Inutile girarci intorno: alla COP 25 di Madrid si è consumato un fallimento. Che non è solo il mancato accordo sul double counting e sul loss and damage. Dalla rivista Micron.
Inutile girarci intorno: a Madrid si è consumato un fallimento. Che non è solo il mancato accordo sul double counting e sul loss and damage. Ma che è anche e soprattutto lo iato tra il livello di allarme indicato dalla comunità scientifica e l’allegra spensieratezza con cui risponde la gran parte dei governi di tutto il mondo procede, condita (e, dunque, permessa) dalla quasi indifferenza del mondo dei media.
Stiamo parlando, è chiaro, di COP 25, la venticinquesima Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che per due settimane si è inutilmente tenuta nella capitale spagnola.
L’avverbio – inutilmente – non è dettato dalla pancia del cronista che segue il circo dell’ecodiplomazia da più di trent’anni. È piuttosto la sintesi di un bilancio freddo e razionale, tanto amaro perché non prevenuto. Sappiamo infatti che non è facile mettere d’accordo i rappresentanti di quasi duecento paesi più l’Unione Europea, di cui diremo qualcosa (di positivo) di qui a poco. Ma è meglio che giudichi il lettore.
La COP 25 che doveva tenersi a Santiago del Cile ma è poi è stata spostata a Madrid per i noti fatti che hanno sconvolto il paese sudamericano non era programmata per fare la rivoluzione. Era una tappa di avvicinamento per COP 26 che si terrà a Glasgow esattamente tra un anno. Era stato deciso così alla COP 21 di Parigi del 2015. Chiediamo al lettore perdono: sappiamo che non è semplice navigare tra questi numeri e tra questi appuntamenti.
Ma cerchiamo di riassumere. A Parigi nel 2015 i rappresentanti dei suddetti governo diedero una chiara anche se insufficiente prova di consapevolezza: presero ufficialmente atto che il clima sta cambiando a causa delle attività umane e che bisogna cercare di contenere il conseguente aumento della temperatura entro i 2 °C e possibilmente entro gli 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale. Sotto la Torre Eiffel quei governi – guidati dall’inedito duopolio costituito da USA (di Obama) e Cina – si impegnarono sulla parola a ridurre le emissioni di gas serra.
Va detto che gli impegni presi erano insufficienti: ove anche fossero stati adottati, la temperatura media alla superficie della Terra sarebbe aumentata da qui a dine secolo di 3 °C rispetto all’epoca pre-industriale. Forse perché consapevoli di questo, i quasi duecento paesi si diedero appuntamento al 2020 e, dunque, a COP 26 per tirare un bilancio ed eventualmente correggere le cose che non vanno.