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Un bilancio europeo, nel segno dell’austerità

Nonostante la depressione economica che grava sull’Europa dal 2008, il budget resta sotto la soglia dell’1% del Pil dell’intera area Ue, in riduzione rispetto al budget pluriennale 2007-2013

Abbiamo seguito su Sbilanciamoci.info le vicende del bilancio pluriennale europeo, dall’accordo al ribasso varato dal Consiglio Europeo nel febbraio 2013 (www.sbilanciamoci.info/Sette-anni-di-austerity-nei-conti-europei-16831), alla bocciatura da parte del Parlamento Europeo nel marzo 2013 (www.sbilanciamoci.info/Il-parlamento-europeo-boccia-il-bilancio-Ue-17319).

Sembra ora che si stia giungendo all’epilogo finale di un lungo percorso iniziato dalla Commissione Europea nel 2011 e giunto sino alla negoziazione tra delegazione del Parlamento, Presidenza di turno del Consiglio Europeo, e Commissione Europea stessa.

Le richieste del Parlamento solo in parte sembrano venire accolte dalla nuova mediazione che sta realizzando un compresso a conferma del bilancio di austerità. Questo esito confermerebbe che ancora son lontani i tempi nei quali l’Europa possa cambiare linea, per passare dalla “austerità senza crescita” alla “crescita senza l’austerità”.

Nonostante la tesi della “austerità espansiva” sia stata bocciata già da tempo dalla realtà dei fatti, dalla decrescita del Pil in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, Olanda, Cipro, Slovenia, nell’Eurozona intera, sancita dalle ultime previsioni della BCE per il 2013 (Bollettino giugno 2013: www.ecb.int/pub/pdf/mobu/mb201306en.pdf), dagli oltre 27 milioni di disoccupati che vagano in Europa, alcuni dei quali varcano i confini per cercare lavoro altrove, oltre che dagli errori lapalissiani degli economisti neo-liberisti fautori di questa vecchia dottrina non solo anti-keynesiana, ma pre-keynesiana. Nonostante tutto ciò, l’austerità impera. D’altra parte le elezioni tedesche sono ancora lontane, e finché queste non si svolgeranno, non si muoverà foglia. E questo vale anche per il prossimo Consiglio Europeo di fine giugno.

La mediazione che il negoziato sta realizzando prevede sì un poco di quella flessibilità nella gestione del bilancio che il Parlamento e la Commissione chiedevano, tra le voci e tra gli anni, ma oltre a questo prevede poco altro, se non intenti.

Prevede che si dia sin da ora copertura del deficit del 2013, per un ammontare di circa 11 miliardi di €, in modo tale che questo non vada a gravare sul bilancio pluriennale successivo allargando il gap tra impegni e pagamenti che mette già in difficoltà la Commissione nella gestione del budget.

Prevede che vi sia una sorta di verifica di midterm, la cosiddetta clausola di revisione nel 2016, per valutare lo stato del budget nella crisi e come poter intervenire nell’ambito comunque dei saldi complessivi, cioè delle cifre definite sul complesso degli impegni e dei pagamenti. Le procedure di questa revisione rimangono però incerte, e sotto la mannaia del potere di veto che alcuni paesi potrebbero sempre esercitare nel caso di cambiamenti pro-crescita che gli euroscettici contrastano dal 2012, quando hanno bocciato la proposta iniziale della Commissione Europea. Questo è un aspetto importante in quanto dal 2014 vi sarà un nuovo Parlamento che verrà eletto in primavera, e l’attuale Parlamento non vuole che questo nuovo Parlamento non possa avere voce in capitolo su un bilancio che vincola l’Unione per 7 anni, ad iniziare proprio dal 2014. Se la verifica del 2016 non fosse obbligatoria, oppure se bastasse il veto di uno dei Paesi membri per bloccare ogni modifica, il budget approvato oggi diverrebbe una “gabbia” a salvaguardia delle politiche di austerità.

Prevede che i 6 miliardi previsti contro la disoccupazione giovanile per quei Paesi che hanno un tasso di disoccupazione per i giovani superiore al 25% (youth guarantee), siano tutti spesi nei primi due anni, quando anche nell’ultimo incontro dei capi di governo europei della settimana scorsa si era affacciata l’ipotesi che venissero destinati tutti e subito ad un utilizzo nel 2014.

Prevede che si apra un “tavolo di confronto” per l’attivazione di fondi propri della Commissione che potrebbero andare ad aggiungersi a quelli previsti dal bilancio pluriennale fin qui previsti, solo che la Commissione possa prevedere tassazioni aggiuntive ad esempio sulle transazioni finanziarie oppure per l’abbattimento dell’inquinamento ambientale al fine di finanziare progetti europei sull’economia della conoscenza, economia ambientale ed economia digitale, tutti ambiti centrali per una politica di crescita. Ma un tavolo non è una rondine che peraltro non fa primavera, semmai è solo un modo per non decidere e rinviare a quando sarà eletto il nuovo Parlamento nel 2014.

Prevede che i saldi complessivi non siano toccati, per cui il budget rimane alla cifra dei 960 miliardi di euro, quindi sotto l’1% del Pil dell’intera area dell’Unione europea, e in riduzione rispetto al budget pluriennale del settennato 2017-2013. Nonostante la depressione economica che grava sull’Europa dal 2008, rimane non solo un budget irrisorio, ma di stimolo alla depressione stessa. Ricordiamo che è anche un bilancio più attento alla ridistribuzione di risorse scarse tra Paesi, secondo una visione non-cooperativa, piuttosto che un budget che vuole introdurre leve di crescita collettiva.

Difficile che la mediazioni cambi, allo stato attuale. Il compromesso sembra essere stato raggiunto, anche se vi sono voci di dissenso. La mediazione sembra in qualche modo accontentare l’ala conservatrice del Parlamento, che si dichiara soddisfatta dell’intesa raggiunta, meno l’area socialdemocratica, dove potrebbero emergere dissensi e propositi di differenziazione in sede parlamentare. Potrebbero portare queste ad un voto contrario da parte di una componente molto importante del Parlamento europeo, con un bilancio approvato quindi a maggioranza risicata? Il Parlamento potrebbe votare di nuovo contro il bilancio, smentendo la delegazione che ha raggiunto il compromesso? Difficile che avvenga questo esito, dati gli equilibri politici tra molti dei governi dei paesi europei ed i partiti che confluiscono nel raggruppamento dei Popolari europei. Più facile, ma non affatto scontato, che sia il raggruppamento dei Socialisti e dei Democratici a votare contro, a cui potrebbero aggiungersi il raggruppamento dei Liberali, oltre ai Verdi ed alla Sinistra già certi, sancendo una spaccatura profonda in questo Parlamento nella ultima fase del suo mandato. In altri termini la maggioranza qualificata richiesta non ci sarebbe più. Ma non sarebbe questo un esito salutato con favore forse dal Presidente del parlamento, che è il socialdemocratico Martin Schulz, e quindi forse ulteriori mediazioni non sono impossibili. A luglio il parlamento dovrà votare di nuovo il bilancio, e vi è sempre il potere di veto sull’approvazione che incombe, che questo può porre per la prima volta dal Trattato di Lisbona, e ciò potrebbe spingere verso un accordo in extremis questa settimana, prima della riunione del Consiglio Europeo.

L’esito che si prospetta rimane comunque molto deludente. Il bilancio rimane un “bilancio di austerità” più attento agli equilibri dell’Europa intergovernativa, che di una sempre più lontana meta degli Stati Uniti d’Europa. Quindi c’è ancora molto da lavorare, per avere un Parlamento nuovo, con equilibri più avanzati, nel 2014.