Il mondo delle criptovalute, dalla antesignana Bitcoin al possibile, ma non probabile, lancio di Libra da parte di Zuckerberg, e le comunità della blockchain. Quale sarà il loro sviluppo, l’ impatto sulle banche e che tipo di opportunità possono rappresentare.
DLT, blockchain e Bitcoin
Come tutte le innovazioni, e in particolare quelle che nascono dal basso, anche la Distributed Ledger Technology (DLT, tecnologia dei registri distribuiti, o diffusi), di cui la blockchain è specifica declinazione, ha un grande potenziale libertario di (i) democratizzazione e (ii) redistribuzione del potere, nel caso specifico con riferimento alle modalità di accesso al web, ai suoi mercati, alle transazioni che – sempre più copiose – esso ospita e determina.
In estrema sintesi e semplificazione, la tecnologia blockchain consente di dare certezza, sicurezza, controllo diffuso allo scambio di informazioni che girano sul web, generando così un sistema autogestito, in cui chiunque in teoria può entrare, che non necessita di autorità – pubbliche o private – delegate a supervisionarne processi e modalità di funzionamento.
Il mondo si è accorto dieci anni fa di questa concreta applicazione ai processi digitali dell’utopia anarchica, con la nascita del Bitcoin, criptovaluta che è parte integrante (la più famosa e rilevante, tra le molte) della logica blockchain. E subito dopo si è trovato ad interrogarsi se, come già accaduto in passato per altrettanto ottime idee dalle altrettanto ottime intenzioni, non si stia mettendo tale dirompente potenziale al servizio solo (o soprattutto) di loschi traffici e oscure community.
Il Bitcoin è un vero e proprio asset digitale non replicabile, un “nuovo oro” dice qualcuno con molta enfasi, che corre parallelo ai circuiti economici ufficiali, ed è così inevitabile che eserciti potente forza di attrazione su chi – al meglio – è alla ricerca di facili e veloci profitti e – al peggio – si mescola con attività illegali o criminali.
Ma le criptovalute sono anche molto di più: 35 milioni di utenti unici (e verificati) non possono essere tutti speculatori o parte di una gang del narcotraffico…
I dubbi (e le preoccupazioni) delle autorità
Non è questa la sede per approfondire se e quando (e quanto) le criptovalute potranno diventare vera e propria moneta. Al di là della bolla mediatica prodotta da Libra, il progetto di Facebook, di cui tanto ancora si deve comprendere, sono molti i dubbi sulla natura di questi strumenti, di tipo funzionale prima ancora che giuridico. Secondo un recente studio di Banca d’Italia1:
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non soddisfano la definizione di attività finanziaria in quanto non forniscono, ad esempio, al possessore un diritto contrattuale a ricevere disponibilità liquide o un’altra attività finanziaria da un’altra entità;
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l’elevata volatilità di prezzo non le rende equivalenti alle attività liquide simili a “moneta”;
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quelle convertibili a tasso di cambio fluttuante non hanno le caratteristiche della moneta legale (“fiat money”), in primo luogo il potere liberatorio.
Tali considerazioni non hanno comunque impedito al Comitato di Basilea, recentemente, di inserire le cripto-valute tra le informazioni che le banche devono monitorare e presidiare nell’ambito dei rischi di mercato, di credito, di controparte e di liquidità2.
Dalle criptovalute agli smart contract
Dopo pochi anni dall’arrivo del Bitcoin nasce Ethereum, declinazione ben più ampia delle potenzialità delle DLT. Ethereum, infatti, non solo ha una sua criptovaluta (che si chiama Ether) ma a differenza del “banale” processo sottostante i Bitcoin, rappresenta anche un vero e proprio ambiente virtuale o convenzionale, una piattaforma di scambio da cui possono generarsi (e appunto essere transati) pacchetti di dati criptati (chiamati token), non modificabili, personalizzabili, scambiabili all’interno di sotto insiemi o sotto ambienti programmati per gli usi più diversi, i c.d. DAPPS (decentralized applications).
Questa architettura costituisce la base su cui costruire e far sviluppare gli smart-contract, ossia sistemi del tutto digitali e massimamente affidabili di scambio e negoziazione: se tutto andrà secondo le previsioni dei più fiduciosi, ciò decreterà la fine dei notai, dei catasti, delle anagrafe pubbliche e…tanto altro3.
L’esplosione delle ICO
La storia di Ethereum è emblematica del mondo blockchain anche per come nasce e si finanzia: attraverso una Initial Coin Offering (c.d. ICO) sono stati raccolti in modalità crowd – ossia in modo del tutto libero e distribuito sul web – circa 18,5 milioni di dollari (espressi in Bitcoin: 31.500 alla quotazione del settembre 2014), che hanno consentito tra 2014 e 2015 di coprirne i costi di sviluppo.
Oggi le ICO sono un processo ordinario di finanziamento di progetti di sviluppo in ambito blockchain, laddove sintetizzano i meccanismi di rappresentazione (prima) e accumulazione (dopo) del valore (potenziale o attuale) dell’iniziativa, mentre per quanto detto il meccanismo transazioniale è costituito dai token, e la “contabilità” di tutto è (appunto) la blockchain, o DLT. Ogni giorno vi è qualche ICO aperta, per i fini più disparati: giochi, sanità, sistemi di pagamento, investimenti, monete alternative, ecc4.
Consumo energetico e governance dietro le DLT
Non va sottovalutato il tema “energetico” connesso a tutto il funzionamento delle “catene” dei singoli algoritmi che determinano i “blocchi” crittografati5. Secondo un recente studio dell’Università di Cambridge, il consumo energetico annuo collegato a blockchain e criptovalute è tra 52 e 111 TWh, considerando che 82TWh è l’equivalente del consumo energetico del Belgio e rappresenta meno dello 0,01% del consumo energetico globale annuo6.
Nessuno ha mai fatto un calcolo di tale saldo saldo al netto dell’energia liberata: basti pensare alla carta non stampata, al mancato spostamento fisico di cose e persone, alla maggiore efficienza di ogni transazione a livello globale.
La valutazione del tutto intuitiva – e che pertanto lascia il tempo che trova – di chi scrive è che tale saldo possa essere positivo per l’umanità e il pianeta.
Vero è che l’impatto del processo computazionale, sempre più dispendioso col crescere del network globale di funzionamento della blockchain, sembra porre invece temi rilevanti in termini di governance. Infatti, il crescente costo delle attività di calcolo (l’estrazione di dati) ha portato alla nascita di forme di “cartelli” (pool) tra operatori, al fine di raggiungere economie di scala, così da determinare il rischio che pochi soggetti a livello globale ne detengano una rilevante quota, cosa che sarebbe in palese contrasto con la stessa filosofia alla base di ogni DLT. Secondo il citato studio della Università di Cambridge, però, tale eventualità appare sopravvalutata e l’attività di estrazione (mining) è in realtà meno concentrata di quanto percepito.
La scelta di Facebook di porre la propria criptovaluta in mano ad un trust nonprofit pare voler rispondere proprio a questo tipo di preoccupazioni, più che legittime se invece di un cartello di anonimi miners ci si trova davanti ad una delle aziende più potenti del mondo, ma rischia di non essere sufficiente a rassicurare le autorità mondiali, oltre che certamente scontentare le community blockchain per la chiara (e un po’ arrogante) violazione della visione sociale sottostante le DLT7.
L’impatto sulla finanza
L’impatto della tecnologia DLT sarà evidentemente significativo per il mondo delle banche e della finanza, e si inserisce in una fase storica in cui già, dopo la grande crisi finanziaria globale del 2008, tutta l’industria bancaria è fortemente ingaggiata in un permanente cambio di paradigmi organizzativi e tecnologici. Chiudono le filiali, si globalizzano i mercati, si moltiplicano le forme di interazione a distanza con il cliente, nuovi player iper-specializzati entrano nel mercato, offrendo sub-segmenti di servizi un tempo tipici delle banche (i pagamenti, gli investimenti, il credito, o loro ancora più specifiche declinazioni).
Il caso dell’Italia è emblematico.
Le banche della penisola hanno speso nel corso del 2017 (ultimo anno disponibile) circa 4,5 miliardi di euro per investimenti e ammortamenti in ambito tecnologico. Si tratta di una spesa fortemente in crescita (+5,7% su base annua).8
Esaminando la ripartizione di tali costi per aree funzionali, si nota che circa la metà (46,9%) è assorbita dai processi di Operations, a conferma di quanto rilevato per i precedenti esercizi, in ulteriore lieve crescita; seguono i Processi di supporto (23%) e i Processi di marketing, commerciali e customer service (20,2%) e i Processi di governo (9,9%).
Ne consegue che oggi le banche italiane spendono più di 2 miliardi di euro l’anno (ossia più dello 0,1% del Prodotto interno lordo) per garantire le loro funzionalità basiche: bonifici, finanziamenti, gestione conti correnti, ecc.
Proprio questo appare il principale spazio di (potenziale) intersezione tra le esigenze crescenti di ridurre tali costi, nella necessità di accrescere la marginalità sempre più ridotta dalla curva piatta dei tassi (e dalla feroce concorrenza), e le opzioni di sperimentazione nell’ambito blockchain da parte dell’industria bancaria.
Alcuni tra i più grandi operatori di mercato hanno previsto (ormai 3 anni fa) le prime sperimentazioni in 2-3 anni (in ambiti semplici e bilaterali, come i pagamenti internazionali), dopo altri 5 anni i primi casi più complessi (con più attori, come la finanza) ed entro i 10 successivi una operatività quasi piena (o almeno potenzialmente tale) basata su tecnologie blockchain9.
Considerata la velocità con cui negli ultimi anni le tecnologie si sono affermate, c’è da scommettere che se il blockchain avrà un futuro nell’industria bancaria, sarà con tempi più rapidi di questi. E sarà su scala globale.
Le opportunità per un mercato dei servizi bancari più plurale
Difficile fare previsioni. La fase è veramente dirompente. E ricca di opportunità.
Per il miglioramento dei servizi, una più ampia accessibilità dell’offerta, la sicurezza delle transazioni, per l’intero mercato.
Ma anche per un particolare aspetto di rilievo, significativo ai fini del pluralismo delle forme e della concorrenza bancaria. Si tratta del contenimento degli oligopoli informatici. Infatti, il peso crescente delle nuove tecnologie, come visto, condiziona ogni scelta strategica e operativa delle banche. Avere il controllo della leva tecnologica è dunque cruciale per mantenere autonomia progettuale e capacità competitiva in mercati sempre più rapidi e interconnessi.
Per le piccole banche questo significa spesso essere tagliate fuori dalle principali opportunità, perché costrette a contare su outsourcer molto più grandi di loro, che impongono tempi e condizioni dello sviluppo (e a volte sono anche in conflitto di interesse perché controllati o influenzati da banche concorrenti).
Ciò vale a livello paese (banche locali che tendono a sparire) e a livello internazionale (reti di banche che tendono a consolidarsi).
Per quanto concerne l’Italia basti pensare a quanto angusti siano in prospettiva gli spazi di mercato tra riforma del credito cooperativo (300 operatori ridotti a…3), crisi del modello di banca popolare (fallimento delle venete, Etruria, la crisi di Bari….e obbligo normativo di trasformazione in Spa per quelle con attivo superiore a 8 miliardi, che continuerà a portare a fusioni e concentrazioni “di diritto”), cattiva gestione di alcune vecchie banche pubbliche ora con poca o nulla prospettiva (dal Monte Paschi di Siena alla Cassa di risparmio di Genova).
Il tema, come è ovvio (o dovrebbe essere) data la natura del credito, non riguarda solo le banche come imprese, ma coinvolge seriamente prospettive di sviluppo del paese e capacità di gestire in modo efficace il risparmio delle famiglie.
Gli studi di Banca Etica registrano già oggi la vasta area di esclusione finanziaria che affligge l’Italia (in rapporto agli altri europei) e, al suo interno, molte regioni e territori10. Le citate dinamiche di grande concentrazione del settore, che vanno a colpire proprio le banche più prossime ai territori e alle fasce di clientela più vulnerabili (che attraversano ormai tutto il corpo sociale e imprenditoriale), portando alla riduzione del loro presidio diretto, potrebbero esasperare ulteriormente il problema dell’accesso ai servizi finanziari e in particolare al credito.
Il potenziale delle nuove tecnologie in tal senso sarà fondamentale. E potrà giocare un ruolo mitigante o accelerante tali squilibri. Si pensi al caso delle rimesse, i cui costi sono ancora incredibilmente alti nonostante le tante dirompenti innovazioni tecnologiche degli ultimi anni. Bisogna trovare il modo, efficiente e sicuro, di utilizzare le DLT per offrire servizi a basso costo a chiunque voglia trasferire denaro nel mondo11.
Dal punto di vista della finanza etica, perciò, è evidente che la partita si giocherà nello scontro tra i big della tecnologia globale (Google, Amazon, Facebook, ecc.) e le nuove forme di pluralismo e proprietà distribuita dei mezzi di produzione, gestione, e trasferimento delle informazioni. Ad oggi, le DLT rappresentano la principale speranza, per quanto ancora utopistica e vulnerabile, perché le cose vadano nella giusta direzione.
Come sempre, nelle innovazioni che nascono dal basso, occorrerà unire le forze – sociali, cooperative, liberali – per ottenere risultati apprezzabili.
1 Aspetti economici e regolamentari delle «cripto-attività», Andrea Caponera e Carlo Gola, QEF della Banca d’Italia, numero 484, marzo 2019:
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2019-0484/QEF_484_19.pdf.
2 Instruction for Basel III monitoring, Basel Committee on Banking Supervision, febbraio 2019.
Distributed ledger technology in payment, clearing and settlement, Committee on Payments and Market Infrastructures, Bank for International Settlements, febbraio 2017, https://www.bis.org/cpmi/publ/d157.pdf.
3 Per una panoramica del mondo Ethereum può essere utile l’omonima pagina di Wikipedia (https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ethereum), mentre chi vuole approfondire può consultare la vasta e ben fatta guida disponibile in blockgeeks: https://blockgeeks.com/guides/ethereum-token/.
4 Si rimanda nuovamente a Wikipedia per una definizione di ICO: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Initial_coin_offering. Mentre per seguirne il “mercato” si consiglia, tra i tanti, questo portale: https://www.icotokennews.com.
5 Tra i tanti articoli che affrontano il punto, si veda questo di Andrea Baranes: https://valori.it/bitcoin-la-bolla-finanziaria-problema-minore/.
6 2nd Global Cryptoasset Benchmarking Study, Cambridge Centre for Alternative Finance, University of Cambridge, dicembre 2018:
7 Tra le letture più cupe del progetto Libra vi è quella dell’Economist, addirittura giunto ad ipotizzare che potrebbe essere questa l’iniziativa fatale per Mark Zuckerberg: Coin flip, 20 giugno 2019: https://www.economist.com/business/2019/06/20/facebook-wants-to-create-a-worldwide-digital-currency.
8 Dati tratti dal rapporto CIPA-ABI, Rilevazione sull’IT nel sistema bancario italiano. Profili economici e organizzativi. Esercizio 2017, dicembre 2018:
https://www.cipa.it/rilevazioni/economiche/2017/Rilevazione_economica_2017.pdf.
9 Si vedano gli atti al convegno della Banca d’Italia “La tecnologia blockchain: nuove prospettive per i mercati finanziari” del giugno 2016:
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/altri-atti-convegni/2016-tecnologia-blockchain/index.html.
10 L’esclusione finanziaria in Italia: dinamica e determinanti del fenomeno nel periodo 2012-2016, Studio a cura di Banca Etica, novembre 2018:
11 Esistono già delle sperimentazioni, che sorprendentemente non “scalano” come ci si attenderebbe. Cfr. tra gli altri Paolo Tasca, Beyond Digital Currencies Alternative Blockchain Applications, giugno 2016: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/altri-atti-convegni/2016-tecnologia-blockchain/Pres_Univ_Tasca_pdf.pdf.
Alessandro Messina è direttore generale di Banca Etica