In Europa, la corsa verso il collasso non si ferma. A meno che le elezioni dei prossimi mesi in Grecia, Olanda, Italia e Germania impongano un radicale cambio di rotta
Troppo poco e troppo tardi. Di fronte alla crisi è così che agisce la politica, europea e italiana. Prima questione, la finanza. Per decenni si è lasciata mano libera alla speculazione, la Commissione europea ha presentato una proposta di tassa sulle transazioni finanziarie, due giorni fa il Parlamento europeo ha votato una mozione. L’accordo politico è generale – con l’eccezione del premier inglese David Cameron – e secondo Eurobarometro il 66% degli europei vogliono questa misura. Ma non sappiamo ancora se e quando entrerà in vigore.
Seconda questione, la Grecia. Il (piccolo) debito pubblico della Grecia avrebbe potuto essere garantito senza problemi dall’insieme dell’Eurozona. E’ diventato la miccia che ha fatto scoppiare la speculazione contro tutti i paesi della periferia europea. Ora rifinanziare il debito costa il doppio di prima (quasi il 15% della spesa pubblica andrà a pagare gli interessi) e l’Unione – costretta da Berlino – si è infilata in un “fiscal compact” che costringe tutti a rimborsare il debito: una politica irrealizzabile, ma solo il nuovo presidente francese Hollande osa dire che “il re è nudo”; l’Italia si allinea e la cancelliera tedesca Merkel resta irremovibile – dopo quattro sconfitte elettorali – sulla proposta di eurobond.
Dopo questi disastri sul lato della finanza pubblica, l’asse Berlino-Bruxelles-Francoforte ha deciso a fine 2011 di salvare le banche private; il conto sono gli oltre mille miliardi di euro di liquidità “regalati” per tre anni dalla Bce alle banche al tasso dell’1%, per rimettere in sesto conti che continuano a fare acqua da tutte le parti (si vedano i casi di JP Morgan, banche spagnole, Monte Paschi). In più, il “Meccanismo europeo di stabilità” si profila come lo strumento per permettere alle banche private di liberarsi dai titoli pubblici a rischio. Le quote del debito di Grecia, Spagna e Italia detenute da investitori stranieri stanno scendendo rapidamente; in Italia tra giugno e dicembre scorso gli stranieri si sono liberati di Bot per 150 miliardi, in questi mesi la corsa è accelerata.
Messa in salvo la finanza, si può a questo punto scaricare la Grecia dall’Eurozona. Le voci si moltiplicano, i costi non saranno più pagati dalle banche tedesche, ma – attraverso svalutazione e prezzi delle importazioni alle stelle – dal 90% dei greci più poveri; i ricchi hanno già portato via i soldi dal paese.
E’ questa la terza questione, la fuga di capitali. Scappano da Grecia, Spagna e Italia, vanno in Germania (si comprano titoli tedeschi con rendimenti dello 0,07%), vanno in Svizzera, dove a fine 2011 si valutavano in 80 miliardi i patrimoni finanziari dei greci in fuga (ora moltiplicati), vanno nei paradisi fiscali.
Per l’Italia Citigroup valuta le fughe di capitali nel 2011 in 160 miliardi di euro (il 10% del Pil), per la Spagna si calcolano 100 miliardi; quest’anno la tendenza è accelerata bruscamente. I depositi in Italia delle banche straniere sono caduti di un terzo, ancora peggio negli altri paesi del sud Europa. Siamo arrivati ora al ritiro dei depositi dalle banche: è l’intero sistema finanziario che vacilla, e la politica, ancora una volta, non vede, tace, non agisce. La corsa verso il collasso non si ferma, a meno che le elezioni dei prossimi mesi – nell’ordine, in Grecia, Olanda, Italia e Germania impongano un radicale cambio di rotta.
Questo articolo è uscito anche sul manifesto del 25 maggio