Altro che cicale contro formiche. La mutualizzazione esiste da tempo, è dovuta al disfunzionamento dei mercati, e ne beneficiano gli stati del Nord. La Bce può essere la linea del Piave. Da Economia e Politica.
Premessa
Lo shock estremo a cui è sottoposta l’eurozona non solo si inserisce su una congiuntura che non sarebbe stata favorevole nemmeno senza il virus (DG ECFIN 2020), ma mette alla prova l’architettura stessa dell’eurozona, che si rivela difettosa fin dal suo primo disegno. Insomma, piove, piove sul bagnato, e sotto il bagnato c’è un dissesto idrogeologico.
Mentre non si esita, anche da posizioni “conservatrici” (Codogno e van den Noord 2020b), a ritenere auspicabile in risposta a uno shock intenso e simmetrico, quantomeno nel suo impatto iniziale, una reazione fiscale intensa e simmetrica, sulle modalità di finanziamento invece ci si divide, e si avanza a tentoni. Da una parte chi sostiene la necessità “eurobond” ha difficoltà a dire come costruirli in modo non solo efficiente, ma anche conforme ai vincoli istituzionali derivanti dall’architettura stessa dell’Unione. Dall’altra, chi sostiene la viabilità incondizionata delle soluzioni “alla MES”, sottovaluta gli effetti potenzialmente devastanti che deriverebbero sugli spread in eurozona. Si sostiene, aproblematicamente o addirittura sofisticamente, che il MES non solo è l’unica strada ma è anche la più giusta, per evitare il famigerato moral hazard (Bisin et al 2020, Cottarelli et al 2020), e non si vede, o si fa finta di non vedere, lo svantaggio sistemico che deriverebbe dall’oggettivo indebolimento dell’eurozona che l’aumento degli spread genererebbe.
La soluzione, o meglio il compromesso faticosamente distillato dall’eurogruppo il 9 aprile scorso, al di là delle apparenze non cambia la sostanza. È un compromesso, appunto, fatto per prendere tempo. Da una parte si allentano le condizionalità del MES, ma solo per spese sanitarie. Dall’altra le si mantengono per altri eventuali ricorsi al MES, peraltro limitati quantitativamente ben al di sotto di quelle che sarebbero le reali esigenze di uno stato che vi dovessero ricorrere. Da una parte si esclude l’ipotesi eurobond, ma dall’altra si apre a un’ipotesi “fondo” non meglio definita, anche perché definirla esula dalle prerogative dell’eurogruppo, che quindi l’ha definita come definibile “più in là”.
Si prende tempo, e si fa bene a prenderlo perché in questo quadro qualunque decisione definitiva, o se si vuole qualunque “soluzione finale”, rischia, prima ancora che di rivelarsi deleteria, di essere smentita dall’evoluzione della situazione. Penso soprattutto al ruolo di ago della bilancia che incombe alla Francia. La quale non ha ancora tutti gli elementi per misurare dove stia la sua convenienza nazionale: se nel continuare ad allinearsi alle scelte tedesche o nel provare a guidare una “coalizione del sud”. E forse, se ben guardiamo al suo dibattito interno, e a come di conseguenza si comporta nei confronti dell’Olanda, nemmeno la stessa Germania sa che cosa davvero le conviene.