Intervista al presidente Inps: “Serve un reddito minimo a livello europeo, finanziato dagli stati o dal bilancio federale”. Da Affari e Finanza.
Di fronte alle sfide della tecnologia, serve un nuovo modello di welfare, su scala europea, che si alimenti non più soltanto del contributo dei lavoratori ma delle tante ricchezze che nel mondo oggi restano al riparo dal Fisco, andando soprattutto a colpire le aziende che hanno molto fatturato e poche teste e non viceversa. È questa una delle ricette indicate dal presidente Inps Pasquale Tridico, nel colloquio con il direttore di Repubblica Maurizio Molinari all’evento organizzato a Milano da Affari & Finanza dedicato a welfare e wellbeing.
Presidente, nulla è più importante del welfare nella stagione delle disuguaglianze. Lei è un protagonista della protezione dei più deboli. Qual è la ricetta più ambiziosa che abbiamo davanti?
Per troppo tempo abbiamo creduto che fosse necessario stare attenti a introdurre troppe politiche di welfare perché queste avrebbero in qualche modo ostacolato la crescita. Negli ultimi trent’anni, fino alla crisi pandemica, abbiamo visto invece che i Paesi che più hanno investito in welfare non solo hanno ridotto le disuguaglianze, ma sono stati anche quelli che hanno abbracciato la crescita. Quindi in realtà non è più vero che welfare e sviluppo sono in antitesi, anzi si può fare welfare riducendo le disuguaglianze”.
Come si finanzia il nuovo welfare?
“C’è una parte di ricchezza che sfugge. Oggi vediamo un fenomeno nuovo che è la globalizzazione più robotizzazione, che permette non solo di avere delocalizzazioni come avveniva in passato, ma anche di utilizzare rendimenti dell’intelligenza artificiale applicandoli nelle aziende
Tutto questo oggi non viene tassato. Se noi continuiamo ad avere un calo demografico, una quota lavoro che scende sul Pil e continuiamo a tassare il lavoro per finanziare il nostro welfare, arriveremo a un punto di non sostenibilità. Dobbiamo cercare altre fonti, dalla tecnologia ai rendimenti finanziari, passando per il tentativo fatto in ambito G20 sulla minimum tax globale che cerchi di catturare ricchezze che sono mobili da un paese all’altro”.
Quindi significa andare a cercare le risorse per il welfare, per gli stati in collaborazione con le aziende, anche fuori dal territorio nazionale?
“Almeno nel continente europeo. Le faccio un esempio: noi continuiamo ad avere il lavoratore come il punto di riferimento di qualsiasi tassazione. Un’azienda di pulizia ad alto contenuto di lavoro e poca tecnologia oggi paga proporzionalmente più tasse di altre imprese molto capital intensive che si basano sulla digitalizzazione e hanno pochi lavoratori, e quindi poche “teste”. Occorrerebbe tassare “per fatturato” e non “per testa”. Continuare a tassare per testa non solo non ti garantisce una sostenibilità ma è anche ingiusto, perché la maggior parte della ricchezza proviene dalle aziende ad alto contenuto tecnologico”.
Comunque lei parla di un welfare europeo. Si tratterebbe di un passaggio drammatico dal punto di vista economico.
“Stiamo parlando necessariamente di una ricetta europea. Queste soluzioni non si possono implementare in un solo Paese. Ovviamente questo richiederebbe maggiori cessioni di sovranità in un settore, quello sociale, dove tra l’altro negli ultimi anni l’Europa ha fatto dei passi avanti”.