La politica del governo Monti cannibalizza l’economia del paese nell’interesse dei poteri forti. Possiamo ripartire dalla società, con le reti di economia solidale che tengono insieme territorio, protezione dell’ambiente e buoni lavori
Il 2012 sarà un anno dirimente per il futuro dell’Italia: potrebbe essere decisivo per capire, alla vigilia di un nuovo appuntamento elettorale, in che tipo di Paese vivremo e con quali prospettive. La nostra realtà è quella in cui il reddito medio pro-capite supera di poco i 19mila euro l’anno, in cui il lavoro sta diventando una variabile indipendente della capienza del reddito d’impresa e in cui, solo lo scorso anno, 26mila imprese guidate da under 35 in tutti i settori produttivi hanno chiuso i battenti. Il Governo Monti, dal canto suo, ha già fatto ben capire a che tipo di Paese pensa: il Decreto sviluppo è un po’ la fotografia della cannibalizzazione di un Paese spolpato fino all’osso da parte dei pochi poteri forti che lo controllano. Se da un lato si annuncia un piano per moltiplicare le colonnine in strada per le ricariche delle auto elettriche, dall’alto si tagliano le bollette energetiche ai grandi consumi industriali, si accelera sulla produzione di quegli agro carburanti che stanno incendiando i prezzi delle materie prime alimentari . Si pensa ai cittadini “indigenti” annunciando un piano per la distribuzione di viveri. Ma quando si riprogettano le città, nella “Cabina di regia” che dovrebbe guidarne il miglioramento siedono solo i ministri e tangenzialmente le imprese, non riconoscendo alcuno spazio a quei meccanismi di partecipazione e di cittadinanza attiva che localmente stanno consentendo a quella maggioranza di persone che sta perdendo reddito e voglia di reagire, di non scivolare al di sotto della soglia dell’impotenza. E’ un fatto, ad esempio, che sempre nel 201 sono quasi 697mila, le aziende giovanili che hanno resistito alle difficoltà economiche, la maggioranza delle quali opera nel commercio e nei servizi di alloggio e ristorazione (251mila), nel manifatturiero e nelle costruzioni (182mila) e nell’agricoltura (62mila). E che il Fondo per la crescita sostenibile prossimo venturo, che raccoglie l’eredità di mille leggine di incentivi e sgravi che avrebbero dovuto agevolarle, eredita da esse quell’indeterminatezza e, almeno nelle bozze disponibili dei decreti attuativi, quell’assenza di vera innovazione e di lungimirante sostenibilità tra i criteri di attribuzione, che ci hanno impedito fino ad oggi come sistema produttivo e di consumi di fare un vero passo avanti verso il futuro. Quel futuro che sono ben vent’anni che stiamo aspettando.
La presa di coscienza dell’importanza a livello mondiale dell’interdipendenza tra pace, benessere e mantenimento degli ecosistemi e dell’ambiente in generale, è avvenuta attraverso un processo di maturazione la cui prima tappa coincide con la convocazione a Stoccolma della Conferenza sull’ambiente umano nel 1972. Da quel momento, infatti, le Nazioni Unite, che fino ad allora avevano soprattutto posto l’accento su diritti umani, pace e sviluppo socio-economico equo, assunse la sicurezza ambientale come quarto punto di interesse fondamentale. Nel giugno del 1992 all’Earth Summit di Rio de Janeiro i rappresentanti di oltre 170 paesi di tutto il mondo hanno elaborato e sottoscritto Agenda 21, un programma di “cose da fare” per il XXI secolo, per tradurre in azioni i presupposti dello sviluppo sostenibile. L’innovazione più importante introdotta da questo processo è quella di aver costruito un piano strategico da sviluppare su scala globale, nazionale e locale per migliorare le condizioni ambientali, economiche e sociali per il XXI secolo. L’aspetto più significativo in tutto questo processo è proprio la partecipazione e la condivisione di obiettivi, strategie, responsabilità ed azioni che risalgono dal livello locale a quello globale, proprio allo scopo di prendere decisioni ed operare scelte efficaci ed efficienti. L’agenda XXII riparte da qui, ma deve fare un passo avanti verso un’economia davvero solidale. Dobbiamo creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).
Le Reti delle economie solidali, proprio nel nostro Paese, lo fanno con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso, sull’esperienza che ci arriva da una tradizione importante – che è gran parte del nostro patrimonio nazionale – e da progetti di ricerca innovativi, ma troppo spesso sotto finanziati. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità. La dimensione locale non preclude però l’esistenza di altri livelli di relazione, scambio e mercato regionale, nazionale, internazionale e globale, come dimostrano alcuni dei progetti equosolidali migliori. Alla Controcernobbio 2012 di Capodarco di Fermo abbiamo lanciato, come organizzazioni delle economie solidali, un affondo in questa direzione: proponendo a tutta la società civile e al tessuto imprenditoriale e amministrativo, a partire dai livelli locali, di puntare la bussola e le poche energie residue verso un’economia reale, fatta di persone, storie, ma soprattutto di futuro.