La scossa di Atene/ Negli ultimi anni la stabilità finanziaria è stata posticipata verso un imprecisato futuro
La campagna elettorale in Grecia è al suo massimo e Syriza è in testa nei sondaggi di circa quattro punti. Nel suo programma ha promesso un rinegoziato del piano di salvataggio e il ripristino dei diritti sociali, oltre a una ristrutturazione democratica del sistema politico. Tutto ciò ha causato, sia in Grecia che all’estero, un vero e proprio subbuglio.
Il partito conservatore Nuova Democrazia – il primo per rappresentanza nell’attuale coalizione di governo – sta conducendo una campagna del terrore: i cittadini greci sono costantemente avvertiti che irritare i creditori stranieri potrebbe risultare in una punizione collettiva per il paese, con la cacciata dall’eurozona, alla quale seguirebbe l’apocalisse. Il beneficio che l’elettorato trarrebbe dal sostegno agli attuali partiti di governo sarebbe quello della stabilità finanziaria e di una graduale ripresa nel 2015, così come era stato promesso nel 2012, prima delle ultime elezioni nazionali.
Ma nel triennio trascorso, l’esperienza della maggior parte dei greci è stata ben diversa dalle promesse: l’economia ha visto una contrazione di oltre il 10%, con una diminuzione della domanda interna del 15%, mentre l’export è cresciuto solamente del 2,4%, a fronte di un significativo calo dei salari reali (-6,3%) e con essi del costo del lavoro (-5,6%). Inoltre, la crescita della disoccupazione – dal 12,7% della forza lavoro nel 2010 al 24,5% nel 2012, sino al 27% del 2014 – è proseguita ininterrotta.
Non solo l’assicurazione di una ripresa graduale è stata disattesa, ma quella della stabilità finanziaria è stata posticipata verso un imprecisato futuro. L’incremento della tassazione e i tagli alla spesa introdotti, sulla base delle richieste della Troika (UE – BCE – FMI), hanno condotto a una riduzione del rapporto deficit/PIL dall’11,1% del 2010, all’8,6 del 2012, fino all’1,6% del 2014. Ciò nonostante il debito pubblico ha continuato a crescere, lievitando dal 146% del PIL nel 2010 al 157 del 2012, sino al 176% nel 2014. La palese instabilità finanziaria del paese mostra l’inefficacia della “cura da cavallo” – fatta di austerity e privatizzazioni – imposta al paese da parte dei creditori esteri, con il consenso della classe dominante ellenica. L’elettorato greco è pienamente consapevole dell’inefficacia e del pericolo delle politiche della Troika, avallate dal governo eletto nel 2012; una parte sempre più consistente è pronta a dar credito alle proposte di Syriza, per quanto sovversive possano apparire.
Syriza sostiene la necessità di una netta discontinuità con il passato, non soltanto con le politiche di austerity post-2010, bensì con l’ordine politico ed economico costituito, che è alla base dell’attuale tragica situazione. Nonostante il partito sia arrivato da poco alla ribalta internazionale, la sua proposta politica risale al 2008, anno in cui elaborò un programma per la Grecia e le sfide del XXI secolo. L’attuale agenda politica, per affrontare la crisi e il debito, si basa ancora su tale progetto.
La prospettiva di una “Grexit” – l’uscita di Atene dall’euro – sembra ora passata in secondo piano e provoca meno inquietudine, anche fuori dal paese: i partner dell’eurozona sembrano meno preoccupati, il meccanismo di stabilità europeo e le iniezioni di liquidità da parte della BCE sono percepiti come una protezione per la moneta unica, qualora l’uscita dall’euro della Grecia dovesse aver luogo. Anche i mercati finanziari sembrano al momento abbastanza calmi, dopo i tumulti di dicembre generati dall’annuncio delle elezioni anticipate. Ma i rischi non vanno sottovalutati, è in gioco l’ordine politico e sociale ad Atene come a Bruxelles. Un ipotetico governo Syriza, che metta in atto la propria agenda politica, può rimettere in discussione i metodi e le politiche di gestione dell’attuale crisi, non soltanto in Grecia, ma negli altri paesi indebitati e in tutta l’Unione Europea. Ad esempio, il ministro dell’economia irlandese è favorevole all’idea di un’“associazione dei paesi debitori” – una proposta di Syriza – che metta insieme Irlanda, Portogallo e Spagna. Anche il ministro delle finanze francese sembra esser pronto a negoziare con il futuro governo greco la ristrutturazione del debito ellenico.
L’orizzonte europeo, insomma, non è del tutto cupo. Una vittoria di Syriza potrebbe aprire la strada a una riorganizzazione dell’euro, i cui numerosi fallimenti, a partire dalla crisi finanziaria del 2007-08, sono stati ignorati troppo a lungo in Europa.