Giorgio Lunghini, scomparso di recente, è stato punto di riferimento per due generazioni di studiosi e di attivisti. Ha toccato il cuore del capitalismo, esaminando la contraddizione tra l’abbondanza di merci e i bisogni insoddisfatti, tra le grandi capacità produttive e la grande disoccupazione che ci circonda.
Giorgio Lunghini è mancato a Milano il 22 dicembre scorso. E’ stato un maestro dell’economia, ha insegnato all’Università statale di Milano, all’Università di Pavia, all’Università Bocconi e allo IUSS, l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Era membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei ed è stato presidente della Società italiana degli economisti. E’ stato un importante intellettuale che ha unito rigore nella ricerca e impegno nella politica, con una lunga collaborazione con Il Manifesto e interventi puntuali nel dibattito politico. Aveva grande lucidità, spessore culturale, stile, capacità di guardare lontano, qualità che ne hanno fatto un punto di riferimento per due generazioni di studiosi e di attivisti.
Attento alla storia delle idee e a come esse influenzano il mondo, Giorgio Lunghini si è dedicato a lungo a presentare gli autori che riteneva essenziali; molte sono le sue prefazioni ai testi di Marx (Teorie sul plusvalore), di Keynes (La fine del laissez faire) e a quelli di Adam Smith, Schumpeter, Sraffa, Gramsci. I temi al centro del suo lavoro sono stati la teoria del valore e la distribuzione del reddito, la tecnologia e la disoccupazione che ne consegue, la crescita dell’economia e il ruolo della politica per orientarla.
L’intreccio tra idee e politiche è al centro del volume Scelte politiche e teorie economiche in Italia, 1945-1978 (Einaudi, 1981) curato da Giorgio Lunghini con i materiali del convegno che raccolse a Pavia molti tra i maggiori economisti italiani. A distanza di quarant’anni il libro resta una ricostruzione essenziale dello sviluppo italiano, delle sue premesse, delle controversie che l’hanno accompagnato, dei nodi ancor oggi irrisolti.
Alle contraddizioni del capitalismo e alla qualità del nostro sviluppo è dedicato il volume L’età dello spreco. Disoccupazione e bisogni sociali (Bollati Boringhieri, 1995). Il libro si apre in modo perentorio: “la mia tesi è che la disoccupazione ha oggi carattere strutturale, ha origine nelle forme attuali del cambiamento tecnologico e organizzativo, ed è tendenzialmente irreversibile”. Teoria economica e urgenze della politica sono affrontate insieme, con spunti penetranti: la divaricazione tra crescita della produzione di merci e ristagno dei lavoratori salariati; la compresenza di bisogni sociali e lavoratori disoccupati; la necessità di lavori ‘concreti’, di cura delle persone e dell’ambiente, fuori dal mercato, accanto al lavori ‘astratti’ dei salariati che producono merci.
Il suo libro Conflitto crisi incertezza. Le teoria economica dominante e le teorie alternative (Bollati Boringhieri, 2012) si può leggere come un sintetico manuale di economia che spiega e smonta la teoria neoclassica, e ricostruisce l’analisi a partire da quattro autori: David Ricardo, Karl Marx, John Maynard Keynes e Piero Sraffa. Il loro tratto comune – delineato nell’apertura del volume – è che “ci descrivono il sistema economico in cui viviamo, che è un sistema storicamente determinato: il capitalismo, come un sistema in cui la distribuzione del prodotto sociale tra le classi è materia di conflitto; in cui la norma è la crisi e non l’equilibrio; e in cui gli agenti prendono le loro decisioni in condizioni d’incertezza e sulla base di una conoscenza limitata”. Giorgio Lunghini ci riporta così al cuore del capitalismo, alla contraddizione tra l’abbondanza di merci e i bisogni insoddisfatti, tra le grandi capacità produttive e la grande disoccupazione che circonda. Tocca alla politica affrontare queste contraddizioni e costruire una società all’altezza delle ‘prospettive economiche per i nostri nipoti’ – il famoso testo di Keynes ridiscusso alla fine di Conflitto crisi incertezza: “la teoria economica e l’arte del governo non sanno spiegare né vogliono risolvere il problema economico-politico più grave: troppe merci, poco lavoro”. Le conclusioni del volume valgono anche per il nostro ‘che fare’: “occorrono profondi mutamenti nel codice morale, dunque una determinata, paziente, lunga azione culturale e politica”.