E’ chiaro che per la ricostruzione del ponte non basteranno i 18 mesi preventivati. Ma per il gruppo dei Benetton va avanti l’acquisizione di Albertis, il patto per Cellnex, l’Eurotunnel e l’ad Castellucci resta al suo posto.
Sulla vicenda del ponte di Genova, si sono, in maniera anche giustificata, sparsi fiumi di inchiostro ed anche su questo sito non sono mancati gli articoli di commento alla vicenda. Appare opportuno comunque seguire ancora lo sviluppo della questione perché essa rimane al centro dell’attenzione e poi, soprattutto, perché continuano a venire alla luce una serie di questioni di rilevante interesse.
I tempi della ricostruzione
Intanto c’è il problema della ricostruzione. Al momento del crollo, membri del governo e la stessa società Autostrade avevano fatto sapere che il ponte sarebbe stato ricostruito in pochi mesi, al massimo in un anno. Ora, mentre sono già passati più di due mesi e la confusione e i contrasti sul che fare regnano sovrani, qualcuno ci fa capire – in questo caso il professor Remo Calzona, dell’Università La Sapienza di Roma (Arona, 2018) – che ci vorranno sino a 18 mesi per completare l’opera, il che porterebbe il totale del tempo necessario a 20 mesi, stima che, allo stato dei fatti, riteniamo ancora largamente ottimistica.
In effetti i diciotto mesi, nelle dichiarazioni del professor Calzona, sono composti di tre fasi, fare il progetto – ciò che richiederebbe sempre secondo l’esperto tre mesi -; indire la gara – altri tre mesi -; ricostruire – un anno. Ora, per ognuna di queste fasi, in particolare prima e dopo ognuna di esse, sono prevedibili diversi momenti di dibattito e di stallo, senza considerare i possibili ricorsi degli esclusi, le sorprese in corso d’opera, ecc.. Del resto anche dal momento delle dichiarazioni del professor Calzona in poi sta passando velocemente il tempo e di fare il progetto esecutivo ancora non si parla. Una ulteriore riprova delle difficoltà anche temporali della cosa appare costituita dal fatto che sempre il professor Calzona afferma che lo schema di progetto di Renzo Piano non va, che è di vecchia concezione, avanzandone egli uno alternativo, mentre abbiamo a disposizione anche quello di Autostrade.
Chi deciderà quale progetto seguire? Il commissario nominato dal governo da solo? La cosa appare inverosimile e la stessa figura del commissario appare nella sostanza piuttosto evanescente, dal momento che le decisioni importanti saranno prese di concerto tra Di Maio e Salvini; ma ogni volta ci vorrà del tempo per metterli d’accordo.
E quando verrà deciso? Tra le tante difficoltà da superare c’è la questione delle regole nazionali ed europee in tema di assegnazione delle commesse pubbliche che impedirebbero di andare avanti troppo speditamente. In teoria bisognerebbe poi ancora considerare i tempi necessari per cose quali la valutazione di impatto ambientale, le autorizzazioni idrauliche e paesaggistiche, la conferenza dei servizi; o se ne farà a meno? Alla fine, sembra che cavarsela in meno di due anni, due anni e mezzo, sia difficile.
Chi dovrebbe partecipare
Altrettanto complicata appare la questione di chi debba costruire l’opera, con l’attenzione puntata in particolare sulle società Autostrade e Fincantieri, mentre immaginiamo che altri soggetti lavorino affannosamente e tenacemente nell’ombra per riuscire ad entrare nella partita (La Salini-Impregilo non ha niente da dire in proposito? E fare entrare nel gioco anche la tedesca Hochtief, società nella quale la famiglia Benetton ha una partecipazione importante, non poterebbe riuscire ad accontentare tutti, forse anche l’Unione Europea?) .
Abbiamo comunque mostrato in un precedente articolo, pubblicato su questo sito, le ragioni che spingono a non affidare l’opera a Fincantieri, mentre siamo d’accordo che motivi ineludibili impongono di evitare che ad essa partecipi Autostrade, almeno direttamente. Alla fine pensiamo che bisognerà inserire nella partita diversi attori e che la decisione in merito a chi essi saranno appare piuttosto complicata, se pure si riuscisse ad evitare la fase della gara.
I controlli e i responsabili di Autostrade
Uno degli aspetti più inquietanti di quello che sta venendo alla luce ma che, d’altro canto, non deve aver sorpreso nessuno, tutti essendo perfettamente al corrente dello stato di organizzazione del nostro Paese, appare la scoperta che sia all’interno di Autostrade, che al ministero delle Infrastrutture – preposto al controllo – si sapeva bene che il ponte presentava da tempo delle grosse criticità, come attestato da molti documenti e da alcune testimonianze. Ma la paralisi decisionale e il rimando delle decisioni hanno colpito ancora. Si è, per altro verso, giocato d’azzardo sulla pelle dei cittadini ed anche su quella dell’economia genovese. Ricordiamo anche, a questo proposito, che l’area ligure è il più importante polo logistico del Paese. In particolare e per altro verso si dimostra ancora una volta come in Italia quasi nessuno controlli veramente niente, quali che siano le risorse dedicate allo scopo e quale l’importanza della posta in gioco.
Si sta svolgendo ora tra i possibili responsabili lo spettacolo osceno di chi si rifiuta di parlare, di chi invece afferma che lui aveva visto e segnalato tutto, di chi afferma la sua totale estraneità al processo decisionale, di chi sostiene infine che non ne sapeva nulla. Temiamo che le cose si trascinino per le lunghe in procedimenti che dureranno molti anni e che alla fine nessuno paghi; ma speriamo che non sia così.
In tutta questa vicenda ha colpito in particolare l’atteggiamento assunto dalla società Autostrade e dal suo amministratore delegato, l’ing. Castellucci, cui in ogni caso gli azionisti hanno rinnovato di recente la loro fiducia. La società ha cercato sin dall’inizio di minimizzare l’accaduto e la famiglia Benetton non si è fatta in pratica sentire, lasciando la gestione della questione ai dirigenti. Lo stesso Castellucci, oltre ad aver offerto una tardiva e tiepida solidarietà alle vittime e a non aver neanche accennato alla possibilità di dimissioni, che sarebbero invece state doverose, ha cercato di negare anche le evidenze più palpabili. Di fronte ad una commissione di indagine del ministero il dirigente nega tutto, dichiara che non sa perché il ponte è crollato, rinvia ogni domanda di informazioni e di chiarimenti a future analisi tecniche; impressionante anche la sfilata davanti al magistrato dei dirigenti, che si rifiutano di parlare. Si sente dire più o meno: “Noi non abbiamo accesso ai luoghi, non abbiamo una capacità di farci un’opinione, stiamo svolgendo un’inchiesta, non vogliamo interferire con le indagini della magistratura”. Non sa niente neanche Berti, il responsabile delle Operazioni centrali (Mensurati, Tonacci, 2018). Del resto la cosa non deve sorprendere. Messa di fronte alle sue responsabilità, e comunque nei momenti cruciali, la nostra classe dirigente per larghissima parte fa di solito finta di niente, nega tutto, scarica le colpe sugli altri, scappa altrove; punisce, se può, quelli che cercano di dire la verità.
La manutenzione
In questo quadro, comunque, appare evidente dalle cifre che, dal momento della privatizzazione in poi, le spese per la manutenzione del ponte e dell’intera rete autostradale si sono pesantemente ridimensionate.
Prima della caduta dei regimi dell’Est europeo chi viaggiava in tali Paesi si accorgeva dell’evidenza di quali grandi problemi di manutenzione degli edifici e degli impianti ci fossero, fenomeno interpretato come una sicura spia, in generale, di una società che non funzionava.
Il crollo del ponte di Genova ha avuto il peraltro dubbio merito di ricordarci che esiste anche nel nostro Paese a questo proposito un problema rilevante. Certo, quello della manutenzione è un lavoro umile, che non si vede, se ne nota la mancanza solo dopo un lungo tempo che non si fa; essa non dà il lustro fornito invece dalla costruzione di una nuova opera – di cui magari i media parleranno per diversi giorni. Ci vorrebbe nel nostro Paese un grande piano di controlli e poi di messa in sicurezza delle infrastrutture ed anche degli edifici pubblici e privati, ma chi mai interverrà su tale fronte?
Le vicende del gruppo
Le vicende del ponte non sembrano avere in alcun modo intaccato la determinazione con cui l’azienda sta sviluppando le sue attività nel mondo, né sembra aver ridotto la volontà da parte dei partner stranieri di fare affari con il gruppo. Ricordiamo che, comunque, fanno parte dell’insieme, oltre alla società del tessile-abbigliamento e a quelle relative alle concessioni autostradali e dintorni, anche Autogrill, nonché delle partecipazioni di rilievo in Generali, Mediobanca, Pirelli, RCS, Il Sole 24 Ore, Caltagirone.
Preliminarmente accenniamo soltanto al fatto che la famiglia sta studiando, insieme ad altre entità finanziarie, una strada che, attraverso una ristrutturazione della catena di comando societaria e una diluzione delle quote di controllo su Autostrade, renda più difficile la nazionalizzazione della concessionaria. Il 2018 doveva segnare, nelle intenzioni, un grande salto dimensionale, in particolare attraverso alcune importanti acquisizioni. Il crollo del ponte, almeno al momento, non sembra avere gran che ostacolato questo disegno. Va avanti il progetto di acquisizione del controllo di Albertis, la grande società spagnola operante anch’essa in molti dei business del gruppo e di dimensioni più o meno analoghe: il suo fatturato nel 2017 è stato infatti di 5,3 miliardi di euro. Tale operazione fa fare ai Benetton un salto dimensionale molto grande, anche perché nell’accordo con i soci spagnoli è compresa l’acquisizione di una quota molto rilevante, circa il 25%, di Hochtief, la grande più grande impresa di costruzione tedesca, con un fatturato di 22,6 miliardi di euro nel 2017. Si temeva che gli iberici si ritirassero dal gioco ma così non è stato.
Qualche inconveniente comunque si è dovuto registrare. Il gruppo, che nel 2017, da parte sua, ha fatturato più di 12 miliardi di euro, pensava di finanziare l’acquisizione di Albertis con 7 miliardi di mezzi propri e 10 di debito attraverso l’emissione di obbligazioni, ma di fronte alla sopravvenuta diffidenza di molti investitori è dovuto ricorrere al più costoso ricorso alle banche (Galvagni, 2018). Comunque in queste settimane sono stati creati i due veicoli societari che rileveranno il controllo di Albertis, operazione su cui evitiamo i dettagli.
Intanto va avanti anche un nuovo patto parasociale tra i soci di ConnecT, la società che controlla con circa il 30% il gruppo Cellnex, operante nel settore delle torri di telecomunicazione e che nel 2017 ha fatturato circa 700 milioni di euro, avendo rilevanti programmi di espansione. La famiglia Benetton controlla il 60% della stessa ConnecT e quindi è il socio dominante (Mangano, 2018).
Va infine ricordato che già nel marzo 2018 i Benetton, attingendo sempre alle risorse liberate da Autostrade, avevano acquisito anche il 15,4% delle azioni di Eurotunnel, pacchetto che da comunque diritto al 26,6% dei diritti di voto, diventando così i controllori di fatto di un’altra grande opera continentale. La famiglia si è così ricavata una posizione di tutto rilievo e molto comoda – essendo fatta per la gran parte di contratti di concessione – nel panorama del business europeo e valutiamo che la manterrà. Vogliamo peraltro sottolineare che non ci sentiamo particolarmente orgogliosi, come italiani, di tale fatto.
Testi citati nell’articolo
-Arona A., “Per realizzare un nuovo ponte servono 18 mesi”, Il Sole 24 Ore, 16 ottobre 2018
-Galvagni L., Atlantia al closing su Albertis, al via le società con Acs-Hochtief, Il Sole 24 Ore, 10 ottobre 2018
-Mangano M., Cellnex, patto tra i soci Benetton-Abu-Dhabi-Gic, Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2018
-Mensurati M., Tonacci F., Ponte, il muro di Castellucci, “non so perché il ponte è crollato”, La Repubblica, 15 ottobre 2018