Dal summit straordinario di Washington tante indicazioni generali ma nessun intervento per imbrigliare i mercati finanziari. I registi del nuovo sanno di vecchio
Il mondo è cambiato, l’obsoleto G7 finalmente viene archiviato, aumentano gli attori e le potenze in un mondo multipolare, ma difficilmente cambieranno le politiche economiche e finanziarie ancora di stampo liberista, sebbene siamo al cospetto di una crisi sistemica forse senza precedenti. Questo sembra emergere dal summit straordinario del G-20 sui mercati finanziari e l’economia mondiale di sabato scorso a Washington. Le aspettative erano limitate, a partire dal fatto che il vertice è stato convocato dallo screditato Presidente Bush e mancava il nuovo inquilino della Casa Bianca che si insedierà solo a gennaio. Così come le divisioni e le diverse filosofie di approccio al tema della regolamentazione finanziaria tra le varie potenze del pianeta erano ben note e difficilmente si sarebbe potuto ricomporle in un incontro di poche ore – altro che una conferenza di Bretton Woods, che nel 1944 durò ben 22 giorni.
Ciò nonostante l’esito dell’incontro fornisce numerose indicazioni su quello che i principali paesi del pianeta cercheranno di muovere nei prossimi mesi alla ricerca di un nuovo equilibrio, prima tra loro e poi per i mercati finanziari. E’, infatti, l’inizio di una partita che si svolgerà appieno nel 2009, in parallelo alla recessione economica, con una serie di vertici, tra cui un G8 allargato in Italia a luglio potrebbe essere determinante. Due i terreni di negoziato centrali: 1) la riforma della governance globale e il potere che si dovrà in parte devolvere a favore delle economie emergenti; 2) le politiche economiche e finanziarie internazionali che un “nuovo consenso” potrebbe promuovere in maniera non conflittuale. Mentre sul primo punto si ritorna a parlare di maggiore democrazia nella istituzioni finanziarie internazionali e si decide che il Forum per la stabilità finanziaria venga subito allargato anche alle economie emergenti, allo stesso tempo il documento finale non menziona mai o devolve alcun compito al sistema delle Nazioni Unite, come richiesto invece dalla maggior parte dei paesi più poveri – non rappresentati nel G20 – e unanimemente dalla società civile globale. Sul secondo punto i timori sono ancora più marcati, visto che le economie emergenti sembrano assecondare per il momento il mantra liberista, oggi in difficoltà ma sempre dominante, e che quindi potrebbe ritrovare un nuovo impeto. Sorprende come i leader dei venti paesi più influenti al mondo si impegnino a voler chiudere la prima fase di negoziati di “Doha” alla Wto in 40 giorni, dopo un fallimento durato più di sette anni. Un accordo che sulle basi attuali promuoverebbe nuove liberalizzazioni a danno della maggior parte della popolazione del Pianeta, per altro senza aiutare in maniera sostanziale la crescita economica globale, come indicano tutte le simulazioni economiche. Ancora più preoccupante poi la volontà del G20 di dare nuovi compiti, mandati e risorse alle istituzioni di Bretton Woods – da cui una reale possibilità di avere forse al riguardo entro fine 2009 una sorta di nuova Conferenza monetaria e finanziaria internazionale – senza analizzare le responsabilità di queste due istituzioni nell’averci portato sull’orlo del tracollo globale in nome del fondamentalismo di mercato. Al Fondo si vuole dare un ruolo centrale di advisor sulle politiche macro-finanziarie e alla Banca mondiale un ruolo forte nella finanza per l’export. In sostanza, il G20 guarda alle solite istituzioni di Bretton Woods come i “nuovi” registi della fase due della globalizzazione liberista, aiutandole così ad uscire dall’impasse in cui versano.
Bush, per poi essere chiari fino in fondo, ha chiuso il vertice ricordando che lui è stato e sarà sempre il difensore del libero mercato. Obama per il momento parla di interventi keynesiani – inevitabili – a casa, ma non si sbilancia sulla sua visione globale, per non inimicarsi subito le lobby finanziarie ed esorcizzare così l’idea di un regolatore globale a cui gli Usa sono da sempre allergici. Su questo il comunicato finale del vertice di Washington è stato tranchant: la regolamentazione è affare nazionale, ben venga che solo i supervisori – ossia principalmente le banche centrali – si coordinino tra loro. Così i nani nazionali pensano di addomesticare l’unico gigante globale creato da questi stessi fino ad oggi, ossia il mercato unico dei capitali. In più, nessuna parola sulla necessità di tornare a controllare il movimento dei capitali, ed almeno sgonfiare un po’ il mercato globale altamente speculativo – figuriamoci menzionare la parola eretica delle “tassazioni” sulla transazioni finanziarie. I cinque principi che il G20 ha tracciato per la riforma dei mercati finanziari sono stati scritti volutamente in maniera generica, così da assicurare i mercati finanziari che non si metteranno affatto le tante temute briglie alla follia e all’avarizia finanziaria che ha portato a questa crisi, come il senso comune invece vorrebbe.
La road map del G20 emersa dall’incontro – ossia il piano di azione che i ministri delle finanza dovranno attuare entro marzo e poi nel medio termine – risulta ancora più preoccupante. Alle banche si chiede più trasparenza soprattutto sulle partite fuori bilancio, ma non è chiaro quanto dell’enorme partita delle cartolarizzazioni sarà davvero subordinata a vincoli di carattere patrimoniale verificabili tramite l’auspicata definizione di uno standard unico di rendicontazione. Sorprendentemente, ai mercati dei derivati – che con la crisi stanno crescendo ancora – si chiede solo trasparenza nelle operazioni allo scoperto. Non si menzionano i paradisi fiscali, ma solo la necessità di scambiare informazioni per proteggersi da flussi illeciti di capitali e concorrenza fiscale sleale, principalmente in ambito Ocse e non Onu. Si chiede, infine, ai nuovi attori finanziari, tra cui gli hedge funds, di suggerire quale debbano essere regole comuni da adottare sul loro ruolo. Facile allora “accanirsi” solo sulle agenzie di rating, a cui si prova ad imporre di essere almeno registrate e di evitare conflitti di interessi. Insomma, è come se la mano invisibile del mercato prenda quella del G20 per accompagnarlo sulla strada dell’espansione spinta dei mercati finanziari, e della speculazione – parola mai menzionata nel comunicato finale – che ne conseguirà.