Il progetto dell’Unione Europea è ad un bivio storico: o si procede verso lo stato federale o si torna indietro lungo sentieri economici, sociali e politici regressivi
Le votazioni per il parlamento europeo sono un appuntamento molto più importante di quanto evidenzia il dibattito elettorale italiano, incentrato sugli sforzi del trio Berlusconi-Grillo-Renzi di influenzare gli equilibri domestici in vista di elezioni anticipate nel nostro paese.
Il progetto dell’Unione Europea è ad un bivio storico e l’esito del voto sarà rilevante per la strada da imboccare: o si procede verso lo stato federale – ma superando gli ostacoli generati dalle politiche inique e controproducenti finora seguite – o si torna indietro lungo sentieri economici, sociali e politici regressivi, dagli esiti imprevedibili.
Le motivazioni originarie del progetto europeo concepito a Ventotene, erano in primo luogo di evitare altre guerre. Poi si sono aggiunte quelle economiche, accresciute dalla globalizzazione e dalla crisi epocale che proprio in Europa sta manifestando le sue conseguenze più virulente.
Per superare positivamente la crisi è necessario eliminare i drammatici squilibri generati da un processo unitario limitato essenzialmente ai mercati e alle monete e guidato da politiche fallimentari. Le ragion d’essere di una unione sono il miglioramento di condizione di tutti coloro che si uniscono e la convergenza delle posizioni relative. Invece sta avvenendo il contrario; e non è un caso. L’Unione europea richiede un rafforzamento istituzionale e democratico che aumenterebbe anche l’efficienza dei mercati; ma l’approccio neoliberista considera le istituzioni un intralcio per l’iniziativa privata. Le politiche del rigore contraddittoriamente asimmetriche (i fallimenti della finanza privata sono stati scaricati sui bilanci pubblici poi spinti ad aumentare le tasse e ridurre le prestazioni sociali e produttive) hanno generato il paradosso dell’ “austerità espansiva”; l’inevitabile risultato è stato non solo di ridurre qualità e quantità della crescita e dell’occupazione, ma anche di peggiorare i conti pubblici.
I governi italiani degli ultimi anni fino a quello attuale hanno condiviso entusiasticamente le indicazioni comunitarie (“dobbiamo farlo non perché l’Europa ce lo chiede, ma per i nostri figli” – la cui condizione è invece sempre più precaria) con scelte – come l’inserimento in Costituzione del vincolo di bilancio in pareggio – che non erano obbligate.
Il DEF e le misure per il mercato del lavoro del governo Renzi si confermano recessive (il Pil è tornato a calare) e inique (i contratti a tempo determinato di 6-7 mesi senza causale diventano la norma e ridurranno ulteriormente il potere negoziale dei lavoratori; anche i famosi 80 euro saranno riassorbiti nelle retribuzioni a favore dei datori che saranno i beneficiari ultimi). Questo governo persevera nella pretesa di risollevare la nostra situazione economica e sociale riducendo il costo del lavoro e aumentando la sua flessibilità, cioè insistendo nella sciagurata visione che da oltre due decenni sta alimentando il nostro declino anche civile.
La reiterazione di queste scelte fallimentari, e delle malversazioni dei rappresentanti della politica, alimentano ulteriormente le spinte populistiche che sfruttano il legittimo malcontento, ma senza indicare soluzioni positive praticabili. Anzi, posizioni come quelle di Grillo (e di Le Pen in Francia, dell’ UKIP in Gran Bretagna, di Alba Dorata in Grecia) aumentano l’insofferenza e la canalizzano verso soluzioni regressive, nazionalistiche, quali l’uscita dall’Euro e dall’Unione.
Paradossalmente, tutti dicono di volere “un’altra Europa”, ma c’è complementarietà anti europea tra chi cerca di nascondere le responsabilità di aver portato l’UE e il nostro paese nella profonda crisi attuale e le sceneggiate populistiche di chi cerca consensi alimentando la drammaticità della situazione e prospettando scenari peggiori. Questa combinazione di posizioni già in altre epoche ha favorito l’attesa e l’avvento di “uomini della provvidenza” e il precipitare nel buio della ragione. Non dobbiamo ricadere negli stessi drammatici errori. Alle prossime elezioni, si può e si deve avviare la costruzione di un’Europa più unita, più equa e – proprio per questo – più idonea a migliorare il benessere dei suoi cittadini.