Da sempre in Grecia le emittenti private hanno rivendicato un ruolo di primo piano nel definire l’agenda della politica. L’ultima battaglia si è giocata alla fine dell’estate
Si può governare contro i media? Difficile ma non impossibile. Lo sa bene Alexis Tsipras che già prima di diventare premier, nel gennaio del 2015, doveva affrontare l’aperta ostilità non solo dei media greci ma anche di quelli europei. Sono rimaste memorabili le epiche campagne della tedesca Bild e del milanese Corriere della Sera contro il “populista di Atene”.
In Grecia però la situazione si è ben presto incancrenita. Fin dalla loro nascita le emittenti private hanno rivendicato un ruolo di primo piano nel definire l’agenda della politica. Erano gli anni 1990 e 1991, quando il leader socialista Andreas Papandreou era stato posto sotto accusa per un presunto scandalo bancario. Gli editori di giornali, che avevano rivelato lo scandalo e condotto gli attacchi mediatici contro il premier, si sentivano in posizioni di forza verso la politica. L’hanno riscattata esigendo una legge sull’emittenza privata a loro immagine e somiglianza. Basta dire che nella prima stesura del progetto di legge, riformato pochi anni più tardi, non si poteva aprire una Tv privata se non si era già presenti nel mercato della carta stampata. L’esatto contrario delle normative europee sulla concentrazione dei media.
L’apoteosi delle Tv private si era avuta nel 1996, alla morte di Papandreou. Nella lotta per la successione alla testa del partito socialista PASOK, all’epoca saldamente in testa tra i partiti greci, i canali televisivi privati avevano scelto un candidato senza alcuna chance. Era Kostas Simitis, esponente dell’area neoliberista del partito socialista, a capo di una corrente marginale negli equilibri interni del PASOK e assolutamente poco noto nella grande massa degli elettori.
Da molti mesi però Simitis era diventato una costante presenza in tutte le Tv private greche, che non smettevano di definirlo il politico più “capace” di diventare presidente dei socialisti e portare il paese verso la “modernizzazione”. Mentre ai membri del gruppo parlamentare, che avrebbero votato per la successione, si faceva discretamente sapere che se non si adeguavano ai desideri dell’emittenza, rischiavano di non aver accesso ai programmi televisivi e di rimanere fuori dal Parlamento. Cosa puntualmente successa.
Alla fine Simitis ce l’ha fatta: vinse, anche se per il rotto della cuffia, due elezioni e si accordò con Goldman Sachs per truccare i conti greci ottenere la tanto agognata adesione all’eurozona.
Da quel momento i padroni delle Tv si sono affermati come padroni anche della politica. L’accordo era chiaro: si sosteneva il partito che avrebbe dato al “canalarca” maggiori vantaggi economici, appalti pubblici o forniture.
Ovviamente, nessuna Tv privata ha mai subito un’ispezione fiscale e alcun governo si sentiva in dovere di chiedere loro di pagare per le frequenze pubbliche occupate abusivamente. Perfino una timida legge sulle imposte agli spot pubblicitari è rimasta lettera morta. Nel 2014 si è scoperto che la maggiore Tv privata, Mega, aveva addirittura fatto un allaccio abusivo per avere corrente elettrica senza pagare la bolletta.
In sostanza, le emittenti private erano un investimento sicuro e senza rischi. Tanto si sapeva che chiunque fosse al governo, il PASOK o i conservatori di Nuova Democrazia, avrebbe riservato un trattamento di assoluto favore ai potenti dell’etere. Ecco perché tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio il magico mondo delle Tv ha attratto il fior fiore dell’oligarchia greca con in testa gli armatori.
Con la crisi scoppiata nel 2010 il gioco di scambio ha cominciato a non rendere più. L’investimento pubblicitario è sceso verticalmente: dagli 1.896 milioni del 2009 siamo arrivati ai 340 milioni del 2016. Ma i problema più grosso era politico: di fronte a una crisi devastante i notiziari delle Tv private hanno sposato in toto le tesi della troika e dei due partiti che si alternavano al governo, socialisti e conservatori. La loro credibilità già non era un granché, con i tg pieni di notizie “leggere”, bellezze seminude, gossip e celebrities locali. Di fronte però alle evidenti menzogne filogovernative è crollata del tutto.
È questa la spiegazione della repentina decisione del governo di coalizione tra la destra e socialisti del premier Antonis Samaras di chiudere l’emittente pubblica ERT nel 2013. Si regalava il monopolio informativo alle Tv private insieme con la fetta pubblicitaria, modesta ma pur sempre interessante, controllata dall’emittente pubblica. Mentre l’ERT era chiusa, il governo ha provveduto a organizzare un’asta per le frequenze digitali. Ci fu un solo concorrente, il consorzio Digea, composto dagli editori privati, che le ha ottenute al vertiginoso prezzo di 16.000 euro l’anno.
Con la pubblicità in rapida discesa, i già traballanti bilanci delle Tv private, hanno virato decisamente verso il rosso. È iniziata così la corsa ai finanziamenti da parte del compiacente sistema bancario, spesso controllato dal governo oppure direttamente dal proprietario della Tv che ne beneficiava. Con l’ultima ricapitalizzazione delle banche greche, l’anno scorso, i vecchi banchieri sono stati sostituiti. Dopo un esame della Banca di Grecia (imposto dal governo) si è scoperto che le emittenti private dovevano alle banche complessivamente circa un miliardo e mezzo. Grandissima parte di questa somma era ritenuta oramai prestito inesigibile.
Nel giugno di quest’anno il governo greco ha deciso di porre fine a questa situazione. Il ministro preposto Nikos Pappas aveva ordinato all’Università Europea di Firenze una ricerca sul numero di emittenti private che avrebbe potuto sostenere il mercato pubblicitario greco. Lo studio ha sancito che il numero delle emittenti nazionali non poteva essere superiore a quattro: la metà cioè di quanti ce ne sono attualmente.
La stima è realistica. Già nel 1989 in un’intervista all’ERT Dario Rivolta, il manager della Fininvest preposto da Silvio Berlusconi a esplorare il mercato greco in vista di un possibile investimento, aveva calcolato che il mercato greco non poteva sostenere più di un’emittente privata. Nel frattempo, com’è successo in Italia, il mercato si è ampliato. Ma non tanto da sostenere otto Tv nazionali.
Secondo la legge vigente, che è stata applicata per la prima volta quest’anno, l’asta per le frequenze non avrebbe dovuto essere bandita dall’esecutivo ma da un organismo indipendente, il Consiglio Radio Televisivo. Il consiglio però non è in grado di funzionare perché i suoi componenti non sono stati rinnovati per poco meno di un decennio. Agli inizi dell’anno, Pappas aveva chiesto alla commissione parlamentare di rinnovare i componenti ma Nuova Democrazia si era rifiutata di indicare i suoi candidati, nella speranza di bloccare l’asta. Pappas ha quindi assunto la responsabilità di portare avanti il processo. Gli editori Tv, con il sostegno dell’opposizione conservatrice, hanno fatto riscorso al Consiglio di Stato. La sentenza si attende a giorni ma le repentine dimissioni di due suoi componenti di destra dall’organo rappresentativo dei magistrati probabilmente preannuncia un esito positivo per il governo.
In sostanza, la reazione dei padroni delle frequenze all’intervento del governo si può, senza timore di esagerare, definire isterica. Quella che è partita nei piccoli schermi è una vera e propria campagna antigovernativa. Il dimezzamento delle emittenti è stato presentato come “censura” di tipo “totalitario”, si è parlato di Corea del Nord, di “capestro stalinista” mirante al “controllo dell’informazione”. Di sostegno alla campagna anche Nuova Democrazia, pienamente solidale con i “canalarchi”.
Il sistema “informativo” che usa la campagna non è nuovo. Fa ricorso a un gruppo di professionisti, denominati con involontario umorismo Gruppo Verità, capeggiati da un ex pubblicitario non particolarmente brillante. Il gruppo era stato formato dall’ex premier Samaras, ma il nuovo leader di Nuova Democrazia Kyriakos Mitsotakis ha deciso di non rinunciare ai suoi servizi. Il sistema funziona così: Gruppo lancia una falsa notizia (“tutte le pensioni integrative saranno abolite”, “l’acqua sarà privatizzata”, “a scuola sarà abolito l’insegnamento di religione”, “il governo vuole controllare l’Ufficio di Statistica”), i deputati di destra fanno un’interrogazione in Parlamento, la riprendono le emittenti Tv e così la notizia diventa vera, pronta a essere servita anche alla stampa straniera. Per non parlare dei sondaggi compiacenti, che danno regolarmente Mitsotakis vincente con più di 10 punti di differenza.
Quanto conta nell’opinione pubblica greca questa campagna? Poco. Conta molto di più fuori dalla Grecia, dove Tsipras non ha mai goduto delle simpatie dei media. Infatti, qualcuna delle “notizie” riportate è stata tranquillamente letta anche sui media italiani. Probabilmente presa dalle pagine in inglese di Kathimerini o del giornale domenicale Proto Thema, vicino ad Alba Dorata.
Tanto più che già il mercato aveva provveduto a ridimensionare il numero di emittenti. A maggio la Tv Mega, una volta prima negli ascolti, si è trovata in una situazione economicamente insostenibile: dal 2010 l’emittente ha chiuso regolarmente i bilanci in fortissima perdita. Nel 2015 i suoi debiti verso le banche ammontavano a 35.570.000 euro, il 150% del fatturato. In una serie di drammatiche assemblee, gli azionisti si sono trovati di fronte a un drammatico dilemma: mettere le mani al portafoglio oppure chiudere i battenti.
Il principale azionista, con il 32,7%, è il gruppo editoriale Pegasus, che fa parte del maggior gruppo di costruttori del paese, appartenente alla famiglia Bobolas. Il secondo azionista, con il 22,1% è il Gruppo Editoriale Lambrakis DOL che pubblica il quotidiano Ta Nea e il domenicale To Vima. Il gruppo DOL ha già i suoi guai economici: è gravato da debiti per 197 milioni, per i quali sono sotto processo sia i dirigenti bancari che li hanno concessi, sia il presidente del gruppo Stavros Psicharis.
La possibilità di ricorrere a una capitalizzazione del canale TV alla fine è stata esclusa. Ora Mega ha smesso di produrre il notiziario quotidiano e trasmette vecchi programmi in attesa della inevitabile chiusura.
I feroci attacchi delle emittenti private non hanno influenzato l’agenda del governo. Alla fine dell’estate ci fu una prima scrematura degli imprenditori interessati ad acquistare una licenza e pagare le relative frequenze. Tra le condizioni per partecipare alla gara un capitale sociale di 200 milioni, l’obbligo di creare posti di lavoro per almeno 400 persone e piena trasparenza dell’assetto societario. Condizione quest’ultima necessaria per evitare quanto successo con un’emittente minore, appartenente a una off shore cipriota.
Alla fine hanno partecipato in 11 ma hanno vinto in quattro, impegnandosi per complessivi 246 milioni. Tra i vincitori che disponevano già di un’emittente c’è l’armatore Yiannis Alafouzos, proprietario del quotidiano conservatore Kathimerini e dell’emittente Skai. La vittoria all’asta di Alafouzos è stata una prova dell’obiettività del meccanismo dell’asta. Sia Kathimerini che Skai sono apertamente schierati con Nuova Democrazia e l’anchorwoman Sia Kotsioni ha anche rapporti di parentela con la dinastia Mitsotakis. Prima di ottenere la frequenza Alafouzos era in prima linea nel contestare la legittimità della procedura ma dopo l’asta la sua campagna ha perso vigore.
Secondo qualificato un armatore con tanti guai con la giustizia. Si chiama Vangelis Marinakis ed è, tra le altre cose, anche il presidente della squadra dell’Olympiakos nonché l’eminenza grigia del sindaco del Pireo. Marinakis è imputato di associazione a delinquere per aver, secondo l’accusa, comprato i risultati di una serie di partite e per aver cercato di intimidire alcuni arbitri. E’ sospettato anche di essere uno dei finanziatori del partito nazista di Alba Dorata.
Il terzo qualificato è l’armatore Minos Kiriakou, proprietario dell’emittente Antenna, indebitato per 180 milioni in due banche. Anche Antenna è chiaramente schierato a destra.
L’ultimo vincitore è un costruttore che avrebbe dovuto fare per la prima volta il suo ingresso nel magico mondo della Tv. Si tratta del costruttore Christos Kalogritsas, che, secondo la campagna ostile al governo, avrebbe dovuto essere la voce di SYRIZA, poiché un ministro era stato testimone di nozze del figlio. Kalogritsas è stato anche preso di mira perché nel suo assetto proprietario comparivano anche dei terreni, destinazione pascoli, nell’isola di Itaca. Gli stessi terreni che nel 2014 l’ente per gli investimenti nelle isole dello Ionio valutava poco sotto il mezzo miliardo. Alla fine però Kalogritsas non è stato in grado di versare la prima tranche di 70 milioni, quindi, anche se “favorito dal governo”, è uscito dal gioco.
Al suo posto è entrato il primo degli esclusi. Si chiama Ivan Savvidis ed è un greco del Ponto (Mar Nero) nato e cresciuto in Russia, dove continua ad avere forti interessi in campo turistico e agroalimentare. In Grecia ha comprato la squadra di Salonicco PAOK e a promosso investimenti in campo turistico e in quello del tabacco. E’ popolarissimo nel nord della Grecia e delle sue opinioni politiche l’unica cosa che si sa è che ha ottimi rapporti con l’entourage di Vladimir Putin.
Fuori dal gioco sono rimasti due grandi giocatori economici. Il primo è l’assicuratore Dimitris Kontominas, proprietario dell’emittente Alpha, tra i canali meno esposti verso le banche. Kontominas è rimasto coinvolto in una serie di spregiudicate operazioni finanziarie, ai danni della Cassa Postale, che gli sono costate il ritiro del passaporto e una cauzione di 4 milioni. Il secondo è il signore del petrolio Vardis Vardinoyannis, il principale importatore e raffinatore di carburante nel paese, proprietario dell’emittente Star e detentore di un pacchetto di minoranza di Mega.
Kontominas ha reagito duramente alla sconfitta. E’ apparso personalmente in video, durante una trasmissione di cucina, per denunciare l’” ingiustizia”, scagliandosi contro i “comunisti al governo” e il loro “colpo di mano”. Vardinoyannis invece continua a tenere un profilo basso, come ha sempre fatto nella sua carriera.
Sui quotidiani greci sono comparse notizie di un possibile accordo tra Savvidis e i due sconfitti per una loro partecipazione alla nuova emittente. Anche se il fallimento dell’esperimento di cooperazione a Mega pesa sulle future alleanze azionarie.
Alla fine, il governo Tsipras è dal braccio di ferro uscito rafforzato. Una boccata di ossigeno necessaria: dopo la dura sconfitta nelle trattative con i creditori nel luglio del 2015, era necessario dare segni di cambiamento nel campo interno e la scandalosa situazione che perdurava da decenni in campo televisivo offriva l’occasione giusta.