Mediobanca, finisce la breve esperienza “duale”. Il nuovo sistema guarda agli equilibri interni più che al futuro. La nomina non elegante di M. Berlusconi
L’assetto di governance di Mediobanca è in procinto di cambiare: il 18 settembre è stato concordato dal patto di sindacato (non all’unanimità) e dal consiglio di sorveglianza, dopo un lungo confronto tra i principali soci, il nuovo statuto che prevede il ritorno al sistema di governo societario tradizionale (monistico) in luogo del sistema duale; il 28 ottobre sarà presentato all’assemblea degli azionisti per l’approvazione definitiva.
Il sistema duale venne introdotto poco più di un anno addietro in relazione all’opportunità di attribuire a due diversi organi societari, il comitato di sorveglianza e il comitato di gestione, rispettivamente la funzione strategica e la gestione aziendale in una fase in cui la ragion d’essere (mission) dell’intermediario andava rivisitata, dopo la morte del suo fondatore Enrico Cuccia e l’estromissione dalle leve di comando del suo delfino Vincenzo Maranghi; consentiva anche di attribuire la presidenza del Consiglio di sorveglianza all’ex presidente di Capitalia, (ossia il gruppo Banca di Roma), Cesare Geronzi, libero da incarichi di rilievo dopo l’incorporazione della banca da parte di Unicredit, attribuendo la responsabilità della gestione ai manager professionalmente cresciuti ai tempi di Cuccia.
La breve esperienza del duale ha peraltro dimostrato che la complessità della struttura di governance tipica di questo modello mal si attaglia ad una banca di medie dimensioni come è ormai Mediobanca dopo aver perso la veste di stanza di compensazione fra i vari interessi del sistema imprenditoriale italiano; negli ultimi anni, infatti, l’attività di Mediobanca si è limitata, pur con ottimi risultati sul piano economico, alle sole operazioni creditizie tradizionali e di investment bank di minore rilevanza; come sarebbe stato rappresentato dalla Banca d’Italia, l’applicazione del modello duale non avrebbe consentito una chiara attribuzione di responsabilità dei due organi societari e disarmonie nel raccordo fra di essi.
Il previsto ritorno all’antico avverrebbe peraltro con alcune novità di non poco conto:
. il consiglio di amministrazione sarebbe allargato a ben 23 membri;
. sarebbe istituito il comitato esecutivo, composto da 9 consiglieri;
. verrebbe nominato un amministratore delegato;
. nel consiglio e nel comitato esecutivo siederebbero anche il direttore generale e i suoi vice; il direttore generale sarebbe nominato vicepresidente del comitato esecutivo;
Nelle intenzioni di coloro che hanno formulato il nuovo statuto, l’assetto di governance, frutto di un compromesso fra i soci di maggior peso nell’azionariato di piazzetta Cuccia, sarebbe funzionale al raggiungimento di un equilibrio di poteri fra i rappresentanti degli azionisti e i manager.
Tale riorganizzazione non può peraltro che lasciare perplessi: risaltano in particolare l’eccessiva numerosità degli organi decisionali e la pletoricità della loro composizione; appare poi del tutto anomala la partecipazione in consiglio e nel comitato esecutivo dei capi della struttura, aventi pari dignità negli organi decisionali ma tra loro subordinati al momento dell’esecuzione delle delibere; inoltre, il direttore generale nell’assumere la carica di vicepresidente, risulterebbe negli organi collegiali preordinato allo stesso amministratore delegato.
In tale prospettiva, i rischi di una non chiara attribuzione delle responsabilità nonché di disarmonie fra organi decisionali ed esecutivi appaiono destinati ad ampliarsi, anziché ridursi. Inoltre, sembra confermata la prospettiva di un ruolo di nicchia, seppur prestigiosa, nel mercato dell’intermediazione creditizia e finanziaria. Sebbene la staticità operativa degli ultimi anni abbia contribuito, seppur inconsapevolmente, a preservare la banca dalle gravi turbolenze dei mercati finanziari mondiali, nel lungo termine l’assenza di una rinnovata vivacità imprenditoriale, fa presumere la perdita definitiva della centralità della banca nel sistema imprenditoriale italiano.
In tale quadro, i recenti bisticci tra soci sulle nomine delle principali società partecipate (Generali, Rcs Telecom) ricordano quegli eredi che litigano sulla suddivisione dell’asse invece di concentrarsi sulla valorizzazione dell’eredità; sarebbe invece quanto mai opportuno che i soci si interrogassero sul ruolo dell’intermediario, sapendo di contare su fondamenta solide, costruite in tanti anni da Cuccia.
P.S. A sorpresa dalla lista degli amministratori proposti dal patto di sindacato è spuntato il nome della figlia della prima moglie dell’attuale presidente del consiglio; si tratta di una nomina non certo elegante, che rende manifesto il disinteresse di parte del mondo imprenditoriale italiano per l’estensione pubblica del conflitto di interessi, in questo caso tra politica e sistema bancario e imprenditoriale.
La nomina chiarisce poi la portata del confronto fra i soci di Mediobanca e le motivazioni sottostanti al pateracchio della nuova governace: la riaffermata indipendenza dei manager si interpretata dunque come estremo tentativo di preservare l’autonomia della banca dalle pretese egemoniche del teatro tragico della politica, che in Mediobanca ha preso le forme dell’asse fra Berlusconi e Geronzi.
In tale quadro emerge la debolezza del sistema imprenditoriale italiano, incapace di rigettare l’avanzata della politica nelle faccende economiche; al riguardo non si tratta della perdita della riservatezza sulle informazioni relative alle operazioni di finanziamento e merchant bank di Mediobanca., perché in Cda era già presente Ennio Doris, sodale in affari di lunga data di Silvio Berlusconi, bensì del tentativo di sottomettere alle ragioni della politica le scelte “di mercato” delle imprese italiane.