Nello stabilimento Amazon in Alabama il sindacato ha subito una prima sconfitta, di fronte al potere di mobilitazione dell’azienda. Ma il Senato Usa ora discute una legge a tutela del lavoro e i conflitti contro Amazon si moltiplicano nel mondo.
Sono stati 738 a favore, 1798 voti contro. Questo è il responso uscito nel fine settimana dalla consultazione per la creazione di un’organizzazione sindacale dentro lo stabilimento Amazon di Bessemer in Alabama, in un impianto che conta circa 6000 lavoratori. Con il risultato del 9 Aprile subisce un primo arresto una fase di attivismo che avrebbe potuto cambiare il modo di lavorare e di organizzarsi dentro Amazon. In uno Stato difficile, roccaforte repubblicana dagli anni di Reagan e dove anche nelle scorse elezioni presidenziali Trump ha raccolto il 60% dei voti, non era semplice lanciare una sfida simile, nonostante l’appoggio indiretto di Joe Biden in diversi passaggi e momenti. Ma è sbagliato attribuire l’esito ad una caratteristica genetica degli USA, quale luogo dove il dominio delle corporations si estende dentro e fuori la fabbrica, tentando di imporre una cultura che già ad inizio Novecento concepì il taylorismo proprio come organizzazione del lavoro che non prevedeva il sindacato. Anche se Amazon sembra riaggiornare quell’ipotesi, essendo il luogo di un neotaylorismo robotizzato, dove una nuova forma di organizzazione aziendale determinata dagli algoritmi riaggiorna ai tempi correnti i temi dell’automazione tecnologica, dell’aziendalizzazione asimmetrica delle relazioni e l’individualizzazione delle identità lavorative.
Il caso di Bessemer mostra la necessità di trasformazione del sindacalismo formale tradizionale e questo è in primis riconosciuto da movimenti del lavoro che negli Stati Uniti stessi stanno sperimentando nuove forme organizzative e nuovi repertori d’azione, come la campagna “Fight for 15$” aveva mostrato. Ma mostra anche come Amazon non abbia timore di dispiegare tutte le proprie forze ed il proprio potere in campagne come quelle in Alabama per imporre il suo consenso.
E’ sbagliato quindi trovare i motivi della sconfitta in una semplice opinione comune che tra i lavoratori privilegia la sicurezza del lavoro rispetto al proprio diritto alla rappresentanza ed all’organizzazione. Come ricorda già il Gramsci dei Quaderni, così come le opinioni non circolano spontaneamente nelle menti degli individui, così la conta dei voti non è che una cerimonia finale di un processo politico ben più lungo. Ed in questo caso la campagna ha visto due fronti fronteggiarsi asimmetricamente, con da una parte un sindacato in formazione, e dall’altra un gigante del capitalismo digitale che ad oggi conta 400mila addetti e che ha impiegato tutti i mezzi possibili per vincere la battaglia.
Indubbiamente, in uno Stato come l’Alabama, lavorare in un’azienda che garantisce 15 dollari orari – più della paga media oraria dello Stato – ed un’assicurazione sanitaria ha il suo peso e questo potere di ricatto occupazionale era ben chiaro ai vertici di Amazon sin dall’inizio.
Si è trattata infatti di una campagna combattuta da ambo le parti ma ad armi impari, dove l’azienda ha mobilitato tutti gli strumenti a sua disposizione, con repertori aggressivi e forse oltre i limiti del consentito, tanto da portare il sindacato – la Retail Wholesale and Department Store Union (RWDSU) – a chiedere un’inchiesta federale su tali azioni atte a creare “atmosfera di confusione, coercizione e o paura di rappresaglie”.
Amazon è stata protagonista di una campagna anti-sindacale che, durata per mesi, ha mobilitato tutti i livelli, da quelli dirigenziali ai team leaders. Con repertori che, oltre ai messaggi privati inviati a lavoratori, ai post affissi nei bagni e negli spazi comuni – interdetti al sindacato – arrivavano al paradosso di indire, in assenza di diritto all’assemblea sindacale negli stabilimenti, assemblee aziendali interne per convincere i dipendenti a non votare per il sindacato. Il tutto in un momento chiave per il mondo del lavoro negli USA in cui la Camera approvava il cosiddetto Pro-Act – e si appresta a discutere in Senato – una misura che riscriverebbe i diritti dei lavoratori americani, su questioni chiave come il diritto allo sciopero, la libera scelta del sindacato, la tutela legale da discriminazioni e ritorsioni aziendali, l’impossibilità da parte aziendale di obbligare i lavoratori ad assemblee anti-sindacali (come è successo proprio nella vertenza di Bessemer).
Lo stabilimento di Bessemer, aperto circa un anno fa in piena pandemia, impiega una larga maggioranza di afroamericani, ed era da subito passato alle cronache per i ritmi di lavoro sfiancanti e per i rischi legati a carenti misure anti-contagio che, già in altri luoghi degli USA, da New York alla Pennsylvania
Il voto si è svolto via posta, con i lavoratori che hanno avuto tempo un mese per completare il voto entro il 29 Marzo, e dove nella campagna che ha visto contrapposti il sindacato RWDSU e l’azienda, alla fine l’ha spuntata quest’ultima.
Nonostante la sconfitta, la campagna da parte dell’RWDSU ha avuto il merito di portare alla ribalta nazionale le criticità del lavoro ad Amazon, mostrando che è legittimo e possibile ridiscutere lo strapotere dell’impresa anche in altri stabilimenti, ed ha posto una sfida importante all’azienda chiave del capitalismo digitale, quindi ridiscutendo le basi del futuro del lavoro in un settore chiave.
Negli ultimi tempi infatti il vento sembra soffiare a favore del sindacato e dei lavoratori. Se Amazon con la pandemia aveva aumentato drasticamente i profitti ed espanso massicciamente i propri volumi di mercato, questo aveva sollevato i primi segni di una campagna internazionale, come quella di MakeAmazonPay, che aveva coinvolto 55 organizzazioni transnazionali tra le più varie, in una coalizione che poneva questioni come la tutela dei diritti dei lavoratori – dai drivers indiani ai Tech-workers in USA – dei consumatori, alla politica degli algoritmi, all’evasione fiscale, agli impatti ambientali del gigante di Seattle.
A livello nazionale, lo sciopero italiano del 22 Marzo 2021, il primo a coinvolgere a livello mondiale l’intera catena, riusciva simbolicamente a mostrare il potere di organizzazione dei lavoratori. Nonostante le dichiarazioni da parte dell’azienda di non temere la forma dello sciopero, le immagini a livello pubblico di forme tradizionali di lotta come i picchetti davanti ai cancelli o il blocco delle consegne mostravano una capacità di mobilitazione generale prima inedita.
Lo sciopero di 48 ore proclamato pochi giorni dopo dal sindacato tedesco Ver.Di in sei stabilimenti Amazon in Germania, sembrava andare in questa direzione anche nel cuore della logistica europea, laddove sono iniziati i primi scioperi nel 2013, nonostante sia apparso limitato per stabilimenti e tipologia di lavoratori, non raggiungendo né i numeri né il peso simbolico di quello italiano.
A livello globale a Marzo Amazon aveva dovuto affrontare anche il primo sciopero coordinato dei lavoratori delle consegne in India, organizzato dall’Indian Federation of App-based Transport Workers (IFAT), colpendo uno dei principali mercati mondiali su cui Bezos ha diretto con forza i propri investimenti. Lo sciopero che si è espanso in diverse regioni e città tra cui Bengalore, Delhi, Pune, Hyderabad, ha coinvolto non solo i lavoratori della logistica di magazzino ma anche i lavoratori delle consegne, il settore più frammentato e difficile da organizzare.
La sconfitta nello stabilimento di Bessemer non è sicuramente marginale, perché avviene negli Stati Uniti, nel cuore del modello Amazon, ma al contempo è in controtendenza rispetto a movimenti di lavoratori che nel mondo vanno contro il modello a tabula rasa sindacale esplicitamente rivendicato da Bezos.
A riguardo, le analisi sul significato simbolico del voto in Alabama così come degli scioperi avvenuti in Italia vanno viste in tutti i loro limiti. I simboli contano nelle campagne, ma le campagne sindacali non si esauriscono con la loro potenza simbolica. Questo forse è stato chiaro per l’RWSDU che sul significato della vertenza ha investito molte risorse simboliche, forse proprio in sostituzione di un reale potere e consenso tra i lavoratori. Un discorso che vale anche per le organizzazioni di lavoratori che hanno dato vita allo sciopero generale italiano. Molto lavoro ancora resta da fare per il sindacato, dentro ed a partire da Amazon, per rinnovare forme di lotta e di organizzazione adattandole all’attuale fase del capitalismo digitale. Sia sul fronte nazionale, un lavoro di ricomposizione della filiera va quindi sostenuto, che riesca a ricostruire solidarietà tra lavoratori ed operatori a diversi livelli, superando la frammentazione e la deregolamentazione. Sul fronte dell’attivismo e della solidarietà transnazionale la sfida è di rafforzare i legami tra realtà dei lavoratori in varie posizioni della catena e di influenzare i meccanismi di regolazione del lavoro a livello globale. In ultima, innovare l’azione sindacale trovando la capacità di legarla con altre mobilitazioni sulla proprietà dei dati, sul ruolo delle piattaforme nelle nostre città, sulla ridefinizione degli algoritmi, sui dati, sulle politiche fiscali, sugli impatti ambientali. Vista l’ampiezza dei campi di influenza di giganti come Amazon, i recenti avvenimenti ci indicano che le forme di lotta non possono essere solo specifiche e isolate, ma necessitano di un ampio lavoro che coinvolga larghe coalizioni in grado di costruire nuove ed inedite forme di organizzazione e solidarietà.