Le ragioni di un nuovo intervento pubblico, che assuma un ruolo propulsivo nello sviluppo. Riflessioni sul Manifesto lanciato dall’Associazione Sylos Labini
Il Manifesto proposto dall’Associazione Paolo Sylos Labini è un tentativo per attrarre soggetti e organismi di diversa estrazione politica e culturale dopo il tracollo del modello liberista e della teoria neoclassica che lo sorreggeva. Credo che papà sarebbe stato contento di questa iniziativa che sottolinea alcuni punti sui quali – ascoltato da pochi – si pronunciò nel corso della sua vita (per esempio la critica dei mercati in concorrenza perfetta).
Negli ultimi trenta anni le politiche neoliberiste non solo hanno prodotto un divario sempre più ampio nella distribuzione del reddito ma hanno alimentato anche la finanziarizzazione dei profitti delle grandi imprese e delle banche. Si tratta di fenomeni che già da tempo avrebbero dovuto frenare la crescita dell’economia se il ristagno dei salari non fosse stato compensato da un aumento continuo dell’indebitamento privato, che ha permesso di sostenere la domanda aggregata e quindi l’espansione dell’economia mondiale.
Per far fronte al crollo della fiducia nella capacità di rispettare gli impegni di pagamento ed alla conseguente distruzione di moneta fiduciaria creata dal mercato attraverso l’indebitamento, i governi e le banche centrali di tutto il mondo hanno attuato degli interventi colossali con il debito pubblico e la base monetaria. Così è stata scongiurata una depressione prolungata dell’economia mondiale, però non sono state rimosse le cause reali che hanno portato alla crisi del settembre 2008, mentre in tutti i paesi avanzati si sono venuti a creare dei debiti pubblici che sarà molto difficile ridurre anche nel medio periodo. La carta dell’intervento pubblico è stata giocata in modo discutibile perché il denaro pubblico è stato immesso a monte del sistema, per rifinanziare le banche e le imprese, e non a valle, sul lato delle classi sociali più svantaggiate, per sostenere i consumi e l’occupazione e quindi l’economia reale. L’impressione è che si sia intervenuti affinché nulla cambi: gli interventi hanno mirato a mantenere in piedi il modello di sviluppo che è andato avanti negli ultimi trenta anni. Ora si potrebbe aprire una nuova fase economica e politica se l’espansione dei debiti pubblici non sarà accompagnata da una ripresa robusta e duratura dell’economia. Ma è difficile prevedere quale sarà la direzione, se regressiva e caratterizzata da violenza e protezionismo o espansiva attraverso l’immissione di nuova base monetaria per finanziare i deficit pubblici e, in Europa, attraverso il lancio degli Eurobond.
Quel che è certo è che oggi il settore privato non ha la capacità di assumere un ruolo propulsivo nello sviluppo dell’economia, per questo è necessario rilanciare l’intervento pubblico per trainare la crescita. Qui in Italia occorre ideare una missione nazionale per costruire un’economia meno dipendente dai combustibili fossili, a minore impatto ambientale e che sia in grado di creare occupazione stabile e ben retribuita. Si tratta di sfruttare le nostre vocazioni – per esempio nell’impiantistica, nella metalmeccanica e nelle produzioni agroalimentari – e di valorizzare le risorse naturali e il patrimonio artistico e culturale di cui disponiamo. Per questo penso che sia necessaria una politica di programmazione utilizzando tutti gli strumenti disponibili e cioè la domanda pubblica centrale e locale, le imprese ancora controllate dallo Stato, i centri di ricerca e le università, la leva fiscale, la partecipazione attiva dei lavoratori ai processi di innovazione. In più, è assolutamente indispensabile una maggiore responsabilizzazione del sistema bancario da perseguire anche attraverso la costituzione di un Nuovo Patto Sociale tra sindacati, banche e imprese.
Per concludere, spero che le linee di azione indicate dal Manifesto possano essere utili per consentire al centrosinistra di elaborare un progetto politico coerente diversamente da quel che è accaduto nel 2006.