Lettere da New York di Renzo Sabatini, edito da Ensemble, con la sua scrittura sobria ed empatia ci restituisce piccoli affreschi di un’America trumpiana vista con gli occhi degli ultimi, dei diseredati ma anche delle spinte ancora vitali di una società in grave crisi.
Renzo Sabatini – segretario per l’Italia del Servizio civile internazionale negli anni ‘80 – è stato qualche anno a New York lavorando per il nostro ministero Affari esteri e della cooperazione internazionale. Durante la sua permanenza americana ha periodicamente pubblicato sulla rivista “A” (la principale rivista anarchica italiana) di Paolo Finzi (scomparso nel 2020) delle lunghe lettere da New York in cui ha raccontato il caleidoscopio della metropoli americana.
Ora quelle lettere sono state raccolte in un volume – per la casa editrice Ensemble – e ci consegnano una chiave di lettura profonda e molto umana delle trasformazioni della realtà americana negli anni di Trump, e non solo. Sappiamo che New York non è “l’America”, o meglio ne è solo un piccolo spicchio. Per conoscere gli Stati Uniti fino in fondo bisognerebbe fare un lungo viaggio, attraversando gli Stati dell’America profonda, quella che ha dato ovunque la vittoria a Trump. L’America delle due coste (da New York a San Francisco) è quella che ci affascina di più, e che sentiamo più vicina (forse la più europea), ma anche quella più lontana dagli umori retrivi e tradizionalisti dell’America trumpiana, il baricentro -anche geografico- degli Stati Uniti.
Nonostante ciò le Lettere di New York di Renzo Sabatini riflettono bene quello che è successo e che sta succedendo negli States. Renzo – nella sua scrittura sobria ed empatica – fornisce dei piccoli affreschi delle contraddizioni (ma anche delle spinte vitali) della società americana, del razzismo ancora diffuso, della follia delle armi sparse nel Paese, delle diseguaglianze e delle ingiustizie crescenti, della democrazia in crisi. Oltre a registrare quello che di buono si muove nel Paese – minoranze attive che si battono per la giustizia e che non si arrendono – le lettere ci raccontano il degrado, si potrebbe dire antropologico, di una parte della società americana.
Ha ragione Sabatini: la sua New York è tra le rovine dell’impero. Lo stato di cattiva salute degli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti. L’unico dominio incontrastato americano è quello militare: il 40% della spesa militare mondiale si fa negli States. Ma per il resto? Il primato tecnologico non c’è più e la Cina sta rapidamente sopravanzando gli Stati Uniti. Così come è crollato il primato commerciale e della moneta. Il debito pubblico americano è enorme, garantito, per l’appunto, dal predominio militare. E’ scomparsa anche la forza della narrazione americana e dei suoi miti, capace di influenzare comportamenti, stili di vita, abitudini nel resto del mondo. Il soft power americano, praticamente, non esiste più.
L’impero americano, dopo il 1989, si sta sgretolando giorno dopo giorno (ci vorrà del tempo) e quello di Trump è un pericoloso e prolungato fuoco di paglia, che nasconde il declino del dominio globale a stelle e strisce che abbiamo conosciuto nel secondo dopoguerra. Attraverso un’aggressività (militare e commerciale) mai vista negli ultimi anni l’America di Trump sta cercando di fermare la frana dell’impero, ma può solo rallentarla, o solo ritagliarsi qualche tornaconto di breve respiro, con scarse prospettive. Con la sua politica Trump nel frattempo può fare tantissimi danni; rafforzerà inevitabilmente la Cina e la Russia e -speriamo- l’Europa, che però ha diversi vassalli pronti ad uscire dal cavallo di Troia del populismo nostrano e farsi servi del presidente americano. Tra questi la nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Il paesaggio umano, i ritratti delle persone, gli scorci urbani ricchi di vita (ad Harlem come a Manhattan) sono tra le cose più belle del libro di Renzo Sabatini. Il suo non è uno sguardo disincantato, ma pieno di passione umana e solidale, di etica civile, di impegno politico, di vicinanza agli ultimi, alla povera gente, ai neri e agli indiani americani. Non è equidistante, ma equi-vicino a tutti quelli che una volta avremmo definito i “diseredati” ed è antropologicamente lontano dai borghesi americani soddisfatti e conformisti, anche quelli radical chic e di sinistra. Sicuramente Renzo Sabatini non è stato cambiato dagli Stati Uniti, non si è fatto irretire dai falsi miti di quell’impero. I suoi anticorpi sono sempre forti e Renzo sa sempre da che parte stare: con gli sfruttati e gli oppressi. Negli Stati Uniti come in Italia.
