Nell’aprile scorso Tremonti aveva affermato con rara preveggenza che nel 2011 l’Italia si sarebbe limitata a fare la «manutenzione dei conti pubblici» e che non sarebbero servite nuove manovre finanziarie. Nel frattempo la «manutenzione» si sta trasformando in continui e permanenti interventi di emergenza di fronte allo sfascio dell’economia, delle condizioni sociali del paese e della finanza pubblica. Ma fino a oggi, dell’economia e dei problemi sociali il governo non si è occupato. E sulla finanza pubblica ha messo toppe, alcune solo virtuali. Tanto che la situazione è progressivamente peggiorata. Le riunioni straordinarie del consiglio dei ministri, le lettere al Consiglio Europeo, la legge di stabilità e il decreto sviluppo stanno a indicarci la vacuità e l’impotenza di un’azione (si fa per dire) di governo che mescola cialtroneria istituzionale e difesa degli interessi dei privilegiati: azione che è causa – non secondaria – delle difficoltà che stiamo vivendo sui mercati finanziari.
L’ostinazione insistita dal governo fino a oggi nel non andare a prendere i soldi là dove ci sono e da dove sarebbe giusto uscissero fuori (patrimoni, rendite, evasione, grandi ricchezze) e a non tagliare la spesa pubblica dove si potrebbe fare (ad esempio dimezzando i 20 miliardi di spese militari nel nostro paese) è pari solo alla totale inazione di fronte all’urgenza del rilancio dell’economia e della difesa dei redditi. Il tutto dentro scelte di politica economica che oltre che da iniquità e difesa dei privilegi, sembrano segnate da improvvisazione e disperazione. Se invece di pavoneggiarsi con la «manutenzione», Tremonti (e il governo) avesse messo in cantiere in questi tre anni misure strutturali economicamente e socialmente sostenibili oggi affronteremmo questa difficile fase in condizioni molto diverse. Ma le scelte del governo in questi mesi sono state altre: salvaguardare patrimoni e ricchezze, colpire gli enti locali, le pensioni e i redditi, distribuire qualche una tantum assistenzialistica a un sistema economico ormai decotto e azzerare la spesa sociale, come ci dice il Libro nero sul welfare che viene proprio oggi presentato al Senato da Sbilanciamoci e dalla campagna I diritti alzano la voce. Naturalmente servirebbe un governo autorevole che invece di farsi prendere in giro in Europa fosse capace di battersi per un cambio di politica: mettere il bilancio europeo a garanzia del debito sovrano dei paesi in difficoltà, introdurre gli eurobond, darsi una comune politica economica e fiscale europea. Si tratterebbe di capovolgere il paradigma della politica restrittiva e depressiva che è stata seguita in Europa in questi mesi con un piano di politica di investimenti pubblici e di stimolo a una domanda di beni capaci di alimentare le produzioni di un nuovo modello di sviluppo (energia pulita, mobilità sostenibile, beni comuni, ecc). Ma per praticare questa via bisognerebbe fare il «contropelo» ai mercati finanziari (invece di lisciargli il pelo) mettendo regole e vincoli che ne ostacolino l’attività speculativa, servirebbe favorire un programma di investimenti sociali e un ruolo attivo dell’intervento pubblico (invece di insistere sul mantra delle privatizzazioni), andrebbe alimentata una politica dei redditi capace di ridurre le diseguaglianze: in sostanza si tratterebbe di rimettere al centro le politiche pubbliche contro l’ideologia neoliberista del mercato. Tutte cose che il nostro governo non è in grado di sostenere: per il bene dell’Italia – e dell’Europa – è meglio che se ne vada a casa il prima possibile.
articolo apparso su il manifesto del 3 novembre 2011