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Le armi italiane in Turchia contro i curdi

Anche se gli Stati Uniti non vogliono più vendere gli F35 alla Turchia, a causa dell’acquisto dei sistemi missilistici russi, Erdogan spadroneggia in Medioriente come membro della Nato, a scapito dei curdi. Ed è il terzo partner armiero italiano.

Secondo i dati forniti dalla Relazione annuale al Parlamento relativi alle operazioni svolte nel 2018, nella classifica dei primi venticinque Paesi per autorizzazioni italiane all’esportazione di materiale d’armamento, la Turchia si colloca al terzo posto, dopo il Qatar e il Pakistan, come viene analizzato in dettaglio dal dossier di Archivio disarmo L’attacco della Turchia al Rojava siriano” 2019, comprendente due report e un’infografica a cura di Serena Doro e Benedetta Giuliani, che analizzano lo stato della crisi nel Rojava siriano a seguito dell’operazione militare intrapresa dalla Turchia. I documenti offrono un quadro sintetico, ma esaustivo dell’export di materiale bellico occidentale destinato alla Turchia.

La Turchia, alleato della NATO, ha sempre avuto un ruolo importante di cerniera sia verso la Russia sia verso l’area mediorientale, teatro permanente di conflitti da decenni. 

Se i vertici militari a lungo hanno rappresentato la continuità con l’impronta laica voluta dal nazionalista Mustafa Kemal Atatürk a partire dal 1923, il nuovo corso di Erdogan ha mutato profondamente il quadro, anche in seguito al tentato colpo di Stato e alle relative, durissime epurazioni. 

Le sue forze armate, comunque, sono state potentemente armate nel corso degli anni e si è andata anche costituendo un’industria militare di tutto rispetto, che produce in proprio o su licenza diversi sistemi d’arma. E’ interessante rilevare che Ankara ha diversificato i suoi fornitori comprando non solo dagli alleati della NATO, ma anche dalla Russia, dalla Cina, da Israele e dalla Corea del Sud. Il bello della globalizzazione dei mercati, si potrebbe dire.

A conferma dell’importanza strategica e militare della Turchia vi è la base di Incirlik dove sono le bombe nucleari statunitensi B61, che rappresentano la presenza nel versante sud-orientale del potente alleato di Washington, con cui peraltro i rapporti in questi ultimi anni sono stati non proprio lineari. Basta pensare al recente diniego statunitense circa la fornitura dei nuovi caccia F35 ad Ankara, dopo la decisione turca di acquistare sistemi antimissile e missili dalla Russia (i sistemi d’arma S400), temendo che i tecnici di Mosca potessero in qualche modo venire a conoscenza dei segreti dei nuovi aerei della Lockheed Martin. E qualcuno ha addirittura ipotizzato che le bombe B61 possano essere ritirate da quella base.

Comunque, secondo alcuni osservatori, le forze armate della Turchia sarebbero la quarta potenza militare della NATO, dopo quelle di Usa, Francia e Gran Bretagna. In effetti, se si vanno ad osservare gli arsenali di Ankara, risultano – per citare all’ingrosso – ben dotati di carri armati (3.200), mezzi corazzati (9.500), aerei (1.067), navi (194) e artiglieria (2.392) in misura più che abbondante. Per di più esse godono dei servizi comuni d’intelligence e quanto altro della NATO.

E’ ovvio che l’azione intrapresa contro i curdi siriani abbia un esito scontato, data la soverchiante potenza del Paese euroasiatico e dati gli atteggiamenti delle altre forze in campo – in primis USA e Russia -, senza considerare la nullità del ruolo dell’Unione Europea, che ha mostrato maggiori preoccupazioni per la minaccia dei profughi (dalla Turchia “ospitati” a pagamento UE) rispetto all’invasione del Kurdistan siriano.

Il timore di Ankara rispetto alle possibili rivendicazioni di un Kurdistan autonomo e/o indipendente, sia in Turchia sia nei Paesi limitrofi (Iraq, Siria e Iran), è legato non solo al forte nazionalismo e ad un non rispetto storico delle minoranze (basti pensare al genocidio armeno tra il 1915 e il 1916, nonché alle attuali repressioni), ma anche all’importanza geopolitica che riveste quel territorio curdo, area di transito di diversi oleodotti e sorgente del Tigri e dell’Eufrate, fiumi strategici per un’area vastissima.

Ecco dunque i motivi per cui la Turchia rimane fondamentale per la strategia della NATO, chiudendo non solo la cosiddetta fascia di “contenimento” rispetto alla Russia (che invece considera questa cintura un “accerchiamento”), ma rappresentando anche una base avanzata rispetto all’area mediorientale, compreso l’Iran.

Per approfondimenti vedi Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo IRIAD, Dossier “L’attacco della Turchia al Rojava siriano” 2019, http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-45-06/22-articoli/580-turchia-curdi-2019

I maggiori esportatori di armi alla Turchia 2010-2018 (mln $)

(Fonte: SIPRI 2019)

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