Mobilitarsi contro la crisi, mobilitarsi per un’altra democrazia: due ondate di protesta sociale a confronto. L’ultima parte dal locale per farsi globale
Emersa a dieci anni di distanza dalla nascita del movimento per una giustizia globale, la nuova ondata di protesta che è cresciuta in Europa, contro la crisi finanziaria e le politiche di austerity, mostra certamente continuità ma anche discontinuità rispetto al passato. Diversa è soprattutto la forma di transnazionalizzazione della protesta, simile l’attenzione alla costruzione di un’altra democrazia.
Per quanto riguarda la costruzione di un movimento transnazionale, entrambe le ondate di protesta parlano un linguaggio cosmopolita, rivendicando diritti globali e criticando il capitale finanziario globale. In entrambi i casi, in Europa i movimenti hanno sviluppato una sorta di europeismo critico, opponendosi all’Europa dei mercati (e oggi, di banche e finanza) e impegnandosi a costruire una Europa dal basso (oggi, “con l’Europa che si ribella”). Mentre il movimento per una giustizia globale si è però mosso dal transnazionale al locale, coagulandosi nel Forum sociale mondiale e nei controvertici, e organizzandosi poi nei forum continentali e nelle lotte locali, la nuova ondata di protesta sta muovendosi verso un percorso opposto, dal locale al globale.
Seguendo la storia, la geografia e l’economia della crisi – che ha colpito aree diverse in momenti diversi, con diversa intensità, ma anche con caratteristiche differenti (debito pubblico o private, indebitamento con banche nazionali o internazionali) i movimenti anti-austerity hanno dei più evidenti percorsi nazionali. Innanzitutto, tra la fine del 2008 e l’inizio dell’anno successive, in Islanda – primo paese europeo colpito dalla crisi – cittadini autoconvocati hanno reagito al crollo provocato dal fallimento delle tre principali banche del paese, denunciando le responsabilità delle otto famiglie che dominavano politica ed economia (significamente definite come parte di un octopus tentacolare), e imposto un referendum che si è concluso stabilendo una rinegoziazione del debito. Proteste nelle forme più tradizionali dello sciopero generale e delle manifestazioni sindacali hanno accompagnato la crisi irlandese, opponendosi ai tagli nelle politiche sociali. Nel marzo del 2011, in Portogallo, una manifestazione organizzata via Facebook ha portato in piazza 200.000 giovani. In Spagna, un paese rapidamente caduto dalla ottava alla ventesima posizione in termini di sviluppo economico, la protesta degli Indignados si è diffusa da Madrid in tutto il paese, conquistando visibilità globale. Mentre il numero degli attivisti accampati a Puerta del Sol a Madrid cresceva da 40 il 15 maggio del 2011 a 30.000 il 20 maggio, centinaia di migliaia occupavano le piazza centrali di centinaia di città e paesi. La protesta del 15 maggio ha poi ispirato simili mobilitazioni in Grecia, il paese più colpito da drammatiche politiche di austerity, che hanno aggravato le condizioni economiche del paese, facendo crescere esponenzialmente il numero dei cittadini al di sotto della soglia di povertà. In Italia, dove il governo di Mario Monti (governo di grande coalizione, sostenuto da una maggioranza parlamentare PDL-PD-UDC) ha imposto politiche ultra-liberiste, la protesta sta crescendo dal basso, a livello locale, ma anche con momenti di aggregazione nazionale.
Ci sono stati certamente numerosi esempi di diffusione cross-nazionale di forme d’azione e schemi interpretative della crisi. Dall’Islanda, simboli e slogans hanno viaggiato verso il Sud Europa, diffondendosi attraverso canali indiretti, mediatici (soprattutto attraverso le nuove tecnologie), ma anche diretti, fatti di contatti tra attivisti di diversi paesi, per natura geograficamente mobili. Il 15 ottobre 2011, una giornata mondiale di lotta, lanciata dagli Indignados spagnoli, ha visto eventi di protesta in 951 città di 82 paesi. Nel 2012, mentre le proteste sindacali e gli scioperi si susseguono intensi in tutto il Sud Europa, i sindacati spagnoli, greci e portoghesi hanno chiamato ad una giornata di lotta europea contro le politiche di austerità, oltre che a scioperi generali in tutti e tre i paesi per il 14 novembre. Dopo forti tentennamenti, anche la CGIL ha proclamato uno sciopero generale di quattro ore.
Il grado di coordinamento transnazionale della protesta è comunque certamente ancora minore che per il movimento per una giustizia globale, per il quale i forum mondiali e i controvertici hanno rappresentato fonti di ispirazione per identità cosmopolite e occasioni importantissime di costruzione di reticoli transnazionali. Sondaggi fra i cittadini mobilitati nelle proteste anti-austerity in Europa hanno inoltre indicato una crescente attenzione alla dimensione politica nazionale, seppure non disgiunta da quella alla politica europea e mondiale. Le forme di comunicazione transnazionale di questi movimenti sono emerse, se non più deboli, certamente diverse rispetto a quelle dei movimenti di inizio millennio. La dispersione sociale prodotta dalle politiche di austerity ha portato anche ad una maggiore rilevanza delle forme di comunicazione più individuali favorite dal Web 2.0, rispetto a quelle dei network organizzati della precedente ondata.
Nonostante questa (importante) differenza, ci sono comunque molte continuità rispetto alla precedente ondata di protesta: una delle più importanti è l’attenzione alla degenerazione della democrazia liberale in democrazia neoliberista (“La chiamano democrazia, ma non lo è”, recitano i cartelli degli indignados spagnoli), insieme però alla volontà di costruire una democrazia diversa: dal basso, partecipata e deliberativa. Le critiche sono, allora come ora, alla corruzione di parlamenti e governi, accusati di avere provocato la crisi, non solo per adesione ideologica alle dottrine economiche neoliberiste ma anche per diffuse connivenze politico-affaristiche in un coacervo di interessi forti (dell’1% contro il 99%). Anche dal movimento per una giustizia globale viene ai movimenti di oggi l’attenzione alla privazione di diritti di cittadinanza provocata dalla sempre maggiore delega di decisioni ad organizzazioni internazionali, che sfuggono strumenti di controllo – privazione aggravata oggi dal moltiplicarsi di trojke totalmente prive di legittimazione democratica. Allora come ora, inoltre, i movimenti rivendicano il loro ruolo nello sperimentare nuove forme di democrazia, basate su una ampia partecipazione dei cittadini non solo nel momento della decisione, ma anche nella elaborazione di idee, identità, soluzioni ai problemi. In questo, i movimenti di oggi rappresentano anzi una sorta di radicalizzazione della idea di partecipazione e deliberazione estesa a tutti. Nelle acampadas si realizza infatti una continua sperimentazione di quello che gli attivisti di inizio millennio chiamavano il “metodo” del social forum, che vuole facilitare il consenso attraverso la costruzione di una molteplicità di sfere pubbliche, plurali e orizzontali. È attraverso queste pratiche democratiche che, anche oggi, movimenti transnazionali possono crescere dal basso.