Un ricordo, a pochi giorni dalla scomparsa, della giornalista, scrittrice ed ex senatrice Carla Ravaioli. Simbolo di una generazione ancora in grado di trasmettere a quelle successive
Vorremo sempre bene a Carla perché ci rimane dentro. In effetti, non le volevamo solo bene: ne coglievamo in ogni istante l’apporto irripetibile per capire più in profondo come stessero le cose, senza limitarsi a dire che tutto sta cambiando solo per disancorarsi dai principi, dai valori, dalla memoria. Magari creandosi l’alibi per non stare più su una frontiera sempre meno presidiata.
La incontravo spesso venendo a Roma e ne apprezzavo la ricchezza di attenzioni anche agli aspetti umani delle relazioni. Bruna, mia moglie, sorrideva quando mi passava le sue telefonate, immancabilmente in orari che ci coglievano negli spazi sereni del ritorno a casa, quasi fosse una di famiglia che, quando viene a trovarti, metti al tavolo con quello che c’è.
Ho scritto un libro con lei sulle 35 ore e la riduzione dell’orario di lavoro in cui c’era tutta l’esplosione di gioia per la possibilità di riappropriarsi di uno spazio di vita, di ambiente restituito alla riproduzione e alla rinnovabilità, di convivialità meritata. Carla era molto bella anche dopo gli ottant’anni: il che faceva sperare a tutti gli estimatori di non invecchiare mai. Non accomodante, ma gentile, non settaria, ma rigorosa, dialogante, ma irriducibile nelle sue convinzioni. Credo sia appartenuta ad una generazione che era in grado ancora di trasmettere a quelle successive: ora se ne va, leggera, senza vivere il dramma della mia generazione che viene “rottamata” perfino dagli amici, prima che dagli avversari. Carla mi ricorda Laura Conti, seppure nella profonda diversità di esperienze, carattere, rapporti con l’eresia in politica. Laura ci è rimasta compagna di viaggio, come lo sarà indubbiamente Carla.
Ti vediamo sorridente anche in questo momento triste. Ma, come per Bruna, a cui tu eri affezionata e di cui ti addolorava la morte, “la vita non finisce mai”.