Dopo lo scoppio della pandemia alcuni segnali sembrano indicare un cambiamento delle politiche UE, nel segno dell’abbandono della logica dell’austerità. Ma questo orientamento rimane da verificare: un primo riscontro in tal senso arriverà il 18 giugno, con l’esito del Consiglio Europeo sul Recovery Fund.
And you better start swimmin’
Or you’ll sink like a stone
For the times they are a-changing
Su queste pagine eravamo intervenuti attorno al quadro macroeconomico di politiche necessarie per produrre effetti strutturali e determinare un’inversione di tendenza dell’economia italiana, indicando nel sostegno al reddito e all’occupazione e in quello alla produttività le due principali direttrici di intervento. La condizione necessaria per la loro efficacia risiede, oltre che in un coordinamento forte delle politiche, in un rinnovato protagonismo dello Stato: come intervento diretto, sia politico che gestionale, con l’obiettivo di un rafforzamento dell’azione pubblica, a partire dalla sanità; ma anche nella funzione più propriamente amministrativa e di regolazione, tornando ad assumere quel ruolo di governo dell’economia che decenni di liberismo imperante avevano bandito dal vocabolario politico corrente.
Non si tratta di una condizione di poco rilievo e non sono consentiti al riguardo facili ottimismi: le novità che si sono registrate sul versante europeo con il varo, da parte della Commissione, del progetto di un Fondo per la ripresa dell’economia, rischiano di tradursi, tragicamente, in un’occasione mancata se l’Italia – che come paese più colpito dal Covid-19 dovrebbe ricevere una quota pari a circa il 20% (82 miliardi di euro a fondo perduto e 91 in prestito) – non sarà in grado di dotarsi di un piano di azione coraggioso e innovativo, in grado di correggere i vizi strutturali della nostra economia e del nostro assetto sociale.
Il dibattito sulla modalità di reperimento delle risorse è ancora aperto e la discussione finale sul Fondo e sul Piano di ripresa ad esso collegato sarà fatta al Consiglio Europeo dei prossimi 17 e 18 giugno. Tuttavia si percepisce, al di là dell’ammontare delle risorse, che pure sono significative, la possibilità di una svolta epocale. Perché tale svolta si esplichi compiutamente, altri passi dovranno seguire, a partire da quelli verso un sistema fiscale comune: ma è fuor di dubbio che non si può mancare a un tale appuntamento e non sono consentiti alibi. È stato questo, peraltro, il filo conduttore del denso dibattito che Sbilanciamoci! ha organizzato al riguardo con il webinar “L’Europa che vogliamo”.
Più o meno contemporaneamente alla proposta della Commissione, un altro documento è stato prodotto a livello comunitario, indirizzato ai paesi membri dal Consiglio Europeo, che per l’Italia reca le raccomandazioni sul programma nazionale di riforma 2020 e formula un parere sul programma di stabilità 2020. Non si tratta di un documento vincolante, ma anche in questo caso siamo di fronte a un documento politico di grande rilevanza, che dà forza e sostanza agli orientamenti più recenti della Commissione Europea e, come abbiamo rilevato perfino con qualche stupore, in verità li sopravanza.
Se infatti è stata la Commissione a sospendere il Patto di Stabilità per consentire di affrontare l’emergenza sanitaria con i necessari deficit di bilancio, qui troviamo al primo punto delle raccomandazioni finali un’indicazione ancora più rassicurante: attuare tutte le misure per contenere la pandemia e sostenere la ripresa e, poi, “quando le condizioni economiche lo consentano”, perseguire politiche di bilancio prudenti e la sostenibilità del debito.
È lampante il rovesciamento di consequenzialità rispetto a quanto ci siamo sentiti dire per anni, e cioè che solo il pareggio di bilancio e la progressiva remissione del debito potevano salvarci dal disastro e sostenere la ripresa economica. Ora che il disastro è arrivato davvero, sostenuto da uno shock che più esogeno non si può, non solo si ammette implicitamente che quegli obiettivi non ci salvano, ma ci si raccomanda di perseguirne prioritariamente altri, con quelli niente affatto coerenti.
Quanto alle indicazioni sugli obiettivi intermedi delle politiche, le abbiamo trovate largamente coincidenti con quelle che stanno emergendo anche nell’ampio dibattito qui ospitato: rafforzamento della sanità pubblica; ripresa delle opere pubbliche e semplificazione delle procedure; riforma della Pubblica Amministrazione e, soprattutto, sua digitalizzazione; sostegno al reddito delle famiglie; sostegno all’occupazione attraverso la riqualificazione della manodopera adulta e l’ingresso nel mercato del lavoro degli inattivi (donne e giovani), grazie a investimenti pubblici diretti nella cornice del Green Deal, che in Italia vuol dire anche intervenire sulla fragilità del territorio. A coronamento, infine, rafforzamento dell’infrastruttura digitale e sostegno a ricerca e sviluppo.
Per certi aspetti, ancora più sorprendente è la totale assenza di riferimento a una misura che è stata il vero e proprio totem delle politiche liberiste, anche in Europa, per almeno vent’anni a questa parte: la riduzione delle tasse. Solo da queste parti, sembra, ne riecheggia ancora qualche anacronistica eco.
Ora, il fatto che ritroviamo nei documenti ufficiali UE il riferimento a un paradigma socio-economico, tante volte evocato dalle sparpagliate sinistre del continente, e fin qui mai preso in considerazione, ci fa pensare (e sperare) che si stia riannodando un tessuto di pensiero forte di impronta nettamente anti-liberista e, perciò, più sostanzialmente europeista.
Capire come ci siamo arrivati non è solo un capriccio intellettuale: significa verificare la solidità di questi nuovi orientamenti e la possibilità che disegnino per l’Europa un sentiero di sviluppo davvero sostenibile, sotto ogni possibile punto di vista: la prima considerazione che viene in mente è che stiano cambiando i rapporti tra i paesi all’interno dell’Unione Europea, intendendo con questo quelli, sottostanti a questi, tra sistemi socio-economici corrispondenti: cambiamenti a cui il Covid-19 ha probabilmente solo dato una brusca accelerazione. In Germania e in Francia, ma non solo: perfino qui da noi si sta muovendo qualcosa. Per capire in quale direzione, bisognerà andare in cerca di indizi.