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La ricerca di base al tempo del Coronavirus

Qual è il ruolo della ricerca di base, chi se ne fa carico e quali strategie di finanziamento dovrebbero essere perseguite. Dall’esperienza della pandemia si può trarre una lezione preziosa: non basta concentrare investimenti straordinari in un arco limitato di tempo, bisogna essere “investitori pazienti”.

L’emergenza Covid-19 ha riproposto al centro del dibattito pubblico il ruolo cruciale della ricerca di base la quale, in tutto il mondo, poggia sostanzialmente su istituzioni e finanziamenti pubblici. I soggetti privati non hanno infatti adeguati incentivi a condurre questa tipologia di ricerca. Se lo fanno, le conoscenze generate non diventano beni comuni ma vengono protette da segretezza o brevetti. Questi sono i principali motivi a sostegno del finanziamento pubblico della ricerca di base. Resta da stabilire quanto e come essa vada finanziata.

Sul “quanto” l’attuale emergenza sanitaria sta spingendo i governi a investire risorse straordinarie per la ricerca di farmaci antivirali e soprattutto vaccini. L’obiettivo è quello di accorciare radicalmente i tempi, solitamente molto lunghi, per ottenere risultati.

Allo stato delle cose, contestare l’opportunità di questa “politica” sarebbe ovviamente folle. Vale tuttavia la pena ricordare che le scoperte scientifiche che hanno cambiato la nostra vita (in particolare quelle relative alla salute) raramente sono state ottenute investendo ingenti risorse oggi per avere risultati domani.

Come sottolineato da William Press[1], le scoperte scientifiche di enorme impatto sono rare ma la loro probabilità, seppur piccola, è positiva. In termini statistici, siamo in presenza di una distribuzione di probabilità con una lunga coda verso destra, assai diversa da una distribuzione normale in cui è molto alta la probabilità di scoperte a basso impatto, mentre diventa pressoché nulla quella di scoperte “eccezionali”.

A fronte di questa caratteristica come si dovrebbe comportare un ipotetico investitore interessato agli ingenti benefici che una scoperta eccezionale potrà generare? Dovrebbe, dice Press, agire con “pazienza” investendo in modo continuativo un ammontare di risorse costante, non necessariamente alto.

Questa è la strategia che dovrebbero seguire i governi nel finanziare la ricerca di base: i rari successi saranno possibili se verranno fornite risorse stabili e di lunga durata. Nel caso della ricerca medica di base questo non è avvenuto e ciò contribuisce a spiegare, ovviamente insieme alla idiosincratica incertezza che caratterizza qualsiasi progetto di ricerca, la difficoltà di ottenere risultati (vaccini) in tempi brevi.

Come già detto, tutti noi speriamo che uno sforzo eccezionale produca risultati eccezionali. A questo riguardo assume un’importanza decisiva il fatto che tanti gruppi di ricerca perseguano lo stesso obiettivo in modo diverso, ma condividendo i risultati intermedi dei loro progetti, anche se non definitivi e quindi non adeguati per poter essere pubblicati e ricevere il bollino della “grande scoperta”. Le ingenti risorse sono quindi benvenute se favoriranno la varietà dei progetti e la condivisone immediata dei risultati.

Tutto ciò nell’emergenza. In tempi normali (che speriamo arrivino presto) i governi dovrebbero adottare la strategia dell’investitore paziente. Questo è uno dei tanti insegnamenti che dovremmo trarre dalla tragica esperienza che il mondo sta vivendo in questi giorni.

Note

[1] William H. Press (2013), “What’s so special about science (And how much should we spend on it)?”, Science, vol. 342.

* Alessandro Sterlacchini, Università Politecnica delle Marche