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Riflessione sulla disperazione degli adolescenti

Di fronte alla tragedia di Paderno Dugnano, viene da pensare alla solitudine metafisica dei ragazzi e delle ragazze, cui né la famiglia né la scuola, votata al mercato e al merito più che alla crescita umana, sanno dare appigli in una società senza ideali, speranze e condivisione.

Come tanti, mi ha molto impressionato (direi meglio angosciato) la vicenda di Paderno Dugnano del ragazzino che ha messo a morte la sua famiglia – forse senza rendersi ben conto di ciò che faceva. Ci è difficile immaginare cosa gli è passato per la testa, anche se molti di noi ricordano ancora i tormenti della crescita, la fatica di capire nell’adolescenza (quella che un tempo si chiamava “l’età ingrata”) né più né meno cosa ci stiamo a fare nel mondo e il senso delle cose, e di accettare gli adulti che hanno tutto chiaro, a cui vanno insomma bene i limiti della umana condizione – e peraltro in un’epoca precisa della storia umana. Quando io sono cresciuto alle mie spalle c’era (secondo dopoguerra) di essere nato in campagna in una vasta famiglia – tanti adulti, qualche bambino, tanti animali – e di essere cresciuto in un quartiere di case popolari urbane negli anni dell’occupazione nazista e della Liberazione. Avevo intorno, insomma, una situazione che oggi mi sembra fortunata, quasi ottimale. Di grandi paure collettive, ma subito dopo anche di liberazione e di crescita. 

Dai tormenti dell’adolescenza, obbligatoriamente “metafisici”, non ci si libera. L’inquietudine dell’ingresso nel mondo adulto è appartenuta a tutti, e chi non ha vissuto momenti di rabbia contro i limiti dell’età e dell’ambiente? Ma a salvarci c’era anche un Paese che cresceva, e che sembrava poter offrire possibilità anche individuali – per esempio attraverso, nel mio caso, l’accesso alla cultura: il cinema e la Bur al primo posto. Non c’era chi sostenesse le mie curiosità (a scuola ebbi, e soltanto alle magistrali, una insegnante che sapeva dialogare con i suoi allievi, ed era – a complicare le cose – la moglie di un ex fascista…). 

Avrà avuto un’insegnante intelligente e comprensiva come quella il ragazzo di Paderno? Probabilmente no, mentre probabilmente ha avuto attorno, se era più irrequieto dei suoi coetanei, una psicologa. Ho avuto e ho molti amici e maestri nel campo della psicologia, primo fra tutti Elvio Fachinelli, quello di “L’erba voglio” e del “Desiderio dissidente” che fu pubblicato dai “Piacentini”, un testo-chiave delle rivolte studentesche, per capirle e per parteciparne. 

E qui, mi pare, sta una chiave di interpretazione dei disagi dell’adolescenza di oggi. La psicologia come toccasana, mentre nella storia della nostra cultura la sociologia, che le faceva da sponda e da quadro, è quasi del tutto scomparsa, sostituita dalla (relativa) faciloneria del giornalismo degli “opinionisti”. Tanti, troppi psicologi si aggirano nelle scuole, e quando hanno “un caso” più difficile da risolvere (e anche da capire) non hanno chi dentro il loro mestiere gli dia un vero aiuto ma si rivolgono ai medici che, con odiosa facilità, prescrivono psicofarmaci. Ho qualche amica psicologa e conosco i suoi dubbi e tormenti, la coscienza che ha dei suoi limiti, in un contesto in cui di buona pedagogia quasi più non si parla, e “il caso” diventa sempre individuale, “clinico”. 

Ma osiamo dirlo apertamente! A educare i nostri figli non sono più né  la famiglia né la scuola, rarissimamente, forse ancora la Chiesa, come sponda troppo generica per agire in profondità, così come una sponda perfino più generica sono le associazioni di boys-scout, dei quali, chissà perché, non si parla mai, non discutendo le loro formule, parziali anche se positive. A educare i nostri figli è il mercato – cui si collegano ovviamente tutti gli strumenti, i massimi come i minimi, inventati dagli studiosi finanziati dal grande capitale, senza nessun loro dubbio sull’uso di ciò che inventano e a chi, a cosa servono questi strumenti. Vale come per psicologhe scolastiche il modo come gli studenti di Berkeley vedevano gli intellettuali, accettando solo se “esperti e rossi” (e insisto sul “rossi”, dalla parte giusta degli oppressi in rivolta).

Ma il problema è più vasto. Non bastano gli scarsi movimenti ecologisti (scarsi forse più da noi che altrove) e i manifestanti per la Palestina contro l’odiosa politica imperialista di Netanyahu accettata anche da tanti ebrei della Diaspora. E sono ancora più rari i manifestanti per la pace tra Russia e Ucraina. Insomma, e per arrivare al nodo, quello che manca, quello che non riusciamo più a dare o vigliaccamente non ci sentiamo di dare i nostri figli e nipoti è l’idea di un mondo migliore, in cui crescere guidati da valori forti e condivisi da molti, da tanti, dai “movimenti”. L’ultima ondata è stata il ‘68 – che era nel secolo scorso, e di secoli ne è passato più di mezzo ormai. 

Noi adulti, bastonati dalle sconfitte o adattatici al “sistema” per difendere i nostri miserabili interessi e quelli di chi ci paga, non abbiamo più da tempo una “visione”, senza più un progetto, un’idea di società che sia decisamente migliore di questa. E basterebbe accogliere, senza nostalgie “rivoluzionarie” e rigide ideologie d’altri tempi e luoghi, le idee di un sano riformismo, che oggi in un paese come il nostro, sarebbe qualcosa di molto rivoluzionario – se tanti se ne tengono lontano vivendo alla giornata e rappresentando quelli come sé, piccolo-borghesi come sé. Che possono anche essere ex operai o essere ancora operai, in una società dove tutte le classi si sono equiparate nell’immane ceto medio, le cui convinzioni non hanno mai salde radici economiche e possono oscillare da destra a sinistra. In un contesto in cui la sinistra non ha più identità mentre continua ad averne la destra, rappresentando una piccola borghesia scontenta di tutto e che esige sicurezza e che vuole “di più”. 

Quel che intendo dire è che il compito degli adulti è di ridare un senso a una utopia il più possibile concreta ma dentro riferimenti più vasti: la pace, il socialismo. O, se vogliamo, i tre ideali su cui, dalla Grande Rivoluzione, i movimenti si sono affermali in passato e hanno cambiato il mondo: Libertà Uguaglianza Fraternità. Anche se essi sono da ridiscutere nel confronto con i cambiamenti radicali che il mondo ha vissuto, perché il Socialismo di domani può avere in comune molte cose con quello del passato, ma non tutte…. Se insomma noi adulti non ci muoviamo anche noi, se non ci responsabilizziamo nei confronti delle nuove generazioni, dei nostri figli ed eredi, se non riapriamo ai nostri figli la speranza di una liberazione collettiva quanto individuale, che senso potremo mai dare davvero alla nostra vita. Alla nostra fame di Libertà Uguaglianza Faternità? E come possiamo pretendere che queste idee possano darle i giovani che noi, diciamo francamente, diventando adulti abbiamo tradito? Il modo migliore, anzi unico, di dare un aiuto ai “ragazzini” oggi prigionieri del mondo e incapaci da soli di pensare un mondo diverso (se stessi e il futuro) è di occuparsi di nuovo di politica, non lasciandola ai piccoli ambiziosi trafficanti di oggi. Di politica, cioè di utopia, ma di una utopia il più possibile concreta. 

Se vogliamo dare una mano ai ragazzini come quello di Paderno e ai tanti inquieti cui diamo solo consumi e tranquillizzanti, dovremmo ridar vita alla politica, rifiutando il mercimonio della politika, in un’ottica ribelle e rivoluzionaria rispetto all’oggi. Se vogliamo aiutare i “ragazzini” come quelli di Paderno, e milioni milioni di altri di oggi e di domani, il nostro dovere è questo, e chi pensa che non sia così è perché accetta il mondo così com’è e come lo vogliono “i padroni”. E con loro quegli intellettuali che usano il loro intelletto per sostenere, che siano o meno coscienti (ma lo sono, lo sono!) il dominio del capitale.