qualche ricerca per risalire alle fonti di queste notizie. Ci sono state, sembra, anche dichiarazioni di esponenti del Governo, non so se un po’ emotive o infedelmente riportate. Ma non ho trovato nessun documento serio che spieghi come ciò si possa fare. Se lo trovo cambierò idea: ma al momento resto della mia convinzione che è quella che l’apporto delle fonti rinnovabili (e di eolico e fotovoltaico in particolare) non può superare un – diciamo – 30-35% della produzione totale.
Ma se in pochi anni di impetuoso sviluppo in Germania la produzione da eolico ha superato l’idroelettrico…
Certo, in Germania sono state fatte delle cose ragguardevoli (e anche a costi molto ragguardevoli, direi). Ma guardiamo ai numeri: oggi la produzione da eolico rappresenta il 6,4% del totale della produzione elettrica e quella da fotovoltaico lo 0,6%. Bisogna poi dire che questo sviluppo, è stato “pompato” da formidabili incentivi: la produzione da eolico veniva pagata 42 cent. al kWh, mentre il costo di un kWh da fonti convenzionali è di 6-7 cent. Ora gli incentivi sono stati fortemente ridotti e di conseguenza questo sviluppo, a giudizio di tutti gli osservatori, rallenterà notevolmente. Siamo ancora assai lontani dal 30-35% che io ho indicato come limite.