Il 20 giugno 2004 moriva Tom Benetollo, presidente dell’Arci e straordinario protagonista di un’intensa stagione di mobilitazione per la pace e per i diritti, dalla parte degli oppressi. Una figura generosa, saggia e lungimirante, di cui oggi più che mai avvertiamo la mancanza.
Sono trascorsi 15 anni. Il 20 giugno del 2004 moriva Tom Benetollo. Era all’epoca presidente dell’Arci e prima di allora era stato dirigente della Fgci, esponente del Coordinamento nazionale dei comitati per la pace negli anni ’80 e del movimento pacifista europeo, fondatore insieme a molti altri dell’Associazione per la pace.
Padovano (di Vigonza) si era trasferito presto a Roma e aveva da subito partecipato e dato linfa alla straordinaria stagione di mobilitazione pacifista contro l’installazione dei missili nucleari Cruise a Comiso (lo conobbi per la prima volta proprio nella cittadina siciliana nel 1983, all’Imac, il campo internazionale contro i Cruise) e il riarmo in Europa. Negli anni ’90 si era dedicato con generosità all’aiuto (contribuendo a far nascere il Consorzio italiano di solidarietà) delle popolazioni jugoslave travolte da una guerra feroce. Faceva avanti e indietro da Sarajevo, Belgrado, Mostar. E poi le iniziative di solidarietà con il Fronte Polisario in Sahara Occidentale e tanto altro: dall’organizzazione della mobilitazione antirazzista dopo l’uccisione di Jerry Masslo a Villa Literno nel 1989 fino al grande ruolo di impulso nella costruzione del Genoa Social Forum e delle giornate contro il G8 del 2001 a Genova.
Tom Benetollo fu il protagonista di una stagione ricca di movimenti e fermenti sociali ed ebbe il merito di portare l’Arci ad avere un ruolo fondamentale di cerniera e di riferimento per movimenti, associazioni e campagne. Fu nello stesso tempo un artigiano della politica e dell’azione sociale nella quotidianità e un illuminato e lungimirante leader che guardava lontano, capace di indicarci la strada da seguire, di prendersi responsabilità per altri, di praticare veramente il “noi” (non a caso in gioventù aveva fondato un giornale che chiamò Il Collettivo), di fronte a quello che Tom Wolfe avrebbe chiamato più tardi “il decennio dell’io”. Per lui parlano i discorsi, gli articoli, ma soprattutto le opere. Per lui vale quello che Manzoni scrisse nei Promessi Sposi di Federigo Borromeo: “La sua vita è il paragone delle parole”.
Di Tom Benetollo si ricorda spesso l’apologo del lampadiere (ispirato – Tom aveva una grande cultura – dal canto XXII del Purgatorio dove si evoca colui che porta il lume e a sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte) che Tom amava così rappresentare: “In questa notte scura, qualcuno di noi, nel suo piccolo, è come quei ‘lampadieri’ che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla, con il lume in cima. Così, il “lampadiere” vede poco davanti a sé, ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri. Qualcuno ci prova. Non per eroismo o narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona della vita. Per quello che si è. Credi”.
È per questo che quindici anni dopo – “in questa notte oscura” – di Tom si sente la mancanza. Della sua intelligenza e generosità avremmo bisogno. Molto.