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Tutti al capezzale del Monte dei Paschi

Il piano di salvataggio per il Monte dei Paschi di Siena, recentemente varato, rischia di aumentare l’opacità del sistema finanziario. Ecco come e perchè

Che le banche italiane non godano di buona salute è ormai noto da tempo. Esse sono state principalmente danneggiate dalla controproduente gestione della crisi economica che, specialmente a partire dal 2010, le autorità italiane ed europee hanno adottato. Sono, semplificando, malate di euro.

Dopo le “risoluzioni” di Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e CariChieti (con la copertura delle perdite ottenuta anche facendo ricorso al sacrificio di azionisti e possessori di obbligazioni subordinate), è stata la volta delle due banche venete Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, con l’ingresso nei rispettivi capitali societari da parte del fondo Atlante.

Se queste “risoluzioni” (o salvataggi) hanno riguardato istituti che si possono considerare minori, un allarme più rilevante si è tuttavia avuto quando è apparso chiaro che il Monte dei Paschi di Siena, uno dei maggiori gruppi bancari del paese, necessita ancora una volta (come confermato dai risultati dello “stress test” eseguito dall’Autorità Bancaria Europea) di un aumento di capitale. I titoli del Montepaschi hanno perso in borsa, nell’ultimo anno, l’87%. A gennaio un’azione valeva circa 1,21 euro, oggi vale circa 0,25 euro.

Per cui il 29 luglio, con il parere favorevole delle BCE, è stato approvato il “piano di salvataggio” del Monte dei Paschi.

È intuitivo quanto sarebbe sconveniente, soprattutto dal punto di vista politico, non riuscire a evitare l’applicazione del “bail in”, cioè il complesso di disposizioni che prevede l’onere del risanamento, in via prioritaria, in capo agli azionisti, agli obbligazionisti non garantiti e ai titolari di depositi il cui ammontare eccede una certa soglia.

Il salvataggio del gruppo senese sarà un’operazione che prevede lo sforzo congiunto dello Stato e di un consorzio di banche private (italiane e straniere) con in testa la Jp Morgan. Le banche si sono impegnate a garantire un aumento di capitale di 5 miliardi (il quarto aumento in pochi anni) e a gestire una delle più ampie cartolarizzazioni di sofferenze (o crediti deteriorati) mai effettuate in precedenza.

Perchè prima di poter procedere all’aumento di capitale è appunto necessario il deconsolidamento dei cosiddetti crediti deteriorati. L’operazione di cartolarizazione, dovrà da un lato servire a creare liquidità, incidendo così sulla situazione patrimoniale dell’istituto e dovrà, dall’altro, permettere di spostare all’esterno il rischio di credito (vale a dire che la gestione dei rapporti con i debitori di dubbia solvibilità passerà ad un altro soggetto).

In sostanza, la premessa all’aumento di capitale che, nelle intenzioni dei promotori del piano dovrà portare a conclusione la manovra di salvataggio, è lo smaltimento di 27,7 miliardi di crediti deteriorati, che saranno ceduti a una “Società veicolo” per un controvalore di 9,2 miliardi (un prezzo pari cioè a un terzo del loro valore lordo originario, il che non è comunque poco, considerato che gli stessi crediti sono oggi iscritto a bilancio al 37% del valore originario). La cessione dei crediti deteriorati avverrà per mezzo della cartolarizzazione, ovvero la trasformazione delle attività (i crediti appunto) in obbligazioni negoziabili sul mercato, che saranno emesse in tre tranche.

Nel bilancio del Montepaschi dovranno così restare le attività diverse dai crediti in sofferenza, intesi questi ultimi come quelli di dubbio realizzo, che come detto, saranno ceduti (per un dato controvalore) a una “Società veicolo” (Special purpose vehicle) la quale dovrà impiegarli come “sottostante” a titoli obbligazionari di nuova emissione. Stiamo, naturalmente, parlando di “derivati”, nella fattispecie di “Titoli garantiti da attività” (Asset backed securities).

Lo schema tipico delle operazioni di cartolarizazione prevede una sorta di distribuzione del rischio strutturata per fasce. Nel caso dell’operazione di ripulitura del bilancio del Montepaschi, si punta al collocamento di 1,6 miliardi, corrispondente alla cosiddetta tranche di obbligazioni junior, mediante assegnazione agli azionisti; di 1,6 ml di obbligazioni, la cosiddetta tranche mezzanina, che andranno ad Atlante2, il fondo costituito in maggioranza da banche private al quale partecipano, per ora, otto istituti e al quale partecipa anche la Cassa depositi e prestiti; e dei restanti 6 mln, che costituiscono la cosiddetta tranche senior, la quale può ambire, grazie alla garanzia dello stato italiano (Gacs) ad essere collocata presso la più ampia gamma di investitori istituzionali.

Dovrà poi, a completamento della fase preparatoria, essere valutata (in base ai canoni della cosiddetta “due diligence”) la escutibilità delle garanzie patrimoniali e personali associate alle partite anomale da cedere e, al termine, costituito lo “Special purpose vehicle”, gli “Abs” saranno messi sul mercato. La classificazione del rischio dei titoli sarà, come di consueto, eseguita dalle Agenzie di rating con il rilascio delle famose “pagelle”.

A questo punto si potrebbe pensare: bene, si è trovato uno strumento in grado di smaltire le perdite delle banche! Se si costituisce un mercato di crediti deteriorati (Non performing loans) cartolarizzati, all’esperimento del Montepaschi potranno fare seguito operazioni simili da parte di tutti gli istituti di credito in difficoltà. Fare affidamento sul mercato finanziario tramite gli strumenti strutturati sarebbe la soluzione dei problemi che affliggono il sistema bancario.

Ebbene, questo punto di vista non dissipa, in realtà, alcuni legittimi dubbi circa la permanenza di potenziali criticità sistemiche.

Per diverse ragioni:

  1. in un perdurante contesto di debolezza dell’economia, caratterizzato da un nuovo rallentamento del paese nel 2° trimestre 2016 (appena attestato dall’Istat), l’intera operazione rischia comunque di rivelarsi un ennesimo rinvio del modo più appropriato col quale affrontare la crisi, che non è certo quello poggiato su “incentivi all’offerta” seguito dalla politica economica di Renzi e Padoan. Perchè sulla falsariga della medesima prospettiva, quella dell’incentivo all’offerta, si sostiene che la rimessa in sesto dei bilanci bancari sarebbe un passaggio cruciale affinchè gli istituti possano erogare credito a imprese e famiglie. Ma ciò non risponde necessariamente alla realtà. Non è vero, in altri termini, che il credito sarà giocoforza erogato e i volumi dei prestiti aumenteranno per il solo fatto che gli istituti bancari si troveranno in una situazione di capitalizzazione adeguata. La dinamica dei prestiti dipende in primo luogo dall’andamento e dalle prospettive dei fondamentali dell’economia.
    In realtà, l’orientamento alla base dell’operazione di salvataggio del Montepaschi pare più legato al sostegno dei corsi azionari dei titoli bancari. Si cerca di superare la sfiducia e le incertezze gravanti sulle banche italiane in modo che venga allentata, in Borsa, la pressione sui titoli del settore. Le persistenti difficoltà in Borsa del quarto gruppo bancario nazionale possono infatti avere ripercussioni più generali. Si vuole a tutti i costi evitare una situazione di contagio che, a lungo andare, potrebbe essere deleteria. Ecco così che un “pool” di istituti, fra cui i maggiori, già entrato a far parte del fondo Atlante in occasione del salvatagggio delle banche minori, farà ora parte del fondo Atlante2 impegnato nella cartolarizazione e presta il proprio apporto alla prossima ricapitalizzazione del Montepaschi. Il messaggio dovrebbe risultare più o meno: qualunque sia la congiuntura economica, le banche possono liberarsi delle perdite e, dunque, le quotazioni in Borsa sono una variabile indipendente. Si può infine rilevare che il procedimento in corso si inscrive in una più generale situazione di riassetto (anche transnazionale) del capitale finanziario, con una tendenza alla concentrazione, i cui esiti sono imprevedibli. Basti ricordare che i gruppi bancari coinvolti nell’operazione potranno esercitare un diritto di opzione alla conversione in azioni dei titoli acquistati dal fondo Atlante2.
  2. le cartolarizzazioni sono, come anticipato, operazioni per mezzo delle quali le banche ottengono liquidità immediata attraverso la cessione di crediti a società specializzate o “società veicolo”. Dette società emettono obbligazioni per far fronte all’acquisto dei crediti e, con i flussi in entrata attesi dalla riscossione dei crediti stessi, contano di provvedere alla remunerazione degli investitori che acquistano le obbligazioni emesse. I titoli cartolarizzati, o coperti da un’attività sottostante, si basano anch’essi sul principio che chiunque li possegga si assume necessariamente un certo grado di rischio. Chi compra il titolo derivato da un credito divenuto inesigibile, perde. Così è stata escogitata la soluzione di ripartire i titoli in tranche (o parti) di diversa emissione, in modo da cospargere il rischio fra una platea di investitori potenzialmente ampia. Ma, nonostante queste caratteristiche, gli Abs sono vulnerabili a improvvise crisi di liquidità, con drastica riduzione degli scambi. Ciò è avvenuto nel recente passato (la crisi del 2007-2008).
    Occorre poi rilevare che la cartolarizzazione delle sofferenze (per definizione crediti classificabili quali deteriorati o problematici) deve essere necessariamente un processo più rischioso rispetto alla “normale” cartolarizzazione di altri crediti, quali i tipici mutui edilizi. In quest’ultimo caso, infatti, l’acquirente del titolo cartolarizzato può, sulla carta, contare sul flusso delle rate di rimborso del mutuo immobiliare, dipendente a sua volta dal reddito del mutuatario. Ma, nel caso del tipo di operazione che qui ci interessa, ciò che conta è vendere con urgenza i crediti in sofferenza “impacchettati” negli Abs e eliminarli dai bilanci bancari. Molto sarà quindi giocato sul tipo di informazioni riguardanti la qualità dei crediti che saranno date al mercato. I flussi di entrata per la “società veicolo” sono, nell’esempio dei mutui, garantiti dal reddito dei debitori, ma nel caso delle -cartolarizzazioni di sofferenze hanno per sottostante, appunto, crediti dall’esigibilità più incerta. Ci si trova, in parole povere, in una situazione molto più opaca. I sottostanti non sono solidi. E qui entra nel discorso, fra l’atro, il nodo dell’incertezza relativa alla fissazione dei prezzi ai quali i crediti deteriorati saranno ceduti. Si consideri, per esempio, che per la riuscita del procedimento di cessione la remunerazione promessa dai titoli cartolarizzati dovrà essere superiore a quella normalmente garantita dai titoli di Stato di durata e struttura paragonabile. Molto quindi, ribadiamo, dipenderà dalle informazioni concernenti la qualità del “sottostante” che saranno diffuse presso il pubblico degli investitori.
    In conclusione, tutto questo non può presumersi immune da serie conseguenze: se si svilupperà, come pare di capire, un mercato dei Npl cartolarizzati, la pratica di concedere un prestito che potrà comunque essere ceduto sul mercato ridurrà l’interesse delle banche ad adottare criteri prudenziali nella valutazione del merito di credito dei richiedenti un finanziamento. Inoltre, bisogna tuttora fare i conti con un problema di regolamentazione dei mercati (spesso non organizzati) nei quali avvengono gli scambi dei titoli derivati, il che sovrappone un ulteriore elemento di incertezza al già opaco sistema della formazione dei prezzi. Si aggiunga poi che la probabile proliferazione di intermediari finanziari non bancari dedicati alle cartolarizazioni può essere vista, a livello di sistema, come un fattore di destabilizzazione: tali “veicoli” sono già stati, in passato, il mezzo con il quale aggirare regole prudenziali, quali quelle sui requisiti di capitale (di cui le autorità bancarie fanno periodicamente mostra di crucciarsi con gli “stress test”) previste per le banche commerciali e poter così fare un impiego disinvolto dell’effetto “leva” finanziario.
    Suonerebbe beffardo se gli istituti di credito italiani, i quali solo marginalmente avevano preso parte alla partita della finanza creativa che era sfociata nella crisi globale del 2007-2008, venissero ora, per cercare un’uscita dai problemi dell’economia reale, spinti nella mischia andando ad adottare proprio le modalità comportamentali che avevano contribuito alla formazione della crisi.
    Un’ultima considerazione: a margine dei proclami incentrati sulla “soluzione di mercato”, il rischio di credito dell’operazione, con la garanzia pubblica sulla tranche di “obbligazioni senior” e con la presenza della Cassa depositi e prestiti che contribuisce al fondo Atlante2, viene trasferito anche su contribuenti e su risparmiatori, secondo il classico adagio “socializzazione di costi a fronte di profitti privati”. Vale a dire che i contribuenti nonchè i risparmiatori di Poste Italiane potrebbero comunque trovarsi, un giorno, a dover prendere parte al pagamento del conto. Si tenga inoltre presente il fatto che la stessa Banca Centrale Europea, nel suo piano di acquisti di titoli pubblici e privati medianti i quali rifornisce di liquidità “fresca” le banche (Quantitative easing), ha inserito gli Abs fra i titoli cosiddetti “eleggibili”.

Purtroppo, pare di capire, nella gestione di questa ormai prolungata fase di difficoltà del sistema bancario non si va molto al di là di una mera proposizione di soluzioni con strumenti per mezzo dei quali la finanza “per sè” non fa che ribadire la propria posizione di preminenza e condizionalità rispetto a più legittime e democratiche esigenze derivanti dall’economia reale.

Articolo pubblicato da nonconimieisoldi.com

Sergio Farris è un impiegato pubblico e un delegato della relativa categoria (funzione pubblica) facente capo alla Cgil di Brescia. È appassionato di teoria e politica economica.