Quali ostacoli alla riforma del sistema fiscale nell’Ue? E alla tassazione delle piattaforme? In un convegno alla Berlin School of Economics con Fabio De Masi, vice presidente della Linke, i nodi del “profit shifting” e del dumping fiscale.
Le basse imposte pagate dalle società multinazionali rivelate dai Luxembourg Leaks e da numerose altre inchieste giornalistiche hanno avanzato seri dubbi sull’efficacia del sistema internazionale di tassazione. Quali contromisure sono state prese a livello nazionale ed internazionale? Quali sono gli ostacoli alla riforma del sistema fiscale nell’Unione Europea? Ne hanno discusso alla Berlin School of Economics and Law Sarah Godar, ricercatrice della Berlin School e Fabio De Masi, deputato italo-tedesco del Bundestag di Berlino, vicepresidente della Linke, capo e portavoce della commissione Economia e finanza del partito di sinistra. Ha moderato discussione Achim Truger, professore di Macroeconomia alla Berlin School recentemente indicato dai sindacati come successore di Peter Bofinger alla Commissione economica del governo tedesco. L’evento è stato organizzato dell’Istitute for Political Economy (IPE) della Berlin School.
Tra le pratiche più comuni utilizzate delle multinazionali per eludere il fisco c’è quella della cosiddetta rilocalizzazione degli utili (dall’inglese profit shifting). La pratica consiste nel trasferimento degli utili tra società collegate o tra filiali dello stesso gruppo da un Paese con elevata tassazione ad un Paese con una giurisdizione fiscale più amichevole causando non pochi problemi alle autorità fiscali.
Valutare l’entità e la portata delle transazioni all’interno di uno stesso gruppo aziendale è compito arduo. Manca spesso un prezzo di mercato che possa identificare il valore del pagamento per determinati servizi che vengono scambiati all’interno della stessa impresa lasciando così ampi margini di manovra nello stabilire il valore della transazione. Nei casi invece in cui il trasferimento dei capitali si configura sotto forma di prestito per il finanziamento di nuovi investimenti verso Paesi con tassazione elevata, l’azienda è in grado di dedurre dal proprio carico fiscale il pagamento degli interessi dovuti sul prestito a se stessa. Si verificano inoltre casi in cui un marchio o un brevetto sia detenuto da una società controllata risiedente in un paradiso fiscale. In questo caso l’impresa che risiede nel Paese ad elevata tassazione deve pagare licenze e royalties per l’utilizzo di marchi e brevetti. Anche in questo caso è difficile determinare il contributo del marchio o del brevetto nella formazione del valore di mercato del prodotto lasciando così ampio margine di manovra all’azienda nello stabilire l’origine degli utili.
Da alcune stime recenti ottenute da dati macroeconomici si evince che nell’Unione europea circa il 15-22% delle entrate fiscali siano perse a causa di tale fenomeno. Dai dati emerge infatti una evidente incoerenza nella distribuzione dei profitti e delle effettive attività economiche. Si nota come nei paradisi fiscali il guadagno delle imprese multinazionali sia sproporzionato rispetto al costo complessivo dei dipendenti, arrivando fino a 8 euro di profitti per ogni dollaro speso in lavoro in Irlanda e a 4 nel caso del Lussemburgo.
La conferma che questa differenza sia dovuta al trasferimento del reddito tra Paesi e non da un affettivo vantaggio competitivo è dimostrata dal fatto che le imprese nazionali risiedenti in questi paesi non sembrano essere altrettanto redditizie. Un’altra metodologia applicata su dati microeconomici prevede l’utilizzo di tecniche econometriche per misurare la sensitività dei profitti alle differenze nelle aliquote fiscali tra i paesi in cui è attiva una multinazionale. Se i profitti reagiscono alle variazioni dei differenziali delle aliquote, può essere considerato come il segnale di una manipolazione dei profitti.
Uno studio condotto dalla stessa Godar su dati microeconomici suggerisce che le mancate entrate dovute a questo fenomeno siano tra il 2,9 e il 10,7 per cento (pari a 1,5-5,6 miliardi di euro nel 2015) del totale delle imposte sugli utili delle multinazionali. Anche se a prima vista questo effetto non sembra essere particolarmente rilevante, occorre pensare che si tratti delle imposte perse dalle sole affiliate tedesche con investitori risiedenti in paradisi fiscali.
“I contribuenti nell’Ue perdono ogni anno centinaia di miliardi di euro a causa dell’evasione fiscale delle grandi multinazionali. Il Lussemburgo e molti altri Paesi dell’Ue offrono alle imprese accordi fiscali vantaggiosi che tramite trucchi contabili riescono a ridurre l’aliquota fiscale fino sotto il singolo punto percentuale”, afferma De Masi. Fabio De Masi è stato eletto nel 2017 parlamentare del Bundestag tra le file della Linke. In precedenza (2014-2017) è stato parlamentare Europeo nel gruppo GUE/NGL (Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica) occupandosi tre le altre cose dei Panama Papers come vice presidente della Commissione di inchiesta istituita dal parlamento dell’Unione. Grazie al suo lavoro è stato nominato dalla rivista International Tax Review tra le 50 persone al mondo più influenti sul tema della politica fiscale.
“Il problema della tassazione è che non ci sono le immagini delle vittime”, dice con triste ironia De Masi riferendosi alle parole di un suo amico e collega di partito. Chi sono effettivamente le vittime dei paradisi fiscali? Anche se il problema e le conseguenze dell’evasione fiscale è ormai evidente, basti pensare alle politiche di austerità imposte durante la recente recessione, è chiaro manca la spinta necessaria per smuovere le coscienze dei politici di governo e le riforme proposte fino ad ora in Europa non hanno prodotto alcun cambiamento sostanziale.
Occorrono invece misure drastiche. Le multinazionali come Amazon, Google e Co. devono essere tassate alla fonte dei loro profitti e occorre rendere difficile il trasferimento artificioso degli utili verso paesi a bassa tassazione. Occorre che i profitti delle società vengano riportati sulla base delle reali attività economiche sostenute dalle imprese nei vari paesi dell’Ue e devono essere inserite delle sanzioni per i flussi finanziari diretti nei paradisi fiscali. Tra le varie proposte di riforma avanzate da De Masi e dalla Linke c’è inoltre quella dell’armonizzazione della tassazione all’interno dell’Ue basata su un’imposta minima che impedisca la concorrenza al ribasso tra Paesi. Le banche che contribuiscono all’evasione fiscale dovrebbero essere private della licenza. Occorre una volontà politica seria a livello dell’Unione Europe che affronti il problema realmente a favore dei suoi cittadini e che non sia vittima di singoli interessi di breve periodo.