La Commissione Europea rivendica quasi 3mila miliardi per gli Stati membri di fronte alla crisi, il Governo italiano un piano d’azione nazionale da 750 miliardi. Al di là delle cifre (ballerine), si sbaglia dal principio: trattare la crisi come congiunturale e rifiutare l’intervento pubblico diretto nell’economia.
Gli interventi delle istituzioni pubbliche per affrontare la pandemia rispondono alla necessità di offrire la liquidità necessaria al sistema economico affinché non imploda. Questa è la prima fase della soluzione della crisi, a cui dovrebbe seguire la rigenerazione del sistema economico; quest’ultima non sarà meno impegnativa della prima, sia in termini finanziari che di programmazione.
Le risposte alla pandemia
Secondo la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il continente avrebbe mobilitato qualcosa come 2.770 miliardi di euro. La Presidente utilizza lo schema di cui sotto e presenta le misure come “senza precedenti”.
Da un lato c’è SURE, un fondo per la disoccupazione pari 100 a miliardi di euro di assistenza finanziaria sotto forma di prestiti concessi a condizioni favorevoli, che prima o poi devono essere retrocessi; poi si menzionano i fondi dei singoli Stati (430 miliardi) che non sono spesa pubblica, ma coperture pubbliche per la liquidità delle imprese, quindi non deficit corrente; poi la Presidente della Commissione ricorda i due trilioni della BCE per arginare il corso dei titoli pubblici.
Anche il governo italiano dichiara che avrebbe mobilitato qualcosa come 750 miliardi di euro, così come hanno fatto tutti i Paesi. Riprendendo puntualmente il DEF 2020, “con il Decreto Cura Italia, si (…) garantisce un volume di credito stimato pari a 350 miliardi” e “il Decreto Liquidità ha previsto lo stanziamento di garanzie dello Stato alla società SACE Simest del gruppo Cassa Depositi e Prestiti per un totale di 400 miliardi”. Sono cifre roboanti, ma l’impegno finanziario è oggettivamente più contenuto. In effetti, il DEF chiarisce che “gli effetti del decreto ammontano a 155 miliardi di euro nel 2020 e 25 miliardi nel 2021, a cui si sommano, per il 2020, i 25 miliardi del decreto Cura Italia”.
Sebbene la garanzia pubblica dei debiti privati sia importante durante una crisi di questa portata, lo schema economico sotteso di Unione Europea e degli Stati membri manifesta la cronica resistenza all’azione diretta pubblica nel sistema economico. Infatti, garantisce il debito, sicura che si tratta di una crisi “congiunturale”, seppur con strascichi sul debito pubblico.
L’interpretazione della crisi Covid-19 delle istituzioni europee e dei Paesi membri, seppur con aspettative e ambizioni diverse, mantengono il tratto distintivo dello Stato come garante del mercato. Vediamo a questo punto come si presenta la crisi.
Analisi della crisi
Qui di seguito le stime del FMI circa gli effetti del Covid-19, così come dell’UPB e del governo italiano impegnato nella predisposizione del DEF[1].
Tutte le stime riconoscono che la contrazione del Pil non ha precedenti (la Grande Depressione del ’29 impallidisce rispetto ai numeri di questa crisi), ma registrano anche una crisi particolare: dopo una violenta caduta del Pil del 2020, nel 2021 si osserva una crescita robusta, con dei rimbalzi tecnici del reddito estremamente accentuati. In letteratura si nomina questo tipo di crisi con la lettera “V”. Ovviamente il rimbalzo tecnico non può recuperare le posizioni inziali, ma offre un quadro analitico, probabilmente coerente, con le misure fino a oggi intraprese e considerate a livello europeo.
Ma se è una “V” quella che ci aspetta, se si tratta solo di tirare la cinghia per qualche trimestre e poi tutto come prima, allora si fa tanto per rumore per nulla? Da un lato tranquillizza e, purtroppo, giustifica il comportamento reticente delle istituzioni europee circa gli eurobond, illustrati come qualcosa che non hanno precedenti storici (mobiliteremo trilioni di euro), dall’altra si osserva che l’intervento diretto nel sistema economico non è mai preso in considerazione. Sebbene ci sia del vero nell’interpretazione della crisi, comunque, il capitale affronta una flessione che ridimensiona il suo ruolo. Piaccia o meno, si registra una perdita di Pil pari al 3% a livello mondiale, che diventa significativamente più alta nell’area-euro, tra il 9 e il 7%.
Fatta questa precisazione, occorre catturare il “contenuto” tecnico di questa crisi, ovvero come e quanto condizionerà l’assetto produttivo. Sicuramente questa crisi è più profonda del 2008 e del 2011, ma non ha la stessa “forza” per cambiare il contenuto tecnico del Pil (reddito). La crisi del 2008-2011, infatti, combina “crisi” da domanda ed eccesso di capacità produttiva, mentre la crisi Covid-19 si presenta come una crisi dell’offerta che prima o poi potrebbe diventare una crisi da domanda, soprattutto se non compensata da un equivalente debito pubblico. Tanto più sarà profondo il debito pubblico, tanto più la forbice tra reddito perso e reddito potenziale si riduce.
Ciò che l’Europa continua a non comprendere è la necessità di un intervento straordinario diretto, non per diluire i propri e altrui debiti, piuttosto per continuare a immaginare un reddito coerente con quanto si aveva prima della crisi, e con quanto si deve cambiare. Detta più brutalmente, l’Europa continua a intervenire creando debito, anche il fondo europeo lo è, perché l’andamento a “V” della crisi è considerato come una perdita di reddito una tantum.
Vale il monito di Yanis Varoufakis: “Ma se si osserva nel dettaglio ciò che propongono, sia in Germania che nell’eurogruppo per l’Unione europea nel suo insieme, si trova esattamente la stessa categoria di errore – propongono grandi somme sotto forma di linee di credito, prestiti, o differimenti di imposte. Anche in questo caso, trattano quella che è fondamentalmente una sequenza di fallimenti come una mancanza di liquidità, come qualcosa che può essere affrontato con i prestiti. Stanno facendo esattamente la stessa cosa”[2].
La strada da seguire sarebbe un intervento pubblico diretto nell’economia, come proposto anche nel documento di Sbilanciamoci! In salute, giusta, sostenibile. L’Italia che vogliamo, su cui occorrerà ritornare.
Note
[1] Il Word Economic Outlook (April 2020, The great lockdown, ed. www.imf.org) stima una contrazione del Pil mondiale pari a -3% nel 2020, -7,5% per l’Euro-area e -9,1% per l’Italia; il DEF stima una perdita del Pil per il corrente anno dell’8%, l’UPB intravvede -15% di Pil.
[2] Yanis Varoufakis, 2020, “L’Ue ripete gli errori commessi dopo il 2008”, intervista di Loren Balhorn, Jacobinitalia, https://jacobinitalia.it/lue-ripete-gli-errori-commessi-dopo-il-2008/?fbclid=IwAR2F8ZjI-WZ3zphMGQ1jJ6d5m1vJvwoAX652VJ3bTrhwj9aDmcx6P49bHNw