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Reddito di inclusione, arriva il via libera

Il governo ha approvato in via definitiva il reddito di inclusione che entrerà a regime da gennaio 2018. Una misura che rischia di diventare l’ennesimo strumento per la produzione di lavoro povero

Si è concluso, con il via libera definitivo, dopo il secondo esame in Consiglio dei Ministri, l’iter di approvazione del REI reddito di Inclusione introdotto con la legge n. 33/2017. Dal primo gennaio la misura entrerà ufficialmente in vigore e sostituirà altre due forme di sostegno al reddito (il Sostegno all’inclusione attiva – Sia – e l’Asdi, l’Assegno di disoccupazione), ricalcando le caratteristiche del primo. Come abbiamo avuto modo di analizzare nei mesi precedenti in altri diversi articoli, in particolare quello sulla legge delega, questa misura presenta diverse criticità, a cominciare dalla scarsa platea dei beneficiari coperta: i nuclei familiari potenziali interessati dal REI, in sede di prima applicazione saranno circa 500 mila, a fronte di 1 milione e 619 mila nuclei in povertà assoluta e 2 milioni e 734 mila famiglie in povertà relativa. Si smentiscono, quindi, gli annunci del Governo rispetto al milione di persone coperte: Poletti fa riferimento non ai nuclei, ma alla somma dei componenti delle famiglie, a cui, però singolarmente, mensilmente, verrà erogata una cifra pari a poco più di 120 euro. Permane la questione dei possibili effetti della condizionalità della misura, che andrà monitorata: il REI potrebbe diventare l’ennesimo strumento usato in Italia per la produzione di lavoro povero, sostitutivo di posti occupazione stabile e tutelata, come avviene per altri strumenti (si pensi all’uso distorto di Garanzia Giovani o del Servizio civile o dei tirocini)?

Alcune domande per fare chiarezza:

Cos’è il REI?

La definizione precisa, per comprendere di cosa parliamo era già contenuta nella stessa legge delega «il REI è una misura unica a livello nazionale, abbia carattere universale e sia condizionata alla prova dei mezzi, sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), tenendo conto dell’effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa, nonché all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà».

A chi si rivolge?

I criteri familiari sono abbastanza complessi, c’è il rischio che molte persone in stato di povertà non riescano ad accedervi: si deve far parte di un nucleo familiare con un minore di anni 18; una persona con disabilità; figli minori, donna incinta; almeno un lavoratore di età pari o superiore a 55 anni, che non abbia diritto di conseguire alcuna prestazione (es. Naspi), per mancanza dei necessari requisiti, e si trovi in stato di disoccupazione da almeno tre mesi; avere un ISEE non superiore a euro 6.000; essere legalmente residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento di presentazione della domanda (un criterio che tende sempre più a diventare una barriera per l’accesso alle prestazioni sociali).

A quanto ammonta?

L’ammontare del REI è pari, alla differenza tra il reddito familiare e una soglia, che è anche la soglia reddituale d’accesso. La soglia è pari per un singolo a 3.000 euro e riparametrata sulla base della numerosità familiare, che però non potrà essere superiore all’assegno sociale (valore annuo, 5.824 euro; mensile circa 485 euro) il rinnovo della misura di sostegno sarà consentito solo una volta trascorsi almeno 6 mesi da quando ne è cessato il godimento.

Cos’è la condizionalità del REI?

A differenza della legge delega è possibile capire meglio in cosa consisterà la condizionalità del REI: a seguito di una c.d. “valutazione multidimensionale”, si procede all’organizzazione del c.d. “progetto personalizzato” e gli impegni da svolgere da parte dei componenti del nucleo familiare. Sarà davvero possibile la realizzazione di quanto previsto con le scarse risorse in campo e gli ingenti tagli subiti negli ultimi anni al fondo non autosufficienze e su quello per le politiche sociali? L’accordo siglato il 23 febbraio in Conferenza Stato-regioni prevede, infatti che, “per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica”, i due capitoli di spesa vengano tagliati rispettivamente a quota 450 milioni e 99,7 milioni di euro. L’apparato amministrativo è in grado di mettere in campo “progetti personalizzati”? O di fatto la condizionalità si trasformerà in una contropartita per i nuclei familiari più poveri, da restituire principalmente attraverso lavori di pubblica utilità, senza un reale reinserimento lavorativo? Il dubbio permane.

Come verrà finanziata?

Per quanto riguarda il finanziamento del REI si prevede di utilizzare il Fondo Povertà per oltre un miliardo e 700 milioni, a cui si aggiungono le risorse per rafforzare i servizi (anche a carico del PON Inclusione) per un totale di oltre 2 miliardi di euro dal 2019.

Quali sono le criticità della misura? Perché non è un Reddito Minimo Garantito RMG?

Lo ribadiamo subito: non stiamo parlando del Reddito Minimo Garantito RMG nè del Reddito di Cittadinanza. Si badi che la proposta di legge del M5S, è chiamata impropriamente “reddito di cittadinanza” (per approfondire le differenze si consiglia il libro di Elena Granaglia). Forse dirlo chiaramente aiuterebbe a sgombrare il campo da confusioni e sovrapposizioni. Innanzitutto perché un RMG dovrebbe essere erogato su base individuale e non familiare, proprio per promuovere l’autodeterminazione dell’individuo e la sua possibilità di decidere autonomamente, rispetto al nucleo familiare. In secondo luogo perché l’importo dovrebbe essere almeno tra i 500 ed i 700 euro al mese a persona, in modo da garantire al beneficiario di poter rinunciare al ricatto del lavoro povero, mal pagato o gratuito (per approfondimento si legga qui). Un RMG non è condizionato allo svolgimento di attività paralavorative, soprattutto se la condizionalità vincola tutto il nucleo familiare; ma prevede un percorso di implementazione delle proprie competenze, che tiene principalmente conto della storia e del profilo della persona, valorizzando le sue capacità, al fine di reinserirsi davvero nel contesto lavorativo.

Questo perché la povertà non è una colpa, non è un debito nei confronti della collettività che va “espiato”. La povertà è una conseguenza di un processo di redistribuzione del reddito e della ricchezza e di politiche economiche e sociali bene precise, per questo il RMG non prevede “una contropartita” per la prestazione erogata, se non quello di aiutare le persone a ritrovare un lavoro (vero). Il RMG, infine, non si rivolge soltanto ai nuclei familiari in povertà assoluta, ma anche ai working poor, e al problema dell’intermittenza lavorativa, un tema fondamentale soprattutto nel contesto di sviluppo dell’automatismo e dell’Industria 4.0, in cui la disoccupazione rischia di essere un dato sempre più strutturale del mercato del lavoro, come da molti analizzato.

Per questi motivi l’approvazione del REI non può interrompere una battaglia per l’approvazione di RMG nel nostro Paese, un percorso già avviato, e analizzato nella sua fattibilità anche dall’ISTAT, e poi sospeso in questi anni, ma che diverse associazioni (in particolare BIN Italia a Rete dei Numeri Pari) continuano a portare avanti.