Il petrolio brasiliano, il gas russo. Come le risorse naturali dei Bric cambiano l’asse energetico mondiale. Con numerose conseguenze
“…per i paesi nel cui territorio esso viene trovato…il petrolio può essere un grande beneficio o una maledizione, in relazione a come esso viene usato…” (The Financial Times)
“…Dio è brasiliano…” (Luiz Inacio Lula da Silva)
Premessa
E’ ormai un’opinione molto diffusa, che trova scarse obiezioni, l’idea che il centro dell’attività economica del mondo si stia spostando dai paesi sviluppati ad un gruppo di quelli emergenti. Bisogna ricordare, a questo proposito, che predire il futuro è certamente un esercizio piuttosto complicato, ma, almeno sulla base dei dati e delle informazioni che abbiamo a disposizione, l’ipotesi sopra indicata sembra in ogni caso molto plausibile.
Si discute così, ad esempio, in quale anno il Pil cinese supererà quello degli Stati Uniti e la data dovrebbe collocarsi, secondo le varie previsioni, tra il 2020 e il 2030, per quello che semplici proiezioni basate sugli andamenti storici recenti possono valere. Per quanto riguarda l’India, l’orizzonte apparirebbe un po’ più lontano, ma il fenomeno del sorpasso sugli Stati Uniti dovrebbe essere un fatto compiuto prima del 2050. Inoltre, da qualche anno, più in generale, si è posta l’attenzione sui paesi cosiddetti del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) come quelli destinati a conquistare presto l’egemonia del mondo o, per lo meno, a condividerla con i vecchi poteri.
Naturalmente, il futuro potrà smentire tutte le previsioni di questo tenore, o, invece, mostrare delle conferme in tempi anche più vicini a noi del previsto.
Se tutto peraltro può ancora accadere, ci sono dei settori produttivi nei quali il cambiamento è già avvenuto, o sta avvenendo sotto i nostri occhi. Si pensi ad esempio al business dell’acciaio, che è ormai da tempo quasi un monopolio cinese, o a quello dell’elettronica di consumo, anch’esso feudo da tempo dei produttori asiatici, per non parlare di tessile, abbigliamento, industria del mobile, cantieristica, ecc.; la lista completa appare ormai abbastanza lunga, mentre si annunciano nuove aree di conquista a breve termine.
Il settore del petrolio e del gas
Un settore certamente emblematico di quanto sta succedendo e potrà accadere in un prossimo futuro, con tutte le possibili conseguenze, oltre che economiche, anche politiche, è quello energetico.
Così, già oggi la percentuale delle risorse petrolifere controllate direttamente dai paesi produttori si aggira, secondo diverse valutazioni, intorno all’85% del totale, mentre le grandi imprese occidentali trovano crescenti difficoltà a mantenere degli spazi di movimento nel settore. Esse potevano, sino a poco tempo fa, giocare ancora delle carte importanti sul mercato mondiale grazie al loro superiore know-how tecnologico nei processi di ricerca ed estrazione del minerale e a livello del controllo delle risorse finanziarie necessarie per gli investimenti, ma tali vantaggi comparati si vanno a poco a poco esaurendo, il secondo apparentemente più rapidamente del primo.
Per capire meglio in che direzione stiano marciando le cose, ricordiamo a questo punto due rilevanti casi recenti, il primo che riguarda il Brasile e il comparto del petrolio, il secondo la Russia e quello del gas.
Premettiamo che nelle ultime settimane sono stati annunciati nel mondo e con grande fanfara diverse scoperte di nuovi giacimenti. Così una società statunitense, la Anadarko, ha comunicato l’individuazione di un nuovo bacino petrolifero molto importante lungo 1100 chilometri e che va dalle coste del Ghana a quelle della Sierra Leone. In Brasile, la Petrobras e la British Gas hanno annunciato anch’essi la scoperta di un grande giacimento al largo delle coste del Brasile; essa fa peraltro seguito ad un altro rinvenimento nello stesso paese comunicato qualche mese fa ed è stata seguita dopo pochi giorni da un’ informazione su di un altro nuovo giacimento divulgata dalla British Gas; tutto questo dovrebbe fare del Brasile un grande produttore di energia entro il 2020. Qualche giorno prima la British Petroleum aveva fornito un’analoga informazione per quanto riguarda il golfo del Messico. Intanto Chavez ha fatto sapere che in Venezuela è stato individuato un grande giacimento di gas, con il contributo anche del gruppo Eni, oltre che della spagnola Repsol.
Ricordiamo a questo punto ed in via preliminare che tutti i numeri relativi al settore del petrolio e del gas sono in genere grandemente incerti, sia per le difficoltà, in molti casi, di fornire valutazioni precise, sia, soprattutto, per la volontà degli stati e delle imprese direttamente interessati di pilotare le informazioni fornite al mercato secondo i loro particolari e contingenti interessi.
Ciò premesso, si può affermare che le notizie apparse di recente sulla stampa e relative alle nuove scoperte non sembrano comunque tali da mutare significativamente il quadro di riferimento che si conosceva già e che appare quello di un progressivo esaurirsi delle risorse energetiche (Hoyos, 2009). Le nuove scoperte, in effetti, non sembrano cambiare molto le cose a livello globale – anche se esiste ancora qualche incertezza sulle loro reali dimensioni- ed esse sembrano comunque abbastanza più ridotte come importanza rispetto a quelle che si facevano qualche decennio fa. Inoltre, va anche considerato che gli investimenti per lo sfruttamento dei giacimenti esistenti sono sostanzialmente parecchio più bassi di quanto sarebbe possibile e che comunque il tempo necessario per portare al pieno sfruttamento un giacimento appena scoperto appare molto lungo (The Financial Times, 2009). Comunque, il momento del peak oil – cioè della punta massima di produzione- a livello mondiale, secondo almeno alcune stime, potrebbe arrivare molto presto, se non è già arrivato; in ogni caso, ormai dagli anni ottanta consumiamo ogni anno più petrolio di quanto ne troviamo di nuovo (Salvioli, 2009).
Il caso brasiliano
In relazione alle importanti e recenti scoperte di nuovi giacimenti, il presidente Lula ha dichiarato che il paese si pone due priorità, quella di mantenere il petrolio in mani brasiliane e quella di assicurare che i proventi relativi siano impiegati a favore del popolo brasiliano.
A questo ultimo proposito, il governo ha dichiarato che con i proventi del sottosuolo sarà creato un fondo sociale dedicato alla lotta contro la povertà, all’educazione, alle infrastrutture, alle nuove tecnologie. Per molti paesi, specialmente quelli più piccoli e politicamente più fragili, come può essere in effetti ora il caso del Ghana e della Sierra Leone, la scoperta di giacimenti di petrolio o di gas può essere di frequente una sciagura, con il carico di corruzione, sprechi, lotte intestine, che essa può comportare. Quindi sembra corretta la previsione del governo brasiliano di programmare con molto anticipo le strade migliori per l’utilizzo delle risorse finanziarie collegate alle nuove scoperte.
Per quanto riguarda invece la priorità del controllo nazionale sulle risorse, un progetto di legge, che dovrebbe essere discusso dal parlamento entro relativamente poche settimane, prevede che per lo sfruttamento del petrolio si passi dal tradizionale sistema della concessione, usato sino a ieri anche in Brasile, a quello degli accordi di production sharing, o PSA.
Come è noto, con il primo sistema le società petrolifere ottengono la proprietà e la disponibilità del petrolio che estraggono dai giacimenti pagando una semplice royalty, più o meno elevata, al governo. Invece con il sistema di production sharing il petrolio rimane di proprietà dello stato e alle società petrolifere viene soltanto ceduta una parte dei proventi a pagamento dei servizi forniti.
Secondo il progetto governativo, verrà creata una nuova società, la Petro-Sal, a proprietà interamente pubblica, incaricata di controllare tutti gli accordi di PSA. Essa avrà il diritto di veto su ogni decisione che prenderanno i vari consorzi varati per la ricerca e la produzione del petrolio. In particolare, la nuova struttura dovrebbe anche controllare il ritmo di produzione dei giacimenti e collegarlo di volta in volta agli obiettivi politici ed economici del paese. In tali consorzi operativi la società di stato Petrobras dovrà poi avere almeno il 30% del totale delle quote e dovrà essere comunque l’operatore principale.
Naturalmente le imprese occidentali e i circoli finanziari non sono molto d’accordo con questo sistema ed avanzano molti argomenti per difendere la loro posizione (Wheatley, 2009), suggerendo, tra l’altro, che la Petrobras non avrebbe tutte le competenze e le risorse umane e finanziarie necessarie per portare avanti i progetti ed anche che, alle condizioni delineate nel disegno di legge, le imprese occidentali potrebbero non essere interessate a partecipare allo sfruttamento dei giacimenti. Ma il paese sembra avere tutte le intenzioni di andare avanti.
Incidentalmente va ricordato che la sola Petrobras investirà nelle nuove scoperte circa 174 miliardi di dollari entro il 2013 – i fondi dovrebbero venire da un grande aumento di capitale e da prestiti internazionali (Macallister, Carroll, Philips, 2009; Wheatley, 2009); non mancano i soliti cinesi-, mentre la gran parte del petrolio non sarà esportata, ma dovrà servire alle necessità del paese (Bezat, 2009, b).
Va ricordato che un progetto per alcuni aspetti simile a quello del Brasile è stato messo in campo di recente in Iraq dal governo; le società occidentali acquisiscono dei contratti in cui esse vengono pagate soltanto per la fornitura dei loro servizi di ricerca e di produzione e comunque con prezzi che hanno lasciato la bocca molto amara alle imprese che hanno partecipato alle aste.
Il caso del gas russo
Il secondo caso che sembra opportuno ricordare fa riferimento al manifestarsi di un conflitto sempre più evidente tra la politica energetica messa a punto a suo tempo dall’Unione Europea e la realtà delle esigenze impellenti dei singoli stati e delle loro imprese nel settore.
Ricordiamo che l’Unione Europea sponsorizza da tempo la costruzione del gasdotto Nabucco, un’iniziativa “strategica” secondo l’Unione, che dovrebbe servire a ridurre la dipendenza del vecchio continente dal gas russo e comunque a contribuire a liberalizzare il mercato dell’energia. Ma è noto che, parallelamente, i russi stanno portando avanti due progetti differenti. Il primo, il cosiddetto North Stream, dovrebbe collegare la Russia alla Germania, passando sotto il Baltico e ad esso partecipa attivamente la stessa Germania; il secondo, denominato South Stream, dovrebbe trasportare il gas russo attraverso il mar Caspio verso l’Europa del Sud e ad esso partecipa anche l’Eni. Nonostante le smentite che vengono da qualche parte e che affermano che i tre progetti sono tutti necessari, in realtà essi, specialmente il Nabucco e il South Stream, appaiono concorrenti, viste anche le incerte stime relative alla reale disponibilità di gas da far passare attraverso tali impianti. In ogni caso, le due pipeline indicate dovrebbero evitare che l’80% del gas russo destinato all’Europa occidentale continui a passare attraverso l’Ucraina (Bezat, 2009, a).
Mentre il progetto Nabucco incontra diverse difficoltà tecniche e politiche, giunge notizia nelle ultime settimane (Bezat, 2009, a) che anche la Francia vuole partecipare alle due iniziative sponsorizzate dalla russa Gazprom. Così viene annunciata l’imminente conclusione delle trattative tra la stessa Gazprom e la francese GDF Suez per l’ingresso della seconda, con una quota rilevante, nel capitale di North Stream; parallelamente, si apprende che sono stati avviati dei negoziati per l’ingresso della EDF, sempre francese, nel capitale di South Stream.
A questo punto, il fronte antirusso appare in frantumi e la politica energetica dell’Unione Europea sembra seguire la stessa sorte sotto i colpi dei rapporti di forza e delle pressanti esigenze dei singoli stati nazionali. Il BRIC sembra, in ogni caso, vincere ancora una volta.
Testi citati nell’articolo
– Bezat J.-M., La construction de l’Europe de l’énergie se heurte à l’hyperpuissance de Gazprom, Le Monde, 17 settembre 2009, a
– Bezat J.-M., Au Brésil, l’Etat et Petrobras resserrent leur controle sur la production de pétrole, Le Monde, 18 settembre 2009, b
– Hoyos C., Oil strikes not enough to quench demand, The Financial Times, 18 settembre 2009
– Macalister T., Carroll R., Philips T., BG’s brazilian oil find will ‘dwarf’ BP’s strike in the US Gulf coast, www.guardian.co.uk, 9 settembre 2009
– Salvioli L., Il paradigma della crescita non supererà il picco del petrolio, Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2009
– The Financial Times, Oil on the brain, 18 settembre 2009
– Wheatley J., Critics warn Brasil oil plan will deter investors, www.ft.com, 7 settembre 2009