Sono pochi e quasi tutti cinesi i produttori d’auto in grado di rispondere alle sfide dell’auto elettrica e a guida autonoma. Un’auto-commodity, sempre più a noleggio, che interessa ora anche le società della Gigeconomy. In Italia gran parte della componentistica soffrirà particolarmente.
Qualche settimana fa abbiamo pubblicato su questo stesso sito un articolo che metteva in rilievo alcune delle trasformazioni in atto nel settore dell’auto (il testo è del 6 luglio e porta il titolo “Auto ed emissioni nocive: una storia estiva”), sottolineando in tale quadro in particolare il tentativo, per fortuna fallito, da parte del governo italiano di frenare una nuova normativa dell’UE volta ad accelerare l’introduzione dei veicoli a propulsione elettrica. La normativa è stata poi approvata con largo margine.
Con queste note riprendiamo l’argomento dei grandi mutamenti in atto nei settore dei veicoli in termini più complessivi, essendo tra l’altro il tema molto importante per il futuro di una buona fetta dell’industria europea. Nello scritto precedente per sottolineare il punto ricordavamo, tra l’altro, come il settore dell’auto dia lavoro in Germania, direttamente o indirettamente, a circa 15 milioni di persone, mentre esso fornisce anche uno sbocco commerciale importante ai nostri produttori di componentistica, essendo il paese teutonico, e di gran lunga, il nostro principale mercato di esportazione nel settore. Per altro verso, l’attività complessiva relativa ai veicoli su strada contribuisce per circa il 10% al Pil italiano.
L’auto elettrica, digitalizzata, a guida autonoma
Le principali trasformazioni in atto a livello di prodotto sono, come è noto, l’introduzione dell’auto elettrica, la sua progressiva digitalizzazione con l’inserimento nelle vetture di crescenti componenti hardware e software, lo sbarco della guida autonoma. Alla fine avremo così delle vetture senza autista, elettriche e piene di elettronica. Intanto si è già consumato il passaggio del centro del mercato mondiale del settore dall’Occidente all’Asia, in particolare alla Cina.
Come è noto, le vetture elettriche sono da tempo in produzione; nel 2021 ne sono state vendute, secondo una delle stime disponibili, circa 5,6 milioni di unità, di cui il 54% (2,9 milioni) in Cina, mentre per il 2022 si prevede la commercializzazione di 10 milioni di auto, di cui 6 milioni sempre nella sola Cina.
La digitalizzazione sta anch’essa galoppando; anzi, l’inserimento di un numero crescente di chip nelle vetture ha comportato, tra l’altro, una carenza dei prodotti relativi, causando un rallentamento delle vendite delle stesse vetture rispetto a quanto il mercato avrebbe potuto assorbire.
In particolare, da una parte con le tecnologie relative all’internet delle cose si controlla da lontano l’andamento tecnico e le prestazioni delle vetture, con le singole auto che dialogano tra di loro, con le case dell’auto e con i centri di assistenza, nonché con le infrastrutture come i semafori, le stazioni di pedaggio e le strisce pedonali, mentre dall’altra, con i programmi di software, si sta arrivando a quello che con espressione pittoresca viene chiamato “telefonino a quattro ruote”, con applicazioni del tutto simili in effetti a quelle che si possono ritrovare negli smartphone più avanzati.
La parte strategica del veicolo non è più costituita dalla motorizzazione, ma dal software di governo dei dati. Come ha scritto qualcuno: il software si sta mangiando il mondo intero e le auto sono la prossima pietanza presente nel menu.
La Cina resta il paese all’avanguardia anche in questo comparto: nel 2021 tra i primi dieci produttori di auto elettriche nove erano cinesi, mentre la statunitense Tesla si collocava solo al terzo posto e i produttori tedeschi apparivano al momento fuori gioco. Le imprese cinesi hanno saputo prevedere la tendenza dal mercato a richiedere una pervasività del software. In ogni caso tutti i principali gruppi del mondo stanno creando grandi officine di software, che presto occuperanno migliaia di persone.
Infine l’auto a guida autonoma; la sua introduzione sul mercato si sta rivelando più lenta di quanto si prevedesse qualche anno fa, trattandosi di un prodotto estremamente complesso dal punto di vista tecnologico, anche se i progressi non si fermano e sulle strade di alcune città cinesi, ma anche statunitensi, circolano ormai i primi esemplari di tali vetture, sia pure in ambiente relativamente protetto.
Cosa sta succedendo
Le conseguenze di queste trasformazioni appaiono molto rilevanti.
Si consideri intanto che nelle vetture elettriche circa il 40% del costo totale è costituito attualmente dalle batterie, mentre il software tende a rappresentare un altro 40% dello stesso costo. A questo punto resta ben poco per la parte meccanica, tra l’altro orgoglio e vanto della tradizione tedesca delle auto premium, anche in relazione al fatto che, secondo le previsioni, con l’introduzione della guida automatica diventerà naturale non più acquistare la macchina, ma prenderla in affitto quando necessario, riducendo così in maniera sostanziale il numero di vetture prodotte e la domanda in particolare di vetture di qualità. Il mezzo diventerà nella sostanza una commodity. Alla fine avremo auto con le batterie cinesi e il software cinese o statunitense, a noleggio.
Con l’avvento della vettura elettrica si vanno affermando molte società nuove, che tendono a conquistare i principali ruoli sul mercato, dalla statunitense Tesla, e realtà minori sempre Usa, alle cinesi Byd (attualmente il più importante produttore del comparto, insieme alla stessa Tesla), Nio, Catl (principale produttore di batterie).
Alcuni grandi gruppi digitali e della componentistica cercano intanto di inserirsi negli spazi disponibili.
Per quanto riguarda la prima categoria, questo sta succedendo per diverse grandi società statunitensi (Google, Amazon, Microsoft, tra gli altri) e cinesi (Baidu, Huawei, Tencent, Alibaba, tra gli altri).
Con relazione alla seconda categoria citata possiamo ricordare i casi della Foxconn e della Bosch. La società taiwanese ha raccolto intorno a sé circa 1.200 società del settore ed è in grado di offrire tutto quanto serve per produrre un’auto di tipo nuovo, mentre la tedesca Bosch, attualmente la più importante produttrice di componenti, sta portando avanti un gigantesco piano di ristrutturazione in senso digitale che la porterà di nuovo ad offrire una gamma molto elevata di produzioni. Lo spazio per i piccoli produttori sembra restringersi in modo significativo anche da questo lato.
L’avvento dell’elettrico comporta poi che il numero delle parti di un veicolo tenda a calare drasticamente, mentre con quella a guida autonoma si riduce nella sostanza anche la produzione di vetture. Le conseguenze sull’industria componentistica appaiono molto negative.
Va ricordato che si va affermando nel settore una tendenza da parte delle case dell’auto a portare sempre più all’interno un numero importante di componenti prima esternalizzati, cercando di guadagnarsi una fetta più grande della catena del valore delle auto elettriche, dall’estrazione dei minerali alla progettazione dei chip, alla già citata creazione interna di grandi officine di software, anche se l’estrazione dei minerali, la produzione di batterie, quella del software non fanno parte del tradizionale know-how delle stesse e quindi questa strategia presenta rilevanti rischi. Pioniera in questa tendenza è la Tesla di Elon Musk.
Parallelamente si sta sviluppando, in particolare in Europa, un conflitto tra case dell’auto e componentisti su come distribuire gli aumenti di costo crescenti dei materiali e dell’energia, con la case che cercano di approfittare anche della montante debolezza strategica dei fornitori a causa delle trasformazioni in atto, per mutare a loro favore i rapporti di forza che vedevano sino a ieri gli utili medi dello stesso comparto componentistico superare quelli delle case dell’auto. I rapporti si stanno rovesciando.
Segnaliamo, per completare il quadro, come gli stabilimenti dell’auto italiani, eredità della vecchia Fiat, siano in profonda difficoltà da molti anni per carenza di produzioni e come essi siano stati mantenuti in piedi nel tempo soltanto attraverso il massiccio ricorso alla cassa integrazione e ad altre provvidenze pubbliche. Negli anni Novanta del Novecento si producevano nel nostro paese 1,7 milioni di vetture, mentre nel 2021 eravamo scesi ormai a 674.000 (solo 400.000 escludendo i veicoli commerciali).
La sorte dell’industria componentistica nazionale
Di fronte a tale quadro, per alcuni aspetti anche drammatico, si sarebbe portati a pensare che gli spazi per le società della componentistica nazionale si restringeranno fortemente sin quasi a scomparire.
Cercando poi di analizzare con maggiore ottimismo la situazione, si può riscontrare come in realtà esistano diversi segmenti della realtà componentistica nazionale, con differenti possibili prospettive. Ci sono intanto alcuni, purtroppo pochi, grandi gruppi nazionali e semi-nazionali (da Brembo a Pirelli, quest’ultima azienda a capitale cinese ma a conduzione sostanzialmente nazionale) che sono in grado di restare in piedi nella tormenta. Si può registrare un nutrito gruppo di imprese a capitale estero e in questo caso appare necessaria un’opera di intervento attivo da parte del governo per contrattare caso per caso la loro permanenza nel nostro paese; si pensi soltanto alla realtà costituita dalla Magneti Marelli, azienda strategica nel comparto, ma improvvidamente lasciata passare a suo tempo in mani estere. C’è, infine, il nutrito gruppo delle piccole e medie imprese nazionali, per le quali si può tentare un’azione di sostegno volta a facilitare accorpamenti e fusioni, un rafforzamento finanziario, lo sviluppo delle attività di ricerca, nonché i processi di internazionalizzazione e di diversificazione, interna ed esterna al comparto. Alla fine non bisogna farsi grandi illusioni. Il settore perderà imprese e occupati. Una trasformazione adeguata richiederebbe uno sforzo gigantesco che i nostri precari e inefficienti governi nazionali temiamo non siano in grado di portare avanti in alcun modo.