Gli Stati occidentali hanno colpito la Russia con sanzioni economiche senza precedenti. Ma la “guerra economica” non è stata inventata oggi. Dalla conquista dell’impero Inca al crollo dell’Urss, ecco come la storia può prepararci al ritorno di un mondo diviso in blocchi.
16 novembre 1532. Cajamarca, nell’attuale Perù. 168 spagnoli guidati da Francisco Pizarro sconfiggono un esercito Inca 500 volte più numeroso e fanno prigioniero l’imperatore Atahualpa. Sarà giustiziato pochi mesi dopo, nonostante il pagamento di un immenso riscatto in oro da parte della sua gente. Lo scontro cattura uno dei passaggi cruciali della storia moderna, ovvero lo schiacciante affermazione della civilizzazione europea su quelle nativo americane, che si avvieranno ad una progressiva scomparsa. Come è potuto succedere?
In un libro di qualche anno fa [1] lo studioso amaricano Jared Diamon ha formulato la stessa domanda in modo ancor più spiazzante. L’impero Inca era la più vasta ed avanzata organizzazione sociale del Nuovo Mondo. Quando Vecchio e Nuovo Mondo sono venuti a contatto, come mai è stato il re di Spagna Carlo I a sottomettere i domini di Atahaulpa e non quest’ultimo ad entrare trionfalmente a Madrid prendendo prigioniero il sovrano spagnolo? Le cause più prossime sono anche le più evidenti: la cavalleria (62 dei 168 soldati spagnoli montavano a cavallo); le armature; le armi da fuoco e le armi di acciaio. Tutto ciò contrapposto a uomini muniti di rudimentali armi di bronzo o legno.
Fattori meno evidenti sul campo di battaglia hanno giocato un ruolo altrettanto importante, se non maggiore. Un’epidemia di vaiolo, malattia portata in America dai conquistatori spagnoli, aveva decapitato la leadership Inca e provocato una guerra civile. L’impero di Atahualpa si era dunque presentato a questo cruciale scontro già diviso al suo interno. Negli anni successivi malattie come il morbillo, il tifo, l’influenza, la peste provocarono lo sterminio delle popolazioni dei continenti colonizzati.
Si tratta dunque di capire perché l’acciaio, le pistole e le malattie fossero armi in dotazione agli uomini di Pizzarro e non a quelli di Atahualpa. E per questo è necessario porre l’attenzione sul primato del continente euroasiatico nella produzione di cibo su larga scala tramite agricoltura e allevamento. È questo tipo di organizzazione sociale, secondo Diamond, che ha permesso la formazione di un surplus di risorse destinate a mantenere personale non direttamente coinvolto nel processo di produzione di cibo: capi politici e burocrati, soldati professionali, artigiani e lavoratori del metallo, intellettuali capaci di padroneggiare la scrittura. Lo stretto contatto con gli animali addomesticati ha fatto sì che virus e malattie di origine animale fossero trasmessi alle comunità umane, facendo sviluppare loro una qualche forma di resistenza nel corso del tempo.
Fin dagli albori della storia umana, dietro ogni guerra combattuta con bastoni, lance e spade, c’è sempre stata una guerra economica combattuta con aratri, martelli e inchiostro. E mai come nelle guerre totali del ventesimo secolo è stata centrale la capacità degli stati di mobilitare la più grande quantità possibile di risorse economiche e intellettuali a servizio dello sforzo bellico.
Nel corso del tempo, inoltre, la guerra direttamente economica ha rivestito un’importanza sempre maggiore. Durante la Seconda guerra mondiale le forze alleate impiegarono un gran numero di economisti nei servizi di intelligence e pianificazione delle strategie militari, tanto che Paul Samuelson – uno dei più influenti economisti americani del dopoguerra – parlò di una “economists’ war”. Nel 1942 fu fondata la Enemy Objectives Unit (EOU), incorporata nell’ambasciata americana a Londra. Vi lavorarono un gruppo di giovani studiosi, spesso provenienti dalla Federal Reserve, destinati a fare molta strada. Fra essi, Charles Kindleberger e Walt Rostow. Uno dei loro compiti consisteva nello studiare il sistema produttivo tedesco e indicare gli obiettivi industriali che avrebbero inferto il maggiore danno al nemico con il minor numero di risorse impiegate per l’attacco. Il modello che elaborarono richiedeva un’ottima conoscenza della relazione fra input e output nei vari rami industriali dell’economia tedesca, in particolare nel settore bellico. Fu di fatto una delle prime applicazioni del modello input-output elaborato da Wassily Leontief. Non a caso, il futuro premio Nobel per l’economia era allora in forza alla divisione sovietica della sezione Research and Analysis dell’Office of the Coordinator of Information (antesignano della CIA).
Dalla fine del secolo scorso c’è stato un ulteriore salto di qualità. L’epilogo della guerra fredda è stato determinato (quasi) senza spargimento di sangue. Il primato economico-tecnologico, che nelle guerre tradizionali si trasforma in primato militare, non ha avuto bisogno di passare dalla mediazione delle armi per affermarsi. Questo era del resto il senso della sfida che Nikita Krusciov aveva lanciato ai rivali americani nei celebri incontri del cosiddetto Kitchen Debate. Era il 1959, e il leader sovietico visitava la American National Exhibition a Mosca insieme al vicepresidente americano Richard Nixon. Fu l’occasione di un incredibile scambio di opinioni sul futuro dei sistemi socialisti e capitalisti a beneficio di telecamere. Krusciov preconizzò il raggiungimento degli standard di vita americani da parte dell’URSS entro 7 anni. A quel punto il socialismo avrebbe compiuto il sorpasso e mandato tanti saluti al capitalismo (spavalderia accompagnata dal “ciao ciao” della manona di Krusciov di fronte al naso di un divertito Nixon. Qui il filmato).
Il leader comunista non indovinò quale sistema avrebbe prevalso. Ma la storia gli ha dato ragione su quello che sarebbe stato il vero terreno di scontro fra le due superpotenze.
Il crescente ruolo delle sanzioni economiche nei conflitti contemporanei rappresenta l’ultima incarnazione di questa tendenza alla guerra “senza mediazione” delle armi. Secondo il settimanale britannico The Economist, un qualche tipo di sanzione americana colpisce attualmente circa 100,000 individui o aziende in 50 paesi, corrispondenti al 27% del Pil mondiale. Le sanzioni inferte alla Russia di Putin dai paesi occidentali a seguito dell’invasione dell’Ucraina sono praticamente senza precedenti per portata e potenzialità di danno economico. Come senza precedenti è la reazione delle aziende private che hanno sospeso le loro attività in Russia: colossi come McDonalds, Unilever, DHL, General Motors, American Express, Visa, Volkswagen e moltissimi altri. È stato osservato che la Russia potrà trovare la sponda della Cina per alleviare il peso delle sanzioni occidentali. È vero solo in piccola parte, almeno nel breve periodo, come dimostra la svalutazione del rublo in corso e la prospettiva di default di titoli di debito russi denominati in dollari ed euro. Nel lungo periodo la transizione sarà comunque molto dolorosa.
È tuttavia possibile che il combinato disposto delle guerre commerciali ereditate dalla presidenza Trump, della pandemia da Covid 19 e delle sanzioni economiche quale arma privilegiata di conduzione dei conflitti promuovano un cambiamento profondo dell’assetto economico mondiale che era nato dalla fine della guerra fredda. La tendenza a una sempre più stretta interdipendenza dei sistemi produttivi e finanziari non sembra più così inesorabile. Il risultato di lungo periodo di sanzioni economiche davvero efficaci potrebbe anche essere quello di aver ridotto la potenziale efficacia di sanzioni future.
In un mondo tornato alla divisione in grandi blocchi sarà allora fondamentale rispolverare gli strumenti della diplomazia e i principi di coesistenza pacifica. E forse una qualche ispirazione la si potrebbe trovare da vicende che videro come protagonisti proprio quei due signori del Kitchen Debate ricordato sopra. Krusciov, nel 1962, ritirò i missili da Cuba dopo che il mondo era giunto ad un passo dal terzo conflitto mondiale. Diventato presidente, Nixon volò a Pechino nel 1972 per incontrare Mao e avviare la normalizzazione dei rapporti fra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese.
Nell’immediato, nulla di simile sembra all’orizzonte.
L’ucraino Krusciov previde che i nipoti di Nixon avrebbero vissuto nel socialismo. Nixon gli rispose promettendo che quelli del leader sovietico avrebbero vissuto nella libertà. Oggi, purtroppo, la sfida che la generazione dei nipoti di Krusciov deve affrontare è quella di sopravvivere alle bombe che stanno distruggendo le loro città.
NOTA:
[1] “Guns, Germs and Steel”, 1997. New York: W. W. Norton & Company.