Bis-trattati/Un ostacolo dopo l’altro, e questo è potuto accadere soprattutto grazie all’opposizione della sinistra e della società civile
Il caponegoziatore Ue per il Ttip, Ignacio Garcia Bercero, tende a minimizzare. Ma i grattacapi in sede di negoziato continuano a moltiplicarsi. Così come continua a crescere tra tutti coloro che sono favorevoli al Trattato transatlantico la paura che anche il Ttip possa fare la stessa fine dell’Acta, il trattato anti-contraffazione, fortemente voluto dagli Usa, bocciato nel 2012 dal Parlamento europeo sull’onda di una grande mobilitazione popolare. E di tanti altri trattati e accordi di libero mercato fortemente voluti dalle grandi imprese transnazionali ma naufragati a causa della forte resistenza incontrata (si pensi per esempio al celebre Accordo multilaterale sugli investimenti, il Mai).
Lo scorso mercoledì 15 ottobre, un gruppo di 25 europarlamentari appartenenti a vari gruppi politici – sinistra, Verdi, socialdemocratici e anche qualcuno del Movimento 5Stelle – ha inscenato una protesta silenziosa di fronte alla stanza 4C18 del parlamento, dove sono archiviati i documenti segreti relativi ai negoziati, chiedendo che siano resi pubblici in fase di negoziato e non a cose fatte, come è avvenuto per il Ceta, l’accordo di libero scambio Ue-Canada, anch’esso in via di negoziazione, dove una serie di documenti sono stati pubblicati solo dopo essere stati approvati dalla Commissione, senza che gli europarlamentari potessero cambiare una virgola.
Una cosa è certa: l’entusiasmo iniziale che ha accompagnato l’inaugurazione dei negoziati (con annunci roboanti su come il Ttip avrebbe generato crescita e occupazione per tutti) è durato poco. È bastato affrontare il tema della riduzione delle barriere tariffarie per far sorgere le prime tensioni: sembra infatti che l’offerta statunitense fosse decisamente molto generosa di quella europea.
Sul principio del mutuo riconoscimento, che obbligherebbe gli Stati Uniti ad accettare tutti i prodotti legalmente commercializzati nell’Ue (e viceversa), pare che l’amministrazione statunitense stia facendo molta fatica a convincere le imprese statunitensi (e i falchi della destra) ad accettare la completa apertura del mercato Usa ai prodotti europei. Più che buy Transatlantic la parola d’ordine, sull’altra sponda dell’oceano, sembra essere buy American ! Non meno problematica la situazione sul fronte dei servizi: i rappresentanti dell’industria sanitaria americana hanno già detto che un elemento irrinunciabile del Ttip è la piena liberalizzazione dei servizi sanitari pubblici europei. Una richiesta che sta generando una fortissima resistenza, soprattutto nel Regno Unito, anche grazie all’opposizione di sindacati e cittadini. Idem per quello che riguarda la cosiddetta “cooperazione normativa”, su cui pare che non sia proprio andata giù agli europei la proposta Usa di introdurre una serie di cambiamenti al procedimento legislativo comunitario, presumibilmente per renderlo più favorevole agli interessi imprenditoriali d’oltreoceano.
Controversa è anche la questione dell’energia: di recente la Commissione ha infatti rinunciato a ostacolare l’importazione dal Nord America del petrolio più “sporco” del mondo, quello estratto dalle sabbie bituminose, scatenando le proteste degli ambientalisti, che accusano la Commissione di voler abbassare gli standard ambientali europei per renderli compatibili con quelli americani.
Poi ovviamente c’è la questione più scottante di tutte: il famigerato meccanismo di risoluzione per i contenziosi tra investitore e stato, l’Isds. Al momento pare che i negoziati su quel fronte siano stati messi in pausa, in attesa che la Commissione pubblichi i risultato della consultazione pubblica sul tema lanciata a fine novemebre, che ha ricevuto più di 150,000 risposte, a dimostrazione di quanto sia sentito il tema dall’opinione pubblica.