La Direttiva che dovrebbe fissare regole comuni per hedge fund e private equity, che l’Italia è chiamata a recepire, rischia di abbassare gli standard esistenti, persino rispetto ai paradisi fiscali,generando un pericoloso livellamento verso il basso e un’ulteriore competizione esasperata tra i Paesi membri
L’Italia è chiamata a recepire la Direttiva europea 61/2011 o Aifmd (Alternative Investment Fund Managers Directive), sulla supervisione e i controlli per i gestori di hedge fund e di fondi private equity, ovvero i soggetti spesso considerati più aggressivi e a maggiore vocazione speculativa. A prima vista un segnale positivo per dotarsi di regole comuni e più stringenti. Come spesso avviene, però, il diavolo è nei dettagli.
Una novità introdotta dalla Direttiva è il cosiddetto “passaporto” che ogni gestore di “fondi alternativi” dovrà richiedere e ottenere prima di potere operare sul territorio europeo. Tale passaporto potrà essere rilasciato da un qualunque Stato membro, e darà la possibilità di operare senza restrizioni nell’intera Ue. Se la Direttiva fissa un quadro generale, ogni Paese membro deve poi recepirla nel proprio ordinamento, il che apre la strada a discrezionalità e margini di manovra e interpretazione. Visti i precedenti in materia di diritti del lavoro o fisco, non è così difficile ipotizzare il rischio di una competizione e di una vera e propria corsa verso il fondo tra Paesi europei per interpretare nella maniera più “morbida” possibile i controlli e le regole per hedge fund e private equity in modo da attrarre i capitali da loro controllati.
Non solo. Il recepimento della Direttiva europea prevede che dopo tre anni dall’entrata in vigore, ovvero già da fine 2015, lo stesso passaporto potrà essere richiesto anche da operatori che si situano al di fuori dell’Ue, e in particolare anche dai fondi off-shore, come si legge nero su bianco nella Documentazione per l’esame di Atti di Governo trasmessa alla Camera dei Deputati lo scorso 17 dicembre. In pratica un gestore di un fondo alle Isole Cayman chiede il “passaporto” a Cipro, e con tale autorizzazione può operare senza problemi o vincoli in Italia e nel resto dell’Ue. Tutto questo sempre che l’Irlanda, il Lussemburgo o altri Stati membri non riescano a offrire condizioni ancora più appetibili per i capitali gestiti dagli attori finanziari.
A segnalare il problema è persino l’Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital (Aifi) che nell’ambito della consultazione sulla Aifmd promossa dal ministero delle Finanze segnala che “lo scenario che si prospetta […] è l’artificiosa delocalizzazione dei gestori in Paesi europei caratterizzati da contesti normativi più attraenti”. L’Esma, l’Authority europea per la supervisione sui mercati finanziari, chiarisce che il nuovo regime di passaporto prevarrà sulle normative nazionali: “qualunque restrizione locale sui gestori di fondi di investimento alternativi che non sia in accordo con la Aifmd dovrà essere disapplicata”.
Se questo impianto venisse confermato, ci troveremmo davanti all’ennesimo, inaccettabile esempio di un’Europa a due velocità. Una sempre più spinta liberalizzazione e integrazione dei capitali e dei mercati, in assenza di politiche comuni. Ogni Paese deve rinunciare alle proprie normative e controlli, ma non nel nome di un’armonizzazione verso l’alto delle regole e di un controllo unico europeo, quanto al contrario per adattarsi agli standard del singolo Paese più “compiacente” verso i capitali speculativi. Compresi entro pochi anni quelli in arrivo dai paradisi fiscali extra-Ue.
Un pericolosissimo livellamento verso il basso e un’ulteriore competizione esasperata tra i Paesi membri, in barba alla stessa idea di “unione” europa. Il tutto paradossalmente presentato come una Direttiva per “regolamentare” la finanza speculativa. Se questa è la strada attuale, il Parlamento che uscirà dalle elezioni europee di maggio 2014 avrà molto da lavorare. Da subito.