Tria lancia un pacchetto di incentivi alle imprese ma è Berlino a condurre i giochi nell’Euro-area. Così anche la Via della seta risulta uno sbocco per la Cina e per la Germania.
Inquadramento delle politiche a sostegno della crescita degli investimenti
Il governo del Paese si accinge a prefigurare delle misure economiche e finanziarie per rilanciare il Paese. Il segno delle misure ricalca quanto già predisposto da altri governi. Il sole 24 ore del 17 marzo 2019 giustamente titola: “Da fisco e investimenti manovra per la crescita economia”. Le proposte del ministro dell’Economia Giovanni Tria sono relative al Patent Box semplificato, all’ampliamento dei mini-bond per finanziare le Pmi, alla Sabatini-quater in forma estesa e una nuova sezione del Fondo centrale di garanzia mirata alle medie imprese. Nel pacchetto dovrebbe rientrare anche il super-ammortamento e il taglio generalizzato dell’Ires sugli utili e le riserve che rimangono in azienda (Quest’ultimo provvedimento dovrebbe essere sostenuto con l’abbandono della mini-Ires appena nata, ma subito finita al centro di critiche per le difficoltà operative che comporterebbe la sua applicazione pratica).
L’obbiettivo è quello di rilanciare gli investimenti in macchinari e, in particolare, quelli a maggior contenuto tecnologico, unitamente ad una contrazione del carico fiscale in capo alle imprese. Se i vincoli finanziari europei compromettono gli investimenti pubblici, attraverso gli incentivi fiscali si immagina di rilanciare almeno gli investimenti privati (Cristian Perniciano della CGIL, esperto fiscale, stima gli aiuti pubblici verso le imprese pari a 10 miliardi strutturali tra il 2015 e il 2018). La logica sottesa è quella dell’ex ministro Carlo Calenda: innoviamo il sistema produttivo nazionale per rafforzare il made in Italy, in particolare nella produzione di beni strumentali e intermedi (addentrandosi nella questione, è saggio compiere una fondamentale quanto banale distinzione circa la composizione degli incentivi e le modalità con cui sono concessi; esistono, infatti, Paesi come l’Italia e la Francia che scommettono principalmente sull’utilità degli incentivi fiscali, mentre altri, come la Germania, che prediligono il finanziamento diretto a progetti selezionati tramite bando, anche attraverso la Kfw). In fondo si è sempre detto che il moltiplicatore degli investimenti è maggiore di quello dei consumi (R. Realfonzo e A. Viscione, 8 Febbraio 2019, Una stima degli effetti della manovra e delle alternative possibili).
La dinamica degli investimenti e del PIL
Prima di trattare il tema degli investimenti e la loro effettiva (presunta) efficacia, è il caso di indagare gli investimenti e il PIL di alcuni Paesi europei (Spagna, Francia, Germania e Italia) nell’ultimo periodo (2015-2018). Prendendo in considerazione la variazione del solo PIL è da subito evidente la minore crescita dell’Italia tra i Paesi presi in considerazione. Si tratta di differenze importanti: la Spagna cresce del 12,4%, la Germania del 7,8%, la Francia del 6,2%, mentre l’Italia registra un modesto 4,7%. Sebbene la pubblicistica mainstream imputa alla carenza di investimenti la minore crescita dell’Italia, dalla contabilità nazionale si osserva qualcosa di apparentemente anomalo: gli investimenti in macchinari dell’Italia sono tra i più alti dei Paesi considerati; tra il 2015 e il 2018 gli investimenti in macchinari dell’Italia crescono del 29,7%, quelli della Spagna del 29,1%, quelli della Francia del 17,9% e quelli della Germania del 14,7%. Evidentemente la tesi relativa alla bassa intensità degli investimenti per spiegare la modesta crescita dell’Italia non trova molte conferme empiriche. Per offrire una rappresentazione del fenomeno abbiamo predisposto una tavola e un istogramma che aiutano a fotografare la dicotomia tra maggiori investimenti e minore crescita dell’Italia (Per cultori del federalismo fiscale, ricordo anche che la Lombardia segue il trend nazionale ed è, per alcuni versi, persino in maggiore sofferenza).
Ricordando le misure del governo Renzi prima, di Gentiloni dopo, a sostegno degli investimenti, è indiscutibile l’esito della crescita degli investimenti privati, ma l’effetto sulla dinamica del PIL è significativamente contenuta. A questo punto dobbiamo pur rispondere alla domanda: come è possibile che un Paese come l’Italia investa così tante risorse finanziarie, con la complicità dei governi, ma nel contempo non riesca ad avere un beneficio in termini di PIL, buona occupazione e ben-essere?
Prima di indagare l’oggetto è necessaria una breve premessa.
Il movimento del reddito
La tesi del moltiplicatore è consolidata nella teoria economica, ed è diventata nel tempo abbastanza indiscutibile. Sebbene l’argomentazione teorica sia coerente rispetto al suo ideatore (fu elaborato durante la crisi del 1929 da R.F. Kahn e altri a proposito della spesa pubblica diretta a combattere la disoccupazione, ma è anche valido per analizzare qualsiasi processo a catena mediante il quale una spesa originaria provoca ripercussioni che ne moltiplicano gli effetti e si deve soprattutto a J.M. Keynes la sua generalizzazione), il moltiplicatore di R.F. Kahn (1929) riflette un sistema economico chiuso e poco sensibile all’import e all’export di beni e servizi.
In effetti, l’utilizzo del moltiplicatore in un sistema economico integrato come quello attuale è più complicato; l’aumento del reddito potenziale legato agli investimenti presuppone che la domanda aggiuntiva sia per lo più soddisfatta da beni e servizi interni. Sul punto servirebbe, invece, una maggiore laicità e misura. Riprendendo le tesi di P. Leon (1965) (P. Leon, 1966, Structural Change and Growth in Capitalism, The Johns Hopkins Press, Baltimore) circa il ruolo della domanda effettiva (P. Leon, 1981, L’economia della domanda effettiva, Feltrinelli, Milano) e le sue implicazioni circa il movimento dei consumi rispetto alla crescita del reddito (si consumano beni diversi al crescere del reddito disponibile) (R. Romano e S. Lucarelli, 2017, Squilibrio, ed. Ediesse), gli investimenti devono ben avere un moltiplicatore diverso se sostengono la domanda emergente o se consolidano la domanda pre-esistente. Inoltre, il vincolo estero dei beni capitali, cioè il saldo della bilancia commerciale, condiziona l’efficacia degli stessi investimenti, così come gli investimenti dovrebbero essere analizzati sia dal lato della domanda, quando le imprese acquistano nuovi macchinari, e sia dal lato dell’offerta, quando le imprese vendono beni strumentali alle imprese che vogliono migliorare il loro processo produttivo, oppure intendono soddisfare la domanda emergente.
Cosa mostrano i dati di investimenti e produzione di macchinari
Combinando domanda e produzione di beni strumentali di Italia, Germania, Francia, Spagna e la Lombardia, si osservano alcune stranezze, ma fondamentali per comprendere l’inefficacia degli investimenti italiani. I grafici di cui sotto mostrano gli investimenti sia dal lato della domanda e sia dal lato dell’offerta. Per comprendere quanto tutto il paese sia in difficoltà, abbiamo utilizzato anche la Regione Lombardia come campione. Il punto su cui invitiamo a riflettere è relativo alla distanza tra investimenti e produzione di beni strumentali di tutti i Paesi al netto della Germania. In tutti i Paesi la dinamica degli investimenti è significativamente maggiore della dinamica della produzione di beni strumentali. L’unico Paese a registrare un andamento contrario è la Germania, dove la produzione di beni capitali e superiore alla domanda di investimento delle imprese. In altri termini, la produzione di tutti i Paesi considerati di beni capitali è insufficiente per soddisfare la domanda delle imprese che investono.
La domanda che dobbiamo a questo punti farci è la seguente: fino a che punto gli investimenti condizionano in peggio la crescita del Paese? Tanto!
Per dar conto della sofferenza del tessuto produttivo nazionale abbiamo considerato il saldo commerciale dei beni strumentali tra Germania e Italia, rapportata alla domanda di investimento delle imprese e alla produzione di beni strumentali nazionale. Il grafico di cui sotto è la rappresentazione plastica del fallimento della politica industriale nazionale e, ancor di più, degli incentivi pubblici a sostegno degli stessi investimenti. Della divergenza tra investimenti e produzione abbiamo già detto, ma l’aspetto inedito è il seguente: ogni qualvolta aumentano gli investimenti delle imprese italiane, il saldo della bilancia commerciale nei beni capitali della Germania è migliore in misura più che proporzionale. Sostanzialmente l’Italia cede lavoro buono alla Germania in ragione della sua impossibilità nel produrre i beni strumentali domandati dalle stesse imprese. Anche i beni intermedi sono soggetti alla stessa dinamica; solo i beni di consumo, cioè i beni a minor valore aggiunto, conseguono un leggero avanzo con la Germania, ma non compensano in nessun modo il dare e l’avere della bilancia commerciale e prefigurano una dipendenza tecnologica per alcuni versi disarmante.
Questo trend interessa tutti i Paesi europei e non solo quello italiano. Qualcuno potrebbe anche sostenere che lo sbocco della produzione di beni capitali nazionali non sia l’Europa, piuttosto i Paesi di nuova industrializzazione (la Cina?).
Innanzitutto è bene ricordare che la Germania ha gerarchizzato la produzione in Europa: quella a maggior valor aggiunto (capitale e intermedi), mentre quella a minor valore aggiunto è lasciata ai Paesi periferici. Il rischio è quello di una concentrazione di reddito
che potrebbe erodere la domanda proveniente dai Paesi periferici, ma la Germania sembra orientare la propria attenzione alla così detta via della seta.
In effetti la Germania cerca da tempo di allargare il proprio orizzonte verso la Cina. Così come per i Paesi europei la Germania ha un saldo attivo della bilancia commerciale dei beni capitali e intermedi con la Cina, ma il saldo negativo nei beni di consumo compensa il dare e l’avere tra Germania e Cina. La Cina poi stimola alcuni beni e servizi, ovvero non gioca da comprimario con la Germania. In qualche misura Cina e Germania giocano una partita in cui tutti gli attori vincono.
Il made in Italy e persino il made in Lombardy – il governatore della Lombardia sostiene la particolarità della produzione lombarda – sono residuali e poco competitivi. La bilancia commerciale dei beni capitali tra Italia e Cina è sostanzialmente in pareggio, mentre quella dei beni intermedi e di consumo è permanentemente in passivo. La Via della seta, quindi, non sembra essere uno sbocco per la produzione nazionale, semmai uno sbocco per la produzione cinese e per via indiretta della produzione tedesca.
Conclusioni
Se il quadro generale è preoccupante, la dinamica sottesa lo è ancor di più. Grazie al lavoro di due studenti (S. Beretta ed E. Camisana), coordinati dal prof. S. Lucarelli e A. Variato, si osserva anche che gli investimenti italiani non sono guidati dalla crescita del PIL nazionale, piuttosto dalla crescita del reddito tedesco. Inoltre, sebbene la crescita del reddito tedesco faccia crescere le importazioni dei beni di consumo nazionali, questa non è sufficiente per conseguire un avanzo. Evidentemente l’avanzo commerciale italiano è per lo più conseguito con i Paesi extra UE o con i Paesi UE più poveri. La correlazione negativa degli investimenti nazionali con il reddito italiano è, quindi, la manifestazione di una economia export led, ma su beni e servizi a minor valore aggiunto. In “Euro al capolinea? (R. Bellofiore, F. Garibaldo, M. Martàgua), un libro che consiglio a tutti di leggere, si suggerisce la tesi della “centralizzazione senza concentrazione”, ma forse sottovaluta la potenza di comando dell’industria tedesca.Infatti più che di dipendenza tecnologia nazionale, mi sembra più opportuno parlare di irrilevanza dell’industria nazionale per la parte nobile della produzione (capitale e intermedi), o meglio ancora di una gerarchizzazione della produzione e del commercio internazionale. Sostanzialmente la Germania conduce lo sviluppo in tutta l’Euro-area imponendo la propria tecnica, lasciando ad altri le esportazioni meno nobili. Inoltre, il consolidamento tedesco nei beni strumentali verso oriente ha lo stesso segno di quello condotto con l’Europa, ma in questo caso gioca da partner perché non può inimicarsi 1 mld di persone.
Vista la difficoltà della prossima manovra economica del Paese, sarebbe appena il caso di ricercare almeno una maggiore efficacia dell’aiuto pubblico diretto alle imprese: è una condizione necessaria.