La formuletta banale, con cui i nostri politici locali – di maggioranza e di gran parte dell’opposizione – assicurano la loro fedeltà “europea ed atlantica” nega una realtà sempre più evidente. Che tra gli scopi di questa guerra, forse la principale, vi è quella di tenere l’Europa divisa e sottomessa. Da Il Fatto
Quella che Papa Francesco da tempo descrive come la Terza Guerra mondiale continua a mietere vittime e sofferenze in tutto il mondo. Quelle inflitte all’Ucraina ci sono particolarmente vicine, non solo per ragioni geografiche e culturali, ma perché ci troviamo in qualche modo in guerra contro noi stessi.
L’Ucraina è incontestabilmente parte dell’Europa e qualsiasi soluzione passata, presente o futura della guerra in atto deve prevedere la sua collocazione nell’Unione Europea, purché in coerenza con i principi cui essa s’ispira e che risultano indeboliti dalla logica di guerra.
Risultano sempre più insostenibili le sofferenze causate dalle carenza di riscaldamento, di acqua e anche di cibo, determinata da bombardamenti russi mirati, che si aggiungono alle devastazioni indiscriminate precedenti e ai rischi derivanti dagli attacchi ucraini alla centrale nucleare più grande d’Europa, ora in mani russe. Per non parlare del pericolo di una guerra nucleare per errore, sempre possibile in presenza di imperi in declino (Sarajevo, 1914, insegna).
La priorità della popolazione colpita, dell’Europa di cui fa parte, di due terzi della stessa opinione pubblica italiana, è che cessi il massacro in atto e si determinino le condizioni per una soluzione diplomatica del conflitto. Invece, ci comportiamo, si comportano le istituzioni comunitarie e i governi europei che ci rappresentano, come se, al contrario, lo scopo sia quello di prolungare ad infinitum la durata della guerra. La risoluzione del Parlamento Europeo, approvata martedì scorso, qualifica la Russia quale “stato sponsor del terrorismo e che usa mezzi terroristici”. Il giorno precedente l’Assemblea Parlamentare della Nato – organismo meno rappresentativo, ma meglio rispondente ai dettami di Washington – senza ambagi ha dichiarato che “lo stato della Russia, con il suo regime attuale, è uno stato terrorista”.
I pochi parlamentari che, con coraggio, hanno espresso il loro voto contrario, vengono accusati di essere dei traditori, amici di Putin (cfr. a questo proposito Massimiliano Smeriglio, il manifesto, 25 novembre), come se non sia del tutto legittimo schierarsi dalla parte di coloro che della guerra subiscono le conseguenze. Si osservi come si qualifichi quale terrorista la Russia attuale, in quanto stato, e non più soltanto il suo capo, Vladimir Putin, a suo tempo denunciato quale criminale di guerra dal presidente degli Stati Uniti, peraltro successivamente corretto da suoi collaboratori che escludevano un cambiamento di regime quale esito e scopo della guerra in corso.
Invece, ad oggi, proprio di regime change si tratta, soprattutto di continuazione della guerra, perché non occorre un Talleyrand o un Kissinger per comprendere che ogni passo anche minimo nella direzione di un arresto delle ostilità, se non di una soluzione diplomatica, peraltro in linea teorica tutt’altro che irraggiungibile, diventa impossibile, se si squalifica ab ovo la controparte.