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Tassiamo i ricchissimi: 250 miliardi di dollari l’anno

La proposta è contenuta nel 1° rapporto dell’Osservatorio europeo sull’evasione fiscale, insieme ad altre idee per combattere le frodi dei privati agli Stati. Coordinatore dello studio è Gabriel Zucman, allievo di Piketty. Propone un registro globale dei beni.

La proposta chiave riguarda l’istituzione di un’imposta minima globale, con un’aliquota del 2%, sui patrimoni netti dei miliardari. Un tributo che graverebbe su un numero ridotto di individui (meno di 3.000), ma visto il peso di ognuno di questi redditi di ultra-ricchi la tassa sarebbe in grado di generare introiti per circa 250 miliardi di dollari all’anno. La proposta di tassa i redditi dei super ricchi (non dei ricchi come sostiene la propaganda conservatrice da sempre contraria a ogni forma di patrimoniale) viene condivisa con Oxfam e con le associazioni che aderiscono alla campagna mondiale “Tax The Rich”. Qui in Italia è la campagna di Sbilanciamoci che ha rilanciato la battaglia contro l’evasione fiscale e per un nuovo sistema fiscale basato sulla progressività delle imposte e sulla lotta alle diseguaglianze. (https://sbilanciamoci.info/tax-the-rich/). Il report dell’Osservatorio è stato presentato a Roma il 13 novembre presso la Pontificia Università Gregoriana durante un’iniziativa organizzata da Oxfam e dall’Università Bicocca di Milano. 

Rapporto Zucman

I temi che sono stati affrontati nel “Rapporto Zucman” riguardano quindi da una parte il livello raggiunto dall’evasione fiscale in Europa (nonostante le varie normative che sono state approvate per bloccarla) e dall’altra le policy per riequilibrare sistemi fiscali che sono stati svuotati dalla progressività del prelievo. L’evasione e l’elusione fiscale delle società sono ancora – purtroppo – in forte crescita. Siamo di nuovo oltre i livelli di guardia, mentre le cronache economiche fanno registrare forti criticità nelle norme sull’imposta minima per le grandi multinazionali, che aveva suscitato grandi speranze al momento del varo. Ma in corso d’opera le nuove regole per le Big hanno visto ridursi progressivamente il potenziale di gettito previsto. L’indebolimento del disegno della global minimum tax per le grandi multinazionali, rispetto al modello inizialmente negoziato, riduce infatti da 270 a 136 miliardi di dollari l’anno gli introiti attesi, su scala globale, nel primo anno di applicazione dell’imposta. Per l’Italia il gettito atteso (che si manifesterà però solo a partire dal 2025) dalla misura si attesta a poco meno di 500 milioni di euro. Almeno questo è lo scenario contenuto nella relazione tecnica al decreto attuativo dell’imposta approvato dal Consiglio dei ministri. Ma oltre al quadro negativo, in tema di lotta all’evasione fiscale in quasi tutti i paesi, si registrano anche moderati progressi nel contrasto all’evasione dei “piccoli”.

Tassare i redditi miliardari

L’altra questione che viene dibattuta tra gli esperti riguarda la contribuzione fiscale per i redditi dei super-ricchi, che oggi sono praticamente risparmiati dal prelievo fiscale. Ma oltre al quadro negativo, in tema di lotta all’evasione fiscale in quasi tutti i paesi, si registrano anche moderati progressi nel contrasto all’evasione dei “piccoli”. Nel rapporto si chiarisce il vero livello dell’elusione fiscale societaria che risulta esageratamente alta, con 1.000 miliardi di dollari “protetti” dai paradisi fiscali. In questo contesto la ricchezza finanziaria offshore ha raggiunto nel 2022 i 12.000 miliardi di dollari su scala globale, pari al 12% del Pil planetario. Per l’Italia il valore si attesta a 198 miliardi di dollari, quasi il 10% del Pil. “Il rapporto dell’Osservatorio Fiscale Europeo getta luce sull’occultamento della ricchezza offshore e sulle pratiche elusive delle multinazionali – spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia – Sono fenomeni che interessano in larga misura i membri più facoltosi delle nostre società e i colossi corporate, cui la globalizzazione ha offerto ampie opportunità di minimizzare il proprio contributo a favore della collettività”. 

Democrazie in pericolo

Ma questa situazione di grande ingiustizia non è solo un fatto economico. Le frodi e  le disparità fiscali agiscono sul funzionamento complessivo delle società. “Ne risente in generale il buon funzionamento delle nostre democrazie  – spiega Maslennikov  – perché si ampliano le disuguaglianze che indeboliscono la coesione sociale. I fenomeni di abuso non sono tuttavia inevitabili e il rapporto pone l’accento sul ruolo della politica e sulla natura delle scelte fin qui assunte o meno. Lo fa celebrando la fine formale del segreto bancario, considerata tabù solo pochi anni fa, ma valutando al contempo criticamente gli sviluppi normativi in materia di tassazione minima effettiva delle grandi multinazionali, pur a fronte di un innegabile sforzo di cooperazione internazionale nell’ultimo decennio”.     

Il rapporto non si ferma all’analisi, ma contiene una serie di raccomandazioni volte a migliorare il livello di sostenibilità dei sistemi fiscali, incrementando, in particolare, la contribuzione fiscale a carico dei super-ricchi e delle imprese multinazionali. 

Il capitolo 5 del Rapporto

Un focus sulle proposte dell’Osservatorio si possono leggere in particolare nel quinto capitolo dove si descrivono sei possibili policy che possono essere attuate per conciliare la globalizzazione con giustizia fiscale. Il tema comune di queste politiche è che si concentrano sulla riduzione del deficit fiscale degli attori economici – società multinazionali, individui ricchi – che hanno beneficiato maggiormente della globalizzazione. Ecco le sei 6 proposte: 1. Riformare l’accordo internazionale sulla tassazione minima delle società (pilastro 2) per attuare un tasso di 25% e rimuovere le lacune che favoriscono la concorrenza fiscale; 2. Introdurre una nuova imposta minima globale per i miliardari del mondo, imitando quanto è stato realizzato per multinazionali; 3. Istituire meccanismi per tassare le persone facoltose che hanno soggiornato a lungo in un paese e scegliere di trasferirsi in un paese a bassa tassazione; 4. Attuare misure unilaterali per la riscossione di alcuni dei disavanzi fiscali delle società multinazionali e miliardari in caso di accordi globali ambiziosi su questi problemi falliscono; 5. Procedere verso la creazione di un registro globale dei beni per combattere meglio l’evasione fiscale; 6. Rafforzare l’applicazione della sostanza economica e delle norme antiabuso.

Ci vuole giustizia

“Similmente agli intendimenti dell’Osservatorio Fiscale Europeo, per Oxfam l’introduzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni rappresenta una grande opportunità di riconciliare la globalizzazione con una maggiore giustizia fiscale – spiega ancora Maslennikov  – Una misura in grado di garantire maggiore equità del prelievo e generare risorse considerevoli – fino a 16 miliardi di euro l’anno per il nostro Paese, se l’imposta si applicasse allo 0,1% dei contribuenti italiani più ricchi – per affrontare le sfide impellenti del nostro tempo come il contrasto alle crescenti disuguaglianze economiche e sociali e la lotta ai cambiamenti climatici”.

Il grande tabù

Il tema è spinoso dal punto di vista politico. In Italia, per esempio, parlare di “patrimoniale” evoca subito paurosi spettri anche a sinistra. Nel corso degli anni è diventato quasi un tabù. Ma è ormai evidente che dal punto di vista dei numeri e degli equilibri sociali ed economici la tassazione delle grandi ricchezze e la lotta all’evasione sono centrali. Solo nel corso del 2020 (in piena pandemia) gli Stati dell’Unione europea hanno perso 93 miliardi di euro di mancata riscossione dell’Iva, di cui almeno un quarto per frode. E l’Italia è stata la peggiore con un ammanco di 26 miliardi di euro. Seguono la Francia (14 miliardi) e la Germania con 11 miliardi.

“Le persone molto facoltose – spiega Gabriel Zucman, il giovane economista francese (37 anni) che insegna a Berkeley ed è stato allievo e assistente di Piketty, autore tra l’altro del libro La ricchezza nascosta delle nazioni – hanno aliquote individuali comprese tra lo 0 e lo 0,5% della loro ricchezza, meno di tutte le altre fasce di popolazione”. Zucman, autore anche di un altro importante libro sull’evasione fiscale scritto a quattro mani con Emmanuel Saez (Il trionfo dell’ingiustizia. Come i ricchi evadono le tasse e come fargliele pagare, Einaudi 2019), insiste su un concetto semplice: l’evasione fiscale attuale e la minima percentuale di tassazione imposta alle grandi ricchezze alla lunga non sono sostenibili. Di qui l’idea di introdurre un prelievo patrimoniale minimo a livello globale: basterebbe colpire i circa 3mila miliardari esistenti nel mondo, e con un’aliquota contenuta (2%), per generare oltre 200 miliardi di ricavi erariali aggiunti ogni anno.

Colpire i grandi patrimoni. Sì, ma..

Nel corso del convegno dedicato alla presentazione del Rapporto, Zucman, ha risposto anche alle obiezioni dei rappresentanti dell’Ocse (David Bradbury) e di Banca d’Italia (Giacomo Ricotti) sull’opportunità di parlare di patrimoniali. In particolare il confronto dialettico si è sviluppato tra Bradbury e Zucman perché il direttore del dipartimento fiscale dell’Ocse ha contestato una serie di grafici presenti nel Rapporto e ha avanzato varie perplessità e critiche all’idea di una patrimoniale sui super ricchi. Zucman ha risposto nel merito e ha parlato della necessità di una scelta politica in questo campo minato. Lo stesso Zucman ha lanciato una provocazione. In attesa di raggiungere un accordo tra tutti i Paesi, secondo il giovane economista parigino, si potrebbe anche procedere unilateralmente: “L’Italia per esempio potrebbe decidere che dal prossimo anno tasserà i miliardari, senza esenzioni e scappatoie”. L’obiezione immediata e ricorrente ogni volta che parla di tasse ai super ricchi è la seguente: ma non c’è il rischio che i Paperoni si sottraggano trasferendosi all’estero o nascondendo le ricchezze? 

La fuga dei capitali è una scusa

Su questo punto le risposte di Zucman sono chiare. Da una parte per affrontare il problema della fuga dei capitali oggi gli Stati sono aiutati molto dallo scambio automatico di informazioni bancarie, che negli ultimi anni ha già consentito di ridurre notevolmente l’evasione offshore. Quanto alla possibile fuga (che tra l’altro già avviene da anni), l’economista ha chiarito che consentirla è solo questione di scelte politiche: “Al momento, quando i miliardari si trasferiscono in un paradiso fiscale, diciamo in Svizzera, smettiamo di tassarli. Invece potremmo decidere che se qualcuno che è diventato molto ricco in Italia e si sposta in un Paese a bassa tassazione, l’Italia continuerà a tassarlo per 5, 10 o 15 anni. Possiamo cambiare le regole”.