La biografia di John Nash, Nobel per l’economia nel 1984. Una recensione del libro di Sylvia Nasar, A beautiful mind, apparsa su l’Indice nel novembre 1999
John Nash, premio Nobel per l’economia 1994, è personaggio che suscita curiosità per almeno due motivi: il numero di volte che gli economisti ne usano il nome, in riferimento al concetto base di equilibrio della teoria dei giochi, e la schizofrenia che, dalla fine degli anni 50 fino alla guarigione, nei primi anni 90, annichila lo spirito di Nash, creando la fama nel mondo accademico di questo spettro che si aggira per l’università di Princeton tracciando oscuri messaggi sulle lavagne dell’istituto di matematica.
La biografia scritta dalla giornalista del New York Times Sylvia Nasar permette di soddisfare la curiosità ma, soprattutto, agli occhi dell’economista, si rivela un ottimo contributo di storia del pensiero scientifico ed economico nel secondo dopoguerra. Il libro descrive nitidamente il clima nella comunità matematica negli Stati Uniti negli anni ’50, nella quale operano personaggi quali von Neumann, Einstein, Gödel, Oppenheimer, Wiener, Milron, Shapley. Sono personaggi, questi, che Nash incontra e con i quali si confronta, come studente a Princeton e nei suoi anni di ricerca a RAND, all’MIT, al Courant Institute della New York University, e, infine, di nuovo a Princeton.
Anche se amico di molti economisti, Samuelson e Solow fra gli altri, Nash è un matematico, non un economista. É però dalla ricerca matematica degli anni ’40 e ’50 che emergono le basi dell’approccio formalizzato alla teoria economica, che verrà sviluppato in Theory of games and economic behavior di von Neumann e Morgenstern, nei contributi di Arrow e Debreu, in Foundations of economic analysis di Samuelson. Un approccio fondato metodologicamente sul modello assiomatico matematico, dunque prevalentemente astratto e basato, a differenza delle scienze sperimentali, sulla ricerca individuale piuttosto che di gruppo. Un modo di fare scienza che stimola individualismo e spirito competitivo, del quale Nash fornisce una rappresentazione estrema, e perciò rivelatrice. Egli é un campione, eccessivo e tragico, della interpretazione della ricerca come competizione di grandi menti per arrivare primi alla risoluzione dei problemi aperti.
Lo spirito individualista di Nash sembra vicino a quello della destra anarchica americana. Il rifiuto di qualunque autorità o dimensione sociale che non sia quella individuale è in lui così forte da portarlo a fare di tutto per evitare la leva nel periodo della guerra di Corea; la mera possibilità teorica della coscrizione ne sconvolge così tanto la mente da portarlo, 10 anni dopo, a tentare di rinunciare alla stessa cittadinanza americana, e a chiedere asilo politico alla Svizzera. Ma anche nel comportamento nei confronti del proprio figlio naturale Nash mostra un individualismo estremo, rifiutandosi di contribuire al suo mantenimento, pur pretendendo al tempo stesso di non rinunciare alla relazione con la madre. E anche nella rinuncia alla tenure, appena ottenuta all’MIT, nel periodo iniziale della sua pazzia, sembra di leggere, più che altro, la volontà e convinzione di poter fronteggiare da solo il mondo, al di fuori di qualunque appartenenza.
Individualismo e competizione vanno di pari passo. Il lavoro probabilmente più rilevante di Nash, del 1956, è frutto di una scommessa. E molte fra le cause richiamate come possibili spiegazioni del suo cadere in preda alla schizofrenia sono prettamente competitive: lo scoprire che nel 1957 De Giorgi ha pubblicato, qualche mese prima di lui, “in the most obscure journal imaginable” (p.220), un importante risultato di continuità per sistemi di equazioni non lineari paraboliche; la mancata vittoria, nel 1958, della Fields Medal, uno dei più importanti riconoscimenti per matematici; l’aver cercato inutilmente, nello stesso anno, di provare la congettura di Riemann.
Ingrediente indispensabile per il successo è la fiducia in sé stessi e Nash, o G-Nash, il suo nomignolo all’MIT, dove G sta per genio, ne dispone in abbondanza; basta a dimostrarlo che egli, allora studente di primo anno di PhD a Princeton, vada a parlare con Einstein per spiegargli come correggere la relatività, per farsi rispondere “beh, forse è il caso che prima studi un po’ di fisica”. Ma Nash considera lo studiare cosa fanno gli altri una perdita di tempo, un distogliere la mente da compiti più alti; tutto quanto serve è un problema aperto e l’assicurazione, da parte della comunità accademica, che sia rilevante.
Quale genere di scienza può avere bisogno del tipo di genio di cui Nash dispone? Questo tipo di approccio, necessariamente deideologizzato e astorico, progressivo e formalizzato, è ben rappresentato dalla RAND Corporation.
RAND può essere considerato un vero e proprio laboratorio nel quale il moderno approccio alla teoria economica ha origine e si diffonde. Il capitolo su RAND potrebbe a ragione essere titolato: economics: un sottoprodotto della guerra fredda. RAND viene creato nel secondo dopoguerra, finanziato dall’aviazione americana, con l’obiettivo di produrre “high-quality, objective research on national security issues”. Di fatto è uno degli strumenti attraverso i quali i rapporti fra militari e mondo accademico, iniziati durante la II guerra mondiale, vengono istituzionalizzati.
Il problema di RAND è la guerra fredda, in particolare lo studio di praticabilità, effetti e ritorsioni di un eventuale primo colpo atomico:
“The unique mission was to apply rational analysis and the latest quantitative methods to the problem of how to use the terrifying new nuclear weaponry to forestall war with Russia –or to win a war if deterrence failed” (p. 105).
L’approccio è tecnico-scientifico e iper-razionale, così da “achieve complete objectivity by avoiding partisanship and disregarding vested interests”, come scritto nella brochure di presentazione di RAND.
“The rational life was worshiped to an almost absurd degree. RAND was full of men and women committed to the idea that systematic thought and quantification were the key to the most complex problems. Facts, detached from emotion, convention and preconception reigned supreme” (pp. 109, 110).
RAND ha apprezzato moltissimo il contributo di teoria dei giochi di von Neumann, ma più promettente ancora risulta il contributo di Nash, che permette di sviluppare la teoria dei giochi non cooperativi e a somma non nulla, superando alcune delle limitazioni implicite nell’approccio di von Neumann.
Attorno a RAND ruotano economisti e teorici dei giochi del calibro di von Neumann, Nash, Alchian, Shapley, Samuelson, Simon, Arrow. Il teorema di impossibilità di Arrow ad esempio è frutto di un assignment di RAND: la teoria dei giochi tratta di individui, ma RAND la usa per trattare di nazioni, insiemi di individui. Come é logicamente possibile passare da individui a nazioni? Dopo qualche di tentativo, Arrow decide che dev’essere impossibile, cosa che lo porterà alla dimostrazione del suo teorema.
Da RAND Nash è espulso ai tempi del Maccartismo; non per attività antiamericane, quanto per sospette tendenze omosessuali, essendo gli omosessuali considerati più facilmente ricattabili dalle intelligence del blocco comunista.
Quanto la fiducia Nash in se stesso sia mera apparenza è difficile dire, fatto sta che la tensione competitiva porta Nash alla schizofrenia e a conoscere per diretta esperienza, a partire dal 1959, un buon numero di ospedali e cure psichiatriche, fra cui il coma insulinico e (forse) l’elettroshock. Ma nella sua stessa schizofrenia mostra l’interiorizzazione piena del modello di RAND, “its worship of the rational life and quantification, its geopolitical obsessions, and its weirdly compelling mix of Olympian detachment, paranoia, and megalomania” (p.104). Nash si nomina imperatore dell’Antartide, convoca un governo mondiale, vaga per l’Europa cercando di ottenere asilo politico, diventa ossessionato dalla numerologia, alla disperata, continua ricerca di un significato razionale in tutto.
L’approccio perseguito da RAND si afferma, fino a diventare mainstream in buona parte della teoria economica, nei successivi quarant’anni. É da tale affermazione che origina nel 1994 il Nobel a Nash, Selten ed Harsanyi. Un’affermazione non pacifica, della quale lo scontro all’interno dell’accademia svedese tra Lindbeck e Stahl, descritto dall’autrice, è solo uno dei tanti esempi.
Sostanzialmente Nash è un matematico che ha operato in quel territorio di frontiera fra matematica ed economia dal quale si è sviluppato il moderno approccio astratto e formalizzato. É merito del libro mettere in luce tale humus, con tutte le sue caratterizzazioni, pregiudiziali e scelte metodologiche, in maniera equilibrata, favorita dal fatto che l’autrice, non essendo un’accademica, non ha posizioni da difendere a priori. Il risultato è un’esposizione nella quale alcuni troveranno conferma di perplessità, non più di moda ormai, sui fondamenti metodologici e ideologici dell’approccio economico attuale e che rischia di portare altri, più giovani studiosi, a preoccuparsi seriamente circa il mestiere intrapreso.
Articolo pubblicato su l’Indice nel novembre 1999