A 10 anni dal 15 settembre 2008, il fallimento Lehman Brothers, nessuno ha messo mano al casinò finanziario e anzi, le lobby finanziarie tornano a a chiedere l’abbattimento di regole e controlli. Unico dato positivo, la crescita della finanza etica.
Rischiamo di tornare al 2008, alla casella di partenza. Al fallimento della Lehman Brothers, momento più emblematico della peggiore crisi della storia recente. A dirlo non sono voci fuori dal coro, ma alcune delle principali istituzioni internazionali.
Prima dell’estate era stato il Fmi a segnalare i crescenti rischi per il sistema finanziario globale. Nei giorni scorsi gli ha fatto eco l’Ocse, lanciando l’allarme per una possibile nuova crisi.
I motivi sono diversi. Il primo e principale è che la finanza non è cambiata.
Rispetto alle promesse fatte 10 anni fa di chiudere una volta per tutte il casinò finanziario, la montagna non ha partorito nemmeno il proverbiale topolino. Non solo nessuno dei responsabili è stato condannato, ma le grandi banche sono oggi ancora più «too big to fail». Ugualmente i derivati e altri strumenti speculativi sono ai massimi, così come le retribuzioni dei top manager.
In Europa non si vede nemmeno l’ombra di una separazione tra banche commerciali e di investimento o di una tassa sulle transazioni finanziarie. Non va meglio negli Usa, dove quel poco che era stato fatto dall’amministrazione Obama è già stato in buona parte smantellato.
Se il sistema finanziario nel suo insieme è sempre più votato alla speculazione e a orizzonti di brevissimo termine, rispetto al 2008 ci sono almeno due differenze, tutt’altro che positive.
La prima è legata alla montagna di liquidità immessa prima per salvare le banche e poi per fare ripartire l’economia. Oltre 11mila miliardi di dollari dalle banche centrali di Usa, Giappone ed Europa. Risorse in massima parte incastrate in circuiti finanziari se non speculativi, che non arrivano all’economia reale. La seconda differenza è che, malgrado la debole ripresa, conti pubblici ed economia portano ancora le cicatrici dell’ultimo disastro. Basta guardare all’inaccettabile aumento delle diseguaglianze per capire l’insostenibilità della situazione attuale. Eccesso di liquidità e mancanza di regole per la speculazione da una parte, fragilità dell’economia dall’altra, non possono che tradursi in uno scollamento sempre più profondo tra finanza e fondamentali economici, identificandosi nella definizione stessa di una nuova bolla finanziaria. Se possibile, l’aspetto più preoccupante non è però nei numeri, quanto culturale.
È tornata di moda l’idea che solo una finanza libera da lacci e laccioli possa trainare l’economia.
Le lobby finanziarie rialzano la testa e tornano senza vergogna a chiedere l’abbattimento di regole e controlli. In un quadro a dir poco desolante, c’è però un elemento di speranza. In questi 10 anni qualcosa è cambiato.
È la consapevolezza e l’attenzione di fasce sempre più ampie della popolazione. Persone che si interrogano sull’uso del loro denaro una volta depositato in banca o affidato a un gestore; che si rivolgono alla finanza etica, che in questi 10 anni è cresciuta sostenendo l’economia reale, la creazione di posti di lavoro e la tutela ambientale; che partecipano in prima persona, cercando di capire i meccanismi del sistema finanziario e cosa possono fare per cambiare le cose. È da qui che dobbiamo ripartire per un radicale cambio di rotta. Mettere in campo una contro-lobby di cittadini, società civile e imprese, riprendendo il famoso slogan di Occupy Wall Street «siamo il 99%». Realizzare un lavoro culturale e di informazione per pretendere dalla politica un cambio delle regole del gioco.
È su queste basi che è nata la campagna Change Finance, che verrà lanciata proprio in occasione dei 10 anni dal fallimento della Lehman Brothers. Sono già oltre ottanta le iniziative organizzate in tutta Europa, oltre ad altre su scala internazionale. In Italia – a settembre – Valori e la Fondazione Finanza Etica, della rete di Banca Etica, hanno organizzato Borsopoly. Un gigantesco gioco dell’oca davanti a Piazza Affari a Milano, dove chi più specula più va veloce verso il traguardo. Si guadagnano caselle scommettendo con i derivati o sfruttando i paradisi fiscali, per poi farsi salvare dal paracadute pubblico quando le cose vanno male.
Un modo per ricordare che nella vita reale la finanza non è un gioco, e che non possiamo aspettare passivamente la prossima crisi e i conseguenti disastri; che non vogliamo accettare un sistema che privatizza i profitti e socializza le perdite; che pretendiamo una finanza che sia al servizio dell’economia e delle persone, e non viceversa. E che vogliamo farci sentire per ottenerlo.
Pubblicato da Il manifesto del 13 settembre 2018